uno strumento di contro-informazione per il dibattito pubblico ligure
LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI
Numero 42, 15 gennaio 2023
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PILLOLE
Rixi 2023: a lezione da Briatore e Santanché
Cominciamo bene… Il good boy Edoardo Rixi chiarisce le sue intenzioni. Aiutare i senzatetto, le famiglie numerose, i meno abbienti e lo sport giovanile? No, la dichiarazione d’intenti per il 2023 è far sì che le nuove norme “non vadano contro gli interessi della nautica da diporto… per la capacità di fare incoming nelle zone turistiche del nostro Paese”. Ovvero: è fondamentale “creare home base per i grandi yacht… e avere tutti i servizi a terra indispensabili a mantenere le imbarcazioni sul nostro territorio”. Traduzione: per favorire la nautica di lusso creare una sorta di container per farci vivere i marinai. Poveri lacchè dei padroni: almeno la destra sociale della buonanima di Bontempo (Er Pecora) all’epoca berlusconiana votò insieme alla sinistra per evitare l’abrogazione dell’art. 18. |
L’orrida Santanché proprietaria di stazioni balneari: abolire le spiagge libere piene di tossici e rifiuti |
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Loculi di lusso a Porto Antico, specchietto fallato
Un misterioso twitterone mi pettegolezza sugli appartamenti del Waterfront, specchietto per ricche allodole milanesi. Secondo il Piano dei costruttori i lumbàrd li avrebbero comprati per venire e weekendare da noi. A parte il fatto che se fossi un bauscia, nel we me ne starei a Milàn dove avrei mille possibilità di svago o andrei a Santa o a Finale, ma mai nel caos immobile di Genova. Pare invece che tali lussuosi loculi fino a 9.000 al mq, siano stati già opzionati per la maggior parte soltanto da nostrani parvenu. Quindi l’operazione turistica, fallita in partenza, si è dimostrata l’ennesima bufala. In compenso quella immobiliare è ben redditizia a favore di un Piano ben programmato e di chi ci gira intorno. Il lusso galleggia sempre, come qualcos’altro.
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Toti progetta la sanità come in Odissea nello spazio
L’ultima vague linguistica per fregare cittadini indifesi, adottata dai furbacchioni che fanno mercato della sanità da piazza De Ferrari, è annunciarci l’avvento – niente meno – che della medicina “computazionale”. Dubitiamo che l’orecchiante Giovanni Toti abbi la minima idea di cosa significhi l’aggettivo che gli gonfia le guance carnose, come un lecca-lecca.
Toti naviga nel computazionale… |
In effetti dicesi computazione lacapacità di calcolare; nella infosfera, lo spazio creato dalle tecnologie digitali, il virare dell’informazione in Big Data. Ossia una sanità che accumula dati acritici non conoscenza, governati dall’Intelligenza Artificiale? Magari con una personalità sociopatica come il calcolatore Hal 9000 del film di Kubrick. O solo l’astuto diversivo per occultare una sanità ligure alla canna del gas. |
…e intanto Bucci pratica il fare |
EDITORIALI
Alberto Diaspro (IIT) risponde alla nostra lettera aperta del 15 dicembre scorso
Caro Pierfranco, devo dire che, per come lo conosco io, Roberto Cingolani ha una sensibilità verso il bene pubblico, è animato da passione civile ed è uno scienziato non solo di formazione ma anche in termini di preparazione e di attività di ricerca. Le nostre discussioni scientifiche sono sempre state ad alto livello scientifico. Inoltre, ritengo di poter dire che Roberto Cingolani assuma come inseparabili il futuro della ricerca e quello dei giovani.
La critica può essere, è, uno stimolo a migliorare. Mi rendo conto che non sia facile “segmentare” gli argomenti di critica ma credo valga la pena di farlo, proprio per il bene comune cui ti appelli.
La tua affermazione che l’IIT “continua a essere un’occasione mancata per il territorio” la prendo in considerazione da diverse prospettive. Dal mio osservatorio – dopo anni di disseminazione (caffè scientifici, servizi televisivi, articoli, interventi nelle scuole etc.) mi stupisco e mi rattristo quando qualcuno mi dice che non conosce IIT o che non sa che è “il vicino della porta accanto”. Lo dico per le opportunità di lavoro che offre non solo in termini di reclutamento, non essendo realizzato su base geografica ma per merito. Nessun percorso facilitato per i locali, ma trovo tuttora strano che non possa essere una molla di richiamo per attirare giovani all’Università o un collante per le giovani carriere in ricerca e, in generale a livello occupazionale. Non credo che la responsabilità sia di IIT e fa/deve far riflettere il dato recente riportato dall’Università di Genova (fonte Unioncamere, 2022) che su 100 richieste di lavoro rivolte a neolaureate e neolaureati in area scientifica, fisica e matematica si riescano a trovare solo 31 persone. Certo questo potrebbe voler dire che quelle/quei laureate/i preferiscono carriere di ricerca o di docenza o che le condizioni dell’offerta (di cui si parla scarsamente quando si dice che mancano le persone) sono particolarmente scadenti o non appetibili. Il territorio da un certo punto di vista non sembra recepire, se non in momenti elettorali (è tuttavia vero che siamo sempre in clima elettorale per un motivo o per l’altro) l’IIT come una vera risorsa, come la rosa da curare del piccolo Principe.
Sulla questione economica o amministrativa non saprei che dire, non conosco così bene le vicende. Quello che ho percepito è stato un comportamento da formica piuttosto che da cicala.
Circa lo Steinbeis di Stoccarda il “trasformare la visione in un affare” ti confesso che non risuona con la mia idea di ricerca anche se penso di poterne comprendere l’idea. Sulla ricerca, e in particolare sul trasferimento tecnologico, mi pare che sin dai primi giorni si sia trattato IIT come un neonato di cui ci si stupiva che non sapesse fare gli integrali e non parlasse tre lingue dopo pochi giorni. La ricerca ha un tempo di naturale sviluppo – se ne parliamo seriamente – tra i tre e i cinque anni in media. I colpi di “fortuna” per la loro natura si ripetono scarsamente e quelli avversi anche.
Colgo l’ironia più che comprendere il motivo del commento sulla “solitudine inselvatichita di Morego”. Devo dire che l’area ha un suo fascino, le colline di fronte con i forti e la campagna a vista d’occhio sono uno scenario interessante. Certo il territorio andrebbe curato di più non solo perché “c’è IIT”. È stato bello scoprire che ricercatrici e ricercatori nella ricerca di un rapporto più stretto con la natura abbiano deciso di scollinare fino alla città, facendolo più frequentemente di quanto uno pensi e se con la funicolare della Zecca si arriva all’ultima fermata da lì un percorso in quota porta ai forti da dove si può scendere. Certo non l’ideale per andare a lavorare ma per questo servirebbe una maggiore attenzione in termini di trasporto pubblico. Personalmente in Vespa dal Centro storico impiego tra i 15 e i 20 minuti e mi ritengo uno dei miracolati al passaggio quotidiano sotto al Ponte. Forse ti sorprenderà ma molte ricercatrici e ricercatori hanno preferito alloggi vicino all’Istituto non per il costo (qui devo dire che alcuni locali non hanno fatto molti sforzi affittando a prezzi da centro città) ma per la collocazione nel verde tra le colline genovesi.
Riguardo al “criterio insediativo internazionale”, EMBL o Janelia Farm non sono esattamente in una collocazione centrale…per raggiungere il Frahunhofer di Stoccarda o Jena o Gottinga in treno o auto non è immediato ma tutto questo a chi fa ricerca importa relativamente e anche a chi vuole avere interazioni con il mondo della ricerca, se davvero le vuole avere.
Mentre non conosco le vicende speculative, o almeno le conosco solo per sentito dire – ricordo benissimo il lenzuolo che sventolava fuori al palazzo di Morego con scritto in arancione “Carena Vende”. I collegamenti con risvolto giudiziale li lascio ad altri, potrei solo fare illazioni. Ho però trovato quell’edificio ottimo per ospitare i laboratori di ricerca: solette che reggevano buon peso, ascensori funzionanti, spazi per uffici ai piani alti e un solido pianterreno per ospitare strumentazione delicata come microscopi a tunnel elettronico o nanoscopi ottici e una camera pulita piuttosto che microscopi elettronici di nuova generazione. Non a tutti è nota la cura posta nel progettare e realizzare i locali per ospitare i microscopi elettronici di nuovissima generazione.
Le cose che citi come “giochini” dal mio punto di vista sono ricerca che porta conoscenza, che amplia la conoscenza e che ha il potenziale per far fare un salto tecnologico. Il vero salto tecnologico viene dalla ricerca “guidata dalla curiosità”, guardando indietro per fare un semplice esempio, l’IBM conosce bene questo aspetto; eppure, dall’IBM nessuno si aspetterebbe attenzione per la ricerca di base. Non entro nel merito scientifico per non appesantire oltremodo questa nota. La questione riguardane la comunicazione e le operazioni denigratorie andrebbe collocata in una morsa fatta da affermazioni gratuite su IIT, ma qui il dibattito retrospettivo sarebbe lunghissimo e sarebbe ingeneroso mettere insieme commenti sinceri con commenti di interesse.
La dissipazione cui fai riferimento non riguarda certo IIT ma semmai chi non è in grado di cogliere davvero, oltre i soliti proclami elettorali, e pienamente il potenziale di cui territorio dispone attraverso la presenza di IIT, UNIGE e CNR.
Mi ha fatto piacere la nostra discussione passeggiando per Genova. Trovo molto interessanti le tue analisi, per formazione non sono particolarmente interessato a commentare ciò che non conosco con un certo livello di preparazione o conoscenza. Nonostante gli anni continuo ad avere una visione romantica della ricerca, l’articolo scientifico lo considero un modo per avviare una discussione con altri ricercatori piuttosto che un elemento carrieristico. Leggo con molto interesse MicroMega.
Mi trovo d’accordo con “una chiamata a raccolta di tutte le forze vive locali per mettere a fattor comune saperi ed energie”. La troverei utile. Mi sfugge il significato di “specializzazioni competitive”, più comprensibile per me il successivo “pianificazioni strategiche”.
In effetti la presenza del pubblico-istituzionale non solo è auspicabile ma dovuta, secondo me.
L’avvio può essere dato da altri attori a patto che sia fatto in modo trasparente e nell’idea di ritorno sociale come obiettivo principale pur non dimenticando quello economico.
La tua recente ricerca sulle imprese familiari liguri evidenzia che “preziose disponibilità” e “competenze tecnico scientifiche” non mancano. Circa la “volontà politica”, sempre più frequentemente, penso che manchi, con poche eccezioni, la capacità politica, ma diciamo pure la volontà. Perché non farla emergere con il generoso impegno di donne e uomini che non vogliono più veder soffocare la città in questa atmosfera asfittica che la circonda? Sono personalmente disponibile, per quanto nelle mie capacità, a portare avanti una discussione e una analisi per fare respirare la città lavorando senza preconcetti e con una analisi basata su dati oggettivi.
AD
Caro Alberto, rispondo random tralasciando il furbacchione Cingolani, oggi in quota Meloni:
- Il problema del sito di IIT non è il paesaggio o l’accessibilità bensì la capacità di fertilizzare un territorio attraverso l’interdipendenza relazionale. Come da vostra missione statutaria Quanto oggi a Morego non avviene;
- Per quanto riguarda la destinazione d’uso del lavoro in IIT vorrei sommessamente ricordarti che vi chiamate non Istituto Italiano di Scienza bensì di Tecnologie, per cui la declinazione pratica della ricerca mi sembra iscritta nella vostra ragione sociale;
- “Specializzazioni competitive”: il comune amico Vincenzo Tagliasco mi diceva che nell’hi-tech bisogna fare scelte: nessuno può fare tutto. Nel caso, un territorio compete nella divisione internazionale del lavoro sviluppando peculiarità che diventano vantaggi attraverso un combinato ricerca-impresa. Sotto la regia della politica. Altrimenti sono solo effetti speciali (pelle del polpo, tablet per non vedenti, robottini dalla faccia buffa…) molto scenografici quanto infecondi. Come oggi. Alla faccia di tutti i soldi pubblici erogati all’IIT.
PFP
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Affidiamo alla penna di uno scrittore di successo il commento all’ennesima esibizione dell’estetica al ribasso di chi ci governa. Spia di una cultura da nuovo ricco che ormai omologa l’intero ceto politico. Perché il baraccone allestito da Toti per Capodanno, che insegue la popolarità attraverso lo star-system tv riciclato, non è diverso dalla logica di Burlando che alla Fiumara perseguiva lo stesso risultato con i marchi della merce. Sempre cattedrali del consumo sono.
Capodanno con i fondi di magazzino Mediaset
In quanti hanno festeggiato il Capodanno in Piazza de Ferrari a Genova, per assistere all’esibizione di vecchie glorie degli anni ’60 dall’espressione ormai mummificata o di emergenti speranzosi e sgangherati? 30.000 hanno detto gli organizzatori, peccato che in piazza non ce ne stiano più di 5.000. Una gran fuffa al prezzo esorbitante, pagato di fatto dai cittadini, di ca. 450.000 euro (fonte Repubblica). Una bella regalia a Mediaset, che tanto piace fare ai nostri amministratori. Visti i risultati poco onorevoli alle elezioni, si mormora pertanto un ritorno di fiamma, fra Toti Margherita e Berlusconi Maestro. E a monte di questo triste e tristo spettacolo, il primo ha pure regalato al secondo qualcosa che non gli appartiene: il mio e il vostro palazzo della Regione, facendone un camerino da teatro. Toti, nonostante il tronfio atteggiamento, non ne è il padrone, ma solo un temporaneo inquilino, e l’uso che attualmente ne può fare è per legge soltanto di tipo istituzionale. Non mi dispiacerebbe che il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti ficcassero un po’ il naso in questo uso improprio del Palazzo. E mi chiedo anche, scendendo più in basso, a che cosa serva allora la Prefettura, l’occhio del Governo sulla Provincia, seppur ormai abolita. Il buon Ferruccio Sansa aveva denunciato, ma a tempo ormai scaduto, questo spregio della casa di tutti, con tanto di foto pubblicate sui giornali. Ma il tutto condito anche con una scusa che sinceramente poteva evitare: il consigliere regionale (lui) che va da un assessore per chiedergli una mappa catastale e trova il suo ufficio diventato un camerino teatrale. Ma che c’azzecca, direbbe il vecchio Tonino? Se vuoi una mappa cercala sul sito della Regione o chiama o fai chiamare l’ufficio competente. Non si va dall’assessore. Talmente ridicola la storia e la scusa, che non era nemmeno sotto metafora e se lo era non l’ha capita nessuno, che ha di fatto offerto la sua testa di martire all’ascia totiana.
Che a sua volta ne ha approfittato per sparare bugie sesquipedali: che “centinaia di migliaia di genovesi che aspettavano l’evento (di “nani e ballerine”, secondo le sue stesse parole).Tacendo sui costi, non dicendo una parola sull’uso improprio del palazzo della Regione, millantando che la manifestazione sarebbe diventata un spot per il turismo ligure. Spot? Una piazza che poteva essere di qualunque città, perché Genova non si è mai vista.
E perché le forze dell’ordine non hanno bloccato e multato i vicini idioti che sparavano fuochi proibiti?
Caro Ferruccio: l’accordo con il Berlusca andava denunciato urbi et orbi molto ma molto prima, esercitando i poteri che gli elettori ti hanno dato per tentare almeno di impedire questa vergogna Non farsi prendere in giro, con effetti boomerang. Inoltre lo spettacolo si poteva fare, a esempio, come nel ‘97 al Porto Antico, con i pullman/camper già attrezzati per camerini e trucco/parrucco, così come per più grandi artisti di musica, tv e cinema. No, Toti & Co. dovevano ingraziarsi il vecchio padrone e mostrare l’arroganza agli altri: con i soldi nostri. Ma il vento può cambiare, sempre.
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CAM
La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.
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Hanno scritto per noi (tra gli altri):
Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Arnaldo Bagnasco, Susie Bandelli. Enzo Barnabà, Marco Bersani, Marco Baruzzo, Pieraldo Canessa, Nuccia Canevarollo, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Alberto Diaspro, Marco Fabbri, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Andrea Moizo, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Roberta Piazzi, Enrico Pignone, Bernardo Ratti, Adrano Sansa, Ferruccio Sansa, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Orietta Sammarruco, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Rino Tortorelli, Giulio A. Tozzi, Gianmarco Veruggio.
POSTA
Pubblichiamo questa lettera che fornisce una conferma diretta alle tante denuncia riguardo al disservizio sanitario che stanno giungendoci quotidianamente. Mentre gli amministratori regionali giocano a scaricabarile.
Ospedale Galliera: una testimonianza
Mi chiamo Luca Nanfria e sono un delegato dell’Unione Sindacale di Base. Il giorno 21 dicembre sono stato costretto a richiedere l’intervento dell’ambulanza per problematiche di salute che in quel momento non credevo essere gravi ma sicuramente meritevoli di una visita al Pronto Soccorso.
Chiamo il 118 e avverto subito della mia positività al Covid. Arriva il milite dell’ambulanza in casa. Nessuno lo aveva avvisato della mia positività e lo invito a mettersi subito la FFP2 a salvaguardia della sua incolumità (suppongo qualcuno debba ancora lavorare, a distanza di 3 anni dall’inizio della pandemia su quelle che sono le basi per la tutela dei lavoratori inerenti il rischio biologico) Per ragioni anche di vicinanza a casa chiedo di essere accompagnato a San Martino per forti dolori al fianco destro ma il milite (o infermiere, mi spiace non poter essere più preciso) mi comunica, con mio stupore, che hanno ordine di inviare tutti i pazienti positivi al Galliera. E sono pronto a testimoniare in ogni sede quanto mi è stato riferito.
Arrivo al PS del Galliera e, effettuata la rilevazione dei parametri vitali, mi viene assegnato il codice azzurro che, come da attuali normative prevede una presa in carico entro un’ora dall’arrivo in PS. Personalmente credo che “la presa in carico” non si limiti alla rilevazione dei parametri vitali ma all’inizio delle prestazioni mediche dovute al caso. In realtà, dalle 7 del mattino sono stato, al di là di alcune rilevazioni dei parametri vitali e di una visita di un chirurgo dopo, se non erro, 8 ore, letteralmente abbandonato su una barella senza alcuna indicazione su come potessi comportarmi. Senza acqua, cibo o motivazione medica per cui non potessi eventualmente assumerne. Inoltre non era presente neanche una spina per il telefono per poter ricaricare il cellulare e poter avvisare i miei famigliari di ciò che stesse accadendo. Tutto questo dalle 7 del mattino fino alle 19, orario in cui sono stato trasferito in reparto.
Pertanto, causa la mia positività al Covid sono stato collocato, con dolori molto forti, in un angolo del tendone del pretriage, diviso da “grottesche paratie” dal resto dell’utenza senza che potessi comunicare neanche con gli operatori a meno non intravedessi qualche persona avvicinarsi e chiedere aiuto.
Nella maniera più assoluta non intendo accusare alcun operatore di tutto questo ma un’organizzazione a dir poco imbarazzante (il giorno stesso non mi sarei limitato a definirla in questo modo).
Successivamente sono stato ricoverato 10 gg in 3 reparti differenti e dimesso successivamente a intervento chirurgico. Mi ha colpito la professionalità dei vari operatori che ho visto avvicendarsi e nel reparto Covid mi permetto di utilizzare il termine “amore” con cui venivano assistiti gli anziani ricoverati che ho visto letteralmente “coccolare”. Commovente.
Nei diversi reparti ho potuto notare la promiscuità ovvero l’essere ricoverati uomini e donne nelle stesse camere con bagni in comune che non si chiudevano e con pochi separé.
Ho voluto scrivere questa mia breve esperienza personale per affermare ancora una volta che sia i cittadini che i lavoratori non si meritano questa gestione della “res publica” da parte di politici e dirigenti che, evidentemente per fortuna loro non si sono mai ritrovati in questo stato di necessità e per invitare i Consiglieri Regionali, come da loro diritto a visitare i nostri ospedali ed a farlo senza preavviso
Luca Nanfria
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Riceviamo dagli amici del Circolo Nuova Ecologia questo contributo, denuncia dell’insensatezza di una politica comunale genovese che persegue solo effetti speciali, nel suo verticismo contrario alla partecipazione democratica.
Resistere, mobilitarsi a difesa dei beni comuni
Le vertenze sono all’ordine del giorno nella città amministrata dal centro-destra di Bucci (e Toti a fare da controcanto in Liguria), e questo a ben pensarci è un fatto straordinario. Infatti ciò avviene mentre si spinge a mille sul tasto dell’immaginario, dopo il deprimente grigiore che ha caratterizzato le Giunte a guida PD, contando su risorse economiche come mai prima e su poteri al limite del discrezionale, e vellicando il palato del pubblico (pagante a sua insaputa) con i progetti più disparati, che nulla hanno però a che fare con la storia dei territori interessati. Come per esempio nel caso della Metropolitana sopraelevata in Valbisagno o della Funivia per i forti (mancano gli asini che volano, ma forse anche qui un’idea loro ce l’hanno) oppure della nuova superdiga foranea con la Valpolcevera asservita alle esigenze degli operatori della logistica o dei depositi petrolchimici a Sampierdarena, ma anche per gli interventi di restyling basati su un’idea di decoro intesa come pulizia e valorizzazione commerciale degli spazi – vedasi il porticciolo di Nervi, le piazzette del Centro Storico ecc…, e poi passerelle, ombrellini in aria, ruote panoramiche, luci e nastrini.
Naturalmente non ci si dimostra insensibili alle richieste provenienti da poteri economici a loro vicini, come quelli che riguardano l’apertura di nuovi grandi centri commerciali, assicurandosi nel contempo la benevolenza dei mass-media locali con laute elargizioni e avvalendosi di ben orchestrate campagne social.
Ma il Circolo Nuova Ecologia tiene la barra dritta e monitora o supporta per quanto possibile chi non si rassegna e ancora ritiene che i cittadini siano portatori di diritti e non semplici sudditi che debbano prendere atto di chi decide in loro vece e al massimo concede qualche ritocchino di facciata, chiamandola partecipazione: al netto della retorica, del fumo gettato sugli occhi o dei deliri di onnipotenza la realtà che si presenta è che nessuno dei grandi problemi che affliggono Genova e la Liguria è stato davvero risolto, anzi.
Dalla questione del traffico e dell’inquinamento urbano (sempre più caotico e con un servizio pubblico scadente che continua a perdere utenza), dalla raccolta dei rifiuti alla differenziata (tasse e servizio tra i più cari e meno virtuosi d’Italia), dalla disponibilità di verde pubblico (si maschera tale indicatore conteggiando il verde non accessibile dei versanti, mentre le alberature urbane diffuse sono in controtendenza rispetto al trend di altre importanti città e le pedonalizzazioni attuali, lungi dall’essere aumentate, sono minacciate da deroghe sempre più ampie di sosta e transito), mentre la Sanità e la protezione delle Aree interne tutelate, da fiore all’occhiello della Regione stanno declinando per la svendita ai profitti privati con la liberalizzazione dei servizi ospedalieri e diagnostici e gli appetiti per ricerche estrattive in campo minerario.
È questa la vera faccia della Destra, condita dal disprezzo per le zone popolari periferiche, dove la filosofia sottesa non è certo quella della sostenibilità ambientale quanto piuttosto il frutto della medesima delirante onnipotenza che ci ha portato a questa situazione oramai fuori controllo a livello urbano e planetario e al crescere di deprivazione e deresponsabilizzazione sociale.
Dunque, è necessario valorizzare tutte le esperienze che si stanno proponendo di contrastare questa pericolosa deriva morale, sociale, ambientale. Per farlo purtroppo è spesso necessario ricorrere alle vie legali, visto che il livello d’ascolto è pari a zero (anzi fino all’ultimo si cerca di non fare filtrare le notizie sui progetti in questione), cosa naturalmente che produce una ancora più accentuata disuguaglianza tra il grado di autoprotezione di cui possono disporre le classi popolari rispetto ai quartieri residenziali più agiati.
È tuttavia quasi un miracolo, come si accennava all’inizio, che in queste condizioni si riescano ancora a mobilitare le persone, bersaglio di un continuo flusso informativo distorto od oggetto di messaggi che hanno l’obiettivo di dimostrare l’inutilità del darsi da fare in difesa dei beni comuni ovvero del proprio territorio e dei diritti di cittadinanza.
Ci sono in campo molteplici azioni tese a chiedere soluzioni diverse da quelle prospettate, come per esempio nel caso già citato dello Skymetro, fortemente impattante dal punto di vista paesaggistico, dove il Circolo Nuova Ecologia con Italia Nostra e altre Associazioni della zona si sono fatti latori presso la Sovrintendenza di una richiesta di vincolo d’insieme su una parte della Bassa Valbisagno, nell’ottica di innescare un processo virtuoso che estenda progressivamente la valorizzazione delle peculiarità storico-ambientali della vallata. Tutte quante le esperienze di resistenza cercano di fare fronte comune per dare conto di un’altra idea di città, e quello odierno rappresentato dalla Rete genovese dei comitati, cui va naturalmente il nostro incondizionato appoggio, è solo l’ultimo tentativo in proposito.
E, per finire, un’altra battaglia portata avanti dal Circolo su Euroflora contro la spettacolarizzazione consumistica e l’abuso perpetrato ai danni dei Parchi Storici di Nervi.
Marco Fabbri – Circolo Nuova Ecologia di Genova
ECO DELLA STAMPA
Pubblichiamo alcuni passaggi significativi dell’intervista a Francesco Quaglia, neo Direttore Generale dell’ospedale Galliera, apparsa su il Secolo XIX del 3 gennaio
Sfida del nuovo Galliera, siamo vicini a partire. Il personale nel mirino? È sacro!
- Lei è chiamato a essere il protagonista della transizione verso il nuovo ospedale, non è proprio un passaggio da poco; come lo vive?
“L’aspettativa è altissima, parliamo di un ospedale progettato negli anni Settanta dell’Ottocento che è, sostanzialmente, ancora lo stesso ospedale di allora, con una struttura antitetica rispetto alle necessità dei sistemi organizzativi moderni, non adatta alle modalità di gestione attuali”.
- Ed è già storia: il bivio ristrutturare o rifare, con la scelta di puntare su un Nuovo Galliera che ancora però trova resistenze.
“Già anni fa ho polemizzato con chi mi parlava della possibilità di procedere a una semplice ristrutturazione: ma se al costo di un ospedale da 400 posti ne realizzi uno da 200 dove vai? Questo è un DEA, un ospedale di rilievo nazionale, un nuovo ospedale è assolutamente necessario. Speriamo che tutto si sistemi dal punto di vista dei contenziosi. C’è un’offerta in fase di valutazione e penso sia la volta buona.
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Riportiamo una notizia in genere silenziata, apparsa su il Fatto Quotidiano del 4 gennaio a firma Ilaria Proietti
Rincari e inflazioni: le Regioni alzano i vitalizi agli ex eletti. Toti in testa
“Stiamo lavorando perché la nostra Regione diventi una sorta di Florida d’Italia”. Il presidente della Liguria Giovanni Toti promette un 2023 da sogno. Ma per la verità l’anno si è appena chiuso con il botto dei tappi di champagne solo per pochi. Tra questi sicuramente gli ex consiglieri regionali che in Liguria hanno trovato l’America. Di più, il Bengodi: i loro vitalizi senza colpo ferire sono stati aumentati prima del cenone di Capodanno del 12 per cento grazie ad un adeguamento automatico all’indice di inflazione disposto dal Consiglio regionale. Uno schiaffo alla povertà inserito nel bilancio di previsione dell’amministrazione da votare, prendere o lasciare.
FATTI DI LIGURIA
Ambiente, propositi per il 2023: proviamo a fare rete
Buongiorno signore, com’è la situazione dell’ambiente a Genova?
L’ambiente a Genova sta male, molto male, direi malissimo.
Eppure se ne parla molto sui giornali, sui media escono spesso comunicazioni importanti.
In realtà parlano di fuffa. Pura e semplice fuffa. Salvo importanti esempi singoli, l’indipendenza della stampa e la professionalità della comunicazione a Genova sono inesistente.
In più ci sono tre grossi problemi. Il primo è il fatto che la linea di pensiero e di azione delle nostre amministrazioni è tutta incentrata sull’interesse privato; a scapito di quello pubblico.
Ogni decisione non viene discussa con i cittadini, con il municipio, ma calata dall’alto come la panacea che permette finalmente di fare qualche cosa. In realtà pochissimo e malissimo.
Poi siamo in presenza di una opposizione istituzionale inesistente. Anche in questo caso, fatte salve alcune eccezioni, l’opposizione politica è asserragliata all’interno dell’istituzione. Fuori non c’è, non si confronta coi cittadini, men che meno promuove vertenze. Gli stessi municipi si limitano a sostenere senza remore le linee dall’amministrazione.
In terzo luogo esiste in campo ambientale e sociale un’opposizione vivace e presente sul territorio, ma purtroppo molto frammentata. Si dedica al proprio pezzettino, da cui non si muove. Un modo di pensare e di agire è assolutamente diffuso nella nostra città: a Pra’ non interessa ciò che succede a Nervi, e viceversa. Da qui le ovvie difficoltà a gestire e soprattutto a vincere le vertenze quando hai contro un’agguerrita maggioranza e molto spesso anche il tuo municipio di riferimento.
Proprio per invertire l’andazzo una serie di comitati stanno tentando di costruire una rete di associazioni e di comitati che evidenzi la presenza in città di una fetta consistente di cittadinnza che si oppone alle politiche di questa amministrazione; e sollecita l’opposizione politica a maggior coraggio e maggiore presenza.
Il filo conduttore di questa rete è la solidarietà, la trasparenza, la partecipazione nel rispetto delle leggi. Cose ovvie, purtroppo inascoltate e non praticate. La frammentazione, peraltro ampiamente funzionale alle amministrazioni che ci governano, comporta che si creino lotte intestine, contrapposizione di un quartiere all’altro, conflitti per errore. Una realtà figlia dell’abbandono pluridecennale dell’interesse pubblico da parte di tutte le forze politiche genovesi. Scambiato con l’Interesse privato. Il motivo per cui stiamo cercando di costruire questa rete, di renderla visibile, portando avanti l’interesse pubblico. In tutte le declinazioni. A favore dell’ambiente possiamo parlare del verde pubblico, dei depositi chimici di Sampierdarena e dalla mobilità, in particolare dello scandalo dello Sky metro, dei riflessi sulla salute e la qualità della vita per i cittadini del gravissimo inquinamento in atto, della mancanza di attenzione per le continue cementificazioni e speculazioni immobiliari avvallate ovunque da queste amministrazioni.
Ecco, nel nostro piccolo e con moltissime difficoltà, stiamo cercando di dare una voce a questa opposizione sociale e ambientale pur molto presente a Genova.
Andrea Agostini.
Mentre Giovanni Toti, rientrato per Capodanno nel pollaio Mediaset, ripropone gli ultimi scampoli irridenti dell’Edonismo Berlusconiano, le disuguaglianze e l’impoverimento dilagano incontrastati anche in terra di Liguria. Ce ne fornisce ennesima riprova questo accorato documento di lavoratori colpiti prima di tutto dall’indifferenza della politica: la categoria sempre tartassata dei pendolari, le cui associazioni hanno testé emesso il seguente comunicato (steso con il contributo del prof. Brenna, docente di Politica dei Trasporti presso l’Università Bocconi),
Facciamo chiarezza sull’aumento delle tariffe ferroviarie regionali
Leggiamo sui media che l’Assessore ai Trasporti della Regione Sartori ha affermato che i comitati pendolari “hanno apprezzato molto” in sede di tavolo tecnico la scelta della Regione di aumentare gli abbonamenti in misura minore rispetto ai biglietti.
Come in occasione dell’aumento del 1° gennaio 2022, ribadiamo con forza che non ci siamo mai espressi rispetto a questa scelta meramente politica, riguardante aumenti da noi ampiamente contestati negli anni e che rende, inoltre, arduo il calcolo dell’aumento effettivo, visto il peso differente delle due componenti: quanti sono gli abbonamenti e quanti i biglietti?
Ricordiamo che l’aumento del titolo di viaggio non è dovuto all’inflazione, ma era stato programmato nel 2018 in sede di firma del Contratto di servizio con Trenitalia 2018-2032 attualmente vigente (Vedasi Allegato 6 del CdS 2018-2032, tabelle pag. 30).
L’aumento era finalizzato alla copertura da parte della Regione dell’affitto di 48 nuovi treni.
Operazione, questa, che i comitati di pendolari in sigla, accreditati in Regione, avevano contestato sin da prima della firma del contratto, perché i nuovi treni sono inadeguati per la Liguria: Rock e Pop non possono viaggiare oltre Imperia, motivo per cui i pochi treni che collegano Genova al Ponente sono costituiti prevalentemente da materiale prossimo alla rottamazione o da Jazz che viaggiano stracolmi. Seppur nuovissimi hanno già provocato notevoli ritardi per guasto, con relativi costi di manutenzione e spesso si presentano con una o due porte rotte per convoglio e prese usb non funzionanti, mentre i Jazz viaggiano periodicamente con l’unico bagno rotto per tragitti anche di 150 km.
Ma, soprattutto, i treni nuovi hanno una capienza complessivamente inferiore a quella dei treni che sono andati a sostituire, tanto che i Pop vengono fatti circolare in “doppia composizione”, fatto che rende il numero dei treni nuovi utilizzabili inferiore ai 48 dichiarati, senza parlare della grave diminuzione della sicurezza per il mancato presidio del Pop in coda da parte del capotreno che, in caso di emergenza, non può materialmente intervenire prima della sosta in stazione.
È inoltre ormai di pubblico dominio, grazie al Comitato dei cittadini, pendolari e operatori delle Cinque Terre ricorrenti contro il biglietto maggiorato, che la Regione Liguria con la scelta di affittare questi nuovi treni, paga 147 milioni in più rispetto a quello che avrebbe pagato, al netto del mutuo, se avesse li avesse comprati…147 milioni di euro coperti anche questi con gli aumenti tariffari! (Senza considerare il fatto che i biglietti dei treni liguri, già prima dell’aumento del 2022, erano del 70% più cari della media dei biglietti di tutte le altre regioni italiane).
Alla luce di ciò, non esprimiamo apprezzamento, ma, sapendo bene che questi aumenti non sono certo gli ultimi e sono anzi programmati ulteriori aumenti fino alla scadenza del contratto nel 2032, siamo sempre più sconcertati dall’essere chiamati in causa per limitare l’impatto mediatico di scelte non oculate e da noi mai condivise.
Claudio Brenna (coordinator
La storia del porto di Genova seppellita in barba alla legge
Non tutto è stato detto a proposito dell’affioramento di resti archeologici dell’antico “molo nuovo” durante i lavori ai binari di Parco Rugna e sul loro rapido riseppellimento.
Infatti, la Soprintendente ai beni archeologici Cristina Bartolini scriveva nella relazione: “I lavori del nuovo parco ferroviario presentavano il rischio di intercettare strutture del Molo Nuovo, il cui stato di conservazione e localizzazione erano difficilmente ricostruibili a priori. Pertanto la nostra Soprintendenza prescriveva indagini da realizzarsi a seguito della dismissione dalla reta ferrata di servizio alla calata, quali attività rientranti nel campo dell’archeologia preventiva”.
L’archeologia preventiva di cui parla la Soprintendente, prescrive secondo la legge che “prima dell’approvazione, le stazioni appaltanti trasmettono al soprintendente il progetto di fattibilità dell’intervento, ivi compresi gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari”.
Se la Soprintendente ha davvero emesso la prescrizione, cosa ha fatto la stazione appaltante, ossia l’Autorità di sistema portuale? Aveva trasmesso alla Soprintendenza il progetto ai fini archeologici? Aveva compiuto le indagini preliminari?
I lavori sono cominciati a dicembre 2021. Gli 8 mesi di bonifica e i sondaggi preventivi, ante la messa in opera dei nuovi binari, erano un periodo sufficiente per consentire i rilievi, prima che l’avanzamento dei lavori fornisse i motivi-alibi di non rallentare il cantiere. Ma non risulta che alcuna indagine preventiva sia stata fatta da parte di Palazzo San Giorgio né che la Soprintendenza sia intervenuta. Ci risulta invece che a settembre la Soprintendenza si è limitata a tracciare la superficie del molo; mentre non è stato compiuto l’atto principale: la stratigrafia che avrebbe verificato la sua tecnica di fondazione. L’Ente si è giustificato che non era necessario perché esiste la documentazione originale del progetto (in verità, un mero disegno, poco più della sola sezione del molo e una descrizione letteraria). Motivazione non degna della Soprintendenza, perché la stratigrafia doveva consentire di verificare l’effettiva messa in opera, che costituisce l’innovazione della costruzione e che gli ha attribuito un precipuo valore nella storia della tecnica e della scienza nell’ingegneria portuale europea.
Se non era per un portuale che, passando per Parco Rugna una domenica di settembre, scattò le foto di un muro emerso dalla terra rimossa, pubblicato da Shippingitali.it per informare del ritrovamento archeologico, probabilmente nemmeno saremmo qui a parlarne.
Altro che Archeologia preventiva! Altro che prescrizione di legge per la stazione appaltante, ossia l’Autorità portuale! La soprintendente ha dichiarato che si tutelano i beni culturali non solo per la nostra generazione ma soprattutto per quelle a venire, “auspicando che i progetti di valorizzazione di Calata Bettolo possano riportare il Molo nuovo alla luce”. Ma quali progetti sono previsti?
Si resta ancora in attesa di una dichiarazione ufficiale di Palazzo San Giorgio in merito a questa vicenda, che è stata oggetto solo di un comunicato tecnico del capo cantiere. Per non parlare dell’assenza di una qualsiasi censura da parte delle istituzioni preposte per tale comportamento civilmente irresponsabile. Oltre che illegale, se la prescrizione della Soprintendenza c’è stata e se l’Autorità portuale prima non ha adempiuto al Codice dei contratti pubblici in attuazione delle direttive europee, e poi non ha nemmeno corrisposto alla prescrizione.
Riccardo Degl’Innocenti
Storie patrie: la Crimea e il Mar Nero lago genovese
Sul numero di novembre di Limes, presentato durante il festival a Palazzo Ducale della rivista di geopolitica, troviamo la ricostruzione di una storia d’estrema attualità, ma di cui non si riscontrano tracce nella nostra memoria patria; a firma del giornalista genovese già inviato de la Repubblica, Marco Ansaldo: la vicenda durata due secoli – 1270-1475 – in cui la città di San Giorgio si insediò in Crimea, installando colonie i cui nomi sono iscritti nella nostra toponomastica: Trebisonda, Caffa e – appunto – via Crimea. Assieme a città affacciate sul mar d’Azov, tra cui Kerc, la Vosporo genovese, fondata dai coloni giunti da Mileto nel VII secolo a.C. come Panticapaeum.
Il complesso coloniale della cosiddetta Gazaria: l’insieme degli insediamenti oltre il Mediterraneo dei nostri antenati. E proprio a Kerc si era installato nel 1381 il console della lontana comunità, Antonio Malocello; quale rappresentante della madre patria in una diaspora già cantata due secoli prima dal poeta Lucchetto: E tanti sun li Zenoexi/ Per lo mondo si destexi/ Che und’eli van o stan/ Un’atra Zena ghe fan. “Atra Zena”, la dozzina di città dislocate lungo la costa della Crimea con una motivazione precisa: il commercio del grano. Perché già allora la retrostante Ucraina era il granaio d’Europa, i cui traffici determinavano un andirivieni di navi genovesi dal Mar Nero (così chiamato per il colore delle sue alghe) al Mediterraneo. Business portentoso, creato a spese dei veneziani grazie al rapporto privilegiato con l’impero bizantino, che lascerà tracce persino nell’idioma ligure medievale, in cui il vocabolo “grano” diventa “a berdiansa”; dalla città di Berdians’k, una delle mete del traffico mercantile.
A tale riguardo lo storico francese Michel Balard – autore del saggio 1261. Genova nel mondo pubblicato da Laterza – scrive che “gli insediamenti genovesi d’Oltremare sono stati il laboratorio della colonizzazione moderna”. Potremmo dire, lo straordinario esempio di neo-colonialismo ante litteram da parte di questi nostri formidabili antenati che, mentre l’età di mezzo e poi la modernità praticavano l’insediamento come imperialismo a base territoriale, intuivano e realizzavano modelli a rete. Già con il network avviato dopo la Prima Crociata in quello che Fernand Braudel chiama “l’impero fenicio dei fondaci”, riproposto meno di due secoli dopo nel Mar Nero trasformato in “lago genovese”. L’incredibile intuizione postmoderna che contrappone al dominio militare (impero coloniale) il controllo economico dei flussi; appunto neocoloniali. Sicché le imponenti fortificazioni genovesi in Crimea (la cinta muraria più grande d’Europa; la seconda al mondo dopo la Grande Muraglia cinese) avevano una mera funzione difensiva dei trading post, sempre sotto minaccia da parte delle popolazioni tartare dell’interno.
Questa straordinaria epopea termina con la conquista ottomana del 1475; quando i tempi si presero la rivincita sugli anticipi temporali e il territorialismo armato soffocò il capitalismo mercantile.
Ma l’acquisizione del principio di organizzazione a rete rimarrà confisso nell’intelligenza collettiva dei nostri avi: dalle reti finanziarie con cui trasformare il metallo prezioso delle Americhe nelle paghe dei mercenari di Carlo V e Filippo II acquartierati in Fiandra, sino ai flussi degli emigranti verso il Rio de La Plata in viaggio sui vapori salpati dal porto di Genova.
Storia di innovazioni socio-economiche di cui non vi è traccia nel declino di una terra che conobbe stagioni di impareggiabile grandezza.
PFP
Intelligenza Artificiale a Erzelli. Sanità 4.0 o ennesima mistificazione?
La Giunta regionale ha approvato il documento di progetto finalizzato alla realizzazione ad Erzelli dell’ospedale del Ponente: un DEA di I livello, cioè con funzioni di accettazione in emergenza-urgenza per patologie di maggiore complessità, con 430 posti letto per acuti e 128 posti letto per la riabilitazione con ausili robotici. Nientepopodimeno che l’apoteosi scientifica con un centro di ricerca traslazionale e terapie avanzate, un’officina di sperimentazione di prototipi e di sviluppo di modelli computazionali e tecnologici. Tale attività riguarderà le aree delle neuroscienze, dell’oncologia e della robotica riabilitativa. Se per ricerca traslazionale in medicina ci si riferisce al trasferimento dei risultati della ricerca di base in utili impieghi clinici, cosa si intende invece per ‘medicina computazionale’? ’Computazionale’ è tutto ciò che riguarda l’elaborazione elettronica attraverso l’uso di computer, utilizzati per la loro sempre più elevata capacità di calcolo. Le scienze computazionali si sono sviluppate negli ultimi decenni, con applicazioni in chimica, fisica, matematica, linguistica e appunto in medicina; dove risolvono problemi, altrimenti irrisolvibili per tempi e possibilità di calcolo umano, con l’utilizzo di elaboratori dalle appropriate potenze di processamento in grado di svolgere milioni di miliardi di operazioni al secondo. La medicina computazionale usa modelli statistici e software evoluti per simulare lo sviluppo e il trattamento della malattia. I sistemi biologici sono infatti sistemi assai complessi e i relativi modelli computazionali servono a comprenderne il funzionamento, in salute ed in malattia. Il processo si avvale del contributo dei cosiddetti ‘big data’, enormi quantità di informazioni di carattere clinico, che oggi sono a disposizione e provengono da studi clinici randomizzati (cioè condotti su due gruppi di soggetti assegnati a caso), da dispositivi medici individuali dotati di sensori che trasmettono dati biologici, da immagini diagnostiche di vario tipo già ampiamente usate negli ospedali, ma anche da archivi elettronici sanitari, da analisi molecolari ed altro ancora. In breve, il quadro clinico individuale sarà confrontato con altri milioni di dati provenienti da altri casi, per convergere in questo modo sulla prescrizione della cura migliore. Le prospettive sono davvero affascinanti e, accanto a problematiche etiche e gestionali immaginabili, non possiamo ignorare le infinite potenzialità connesse. Le tecnologie e gli algoritmi esistono e funzionano bene, ma per applicarli ed integrarli con la realtà si dovranno impiegare le giuste risorse.
Tradotto nel panorama ligure reale, crescono le perplessità di fronte a tale progetto; specie se rapportato con i disagi quotidiani che il degente prova di fronte alla battaglia degli operatori con sistemi informatici lenti, che non comunicano con quelli di altre strutture, se non addirittura con dispositivi che non funzionano. Il fascicolo sanitario elettronico, pilastro del percorso verso la sanità digitale, è ancora lontano dalla sua piena attuazione. Il timore che i gravi problemi da cui è affetto il servizio sanitario ligure rimangano irrisolti non può che trasformarsi in amaro scetticismo, tenuto conto che la rete ospedaliera in cui il progetto futuribile dovrà integrarsi rimane in grossa sofferenza. La possibilità che la gestione della nuova struttura sia magari in parternariato pubblico-privato non fa che aumentare i motivi di preoccupazione.
Nuccia Canevarollo
Inchieste e richieste: dalla padella nella brace!
La notizia apparsa sui quotidiani nazionali e sui media locali, è di quelle clamorose, può provocare un terremoto giudiziario e coinvolgere la nostra Provincia: Gaia Checcucci, Commissario ad Acta dell’Ato idrico imperiese, risulta indagata e destinataria di una misura cautelare interdittiva in un’inchiesta a Roma che mira a far luce su presunti episodi di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari. Dai primi elementi che emergono dall’ipotesi accusatoria, gli indagati avrebbero messo in piedi un vero e proprio sistema per pilotare nomine di magistrati e sentenze al Tar del Lazio e per favorire la designazione della Checcucci a capo dipartimento o dirigente di una delle unità di struttura destinate a gestire i fondi del Pnrr. L’inchiesta si concentra molto su Imperia, 64 delle 84 pagine di ordinanza di custodia cautelare sono dedicate alla nostra Provincia. Senza entrare nel merito di un procedimento giudiziario che è solo all’inizio ma che merita certamente attenzione, alcune valutazioni politiche e sulle ricadute territoriali nella vicenda di Rivieracqua, la società che gestisce il servizio idrico nell’estremo ponente, sono necessarie.
Basti ricordare che nei molteplici incarichi rivestiti, Gaia Checcucci, paladina della privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali nella campagna referendaria del 2011, è stata più volte criticata per aver svolto ruoli anche in conflitto con la funzione pubblica, di volta in volta esercitata. E’ il caso in cui, nel 2016, a capo della Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque del Ministero dell’Ambiente, nonché Segretario generale delle Autorità di bacino del fiume Arno, risultava essere anche componente dei Consigli di amministrazione delle società Nuove Acque e Intesa Aretina Scarl, per la gestione del servizio idrico aretino, nominata proprio dalla multinazionale francese Suez.
Riguardo all’incarico imperiese, dal quale è stata inibita per i procedimenti in corso, se la politica commissariale da un lato ha proceduto speditamente nell’acquisizione delle gestioni cessate (AMAT, AIGA, AMAIE, I2ReteGas), lavorando alacremente all’ingresso del socio privato in Rivieracqua – un atto che tradisce e mortifica l’esito referendario sull’acqua – dall’altro ha instaurato un clima di scarsa trasparenza nella conduzione dell’Ato, che è continuato nei ritardi a porre rimedio ai tanti scenari di emergenze idriche vissute nei territori.
Per Rivieracqua ora le cose rischiano di farsi ancora più difficili, alle prese con un piano di ristrutturazione del debito messo anche a dura prova dal caro energia.
C’è poi la questione della gara per l’ingresso di un socio privato, ritenuta dalla maggioranza dei Sindaci della Provincia l’unica via perseguibile per salvare dal fallimento il consorzio idrico costituito dai Comuni. Un progetto non privo di rischi, poiché il quadro trasformativo ipotizzato è stato materia di una sentenza della Corte di Giustizia Europea e valutata in contrasto con le normative vigenti (direttiva 2014/24/UE) rispetto al mantenimento del controllo analogo sul nuovo gestore.
L’auspicio è che la politica e i Sindaci abbiano un sussulto di orgoglio e ragionevolezza per evitare che tutto vada a rotoli, ovvero si sperperi un bene pubblico locale e si disperda un patrimonio aziendale e di tanti lavoratori e lavoratrici.
Resta da capire quali passi deciderà ora di compiere il Governo della Regione: se avviare un nuovo commissariamento o affidare le competenze alla Provincia di Imperia e al Presidente Claudio Scajola, per le quali si è affrettato ad avanzare più che velate disponibilità.
Per i beni comuni sarebbe proprio come cadere dalla padella nella brace!
MG
Arte e libertà, sensibilità femminile e grande pittura nel Secolo dei Genovesi
“Non c’è arte senza libertà”. Oggi è un’affermazione di tragica attualità, basti pensare solo per un attimo all’antica Persia con le bellissime città di Persepoli e Isfahan e oggi alla lotta delle donne iraniane per affermare il loro diritto alla libertà, all’istruzione, alla vita. O all’Afghanistan il cui sito archeologico di Bamiyan fu distrutto dalla furia cieca dei talebani. Ed oggi anche lì le donne scendono in piazza per rivendicare i loro diritti. Ma la consapevolezza del binomio arte/libertà non nasce certo oggi: ha ricordato Stefano Zuffi il 9 gennaio a Palazzo Ducale nel corso della conferenza, già dal titolo di grande attrattiva, “Rubens e Rembrandt tra Anversa e Amsterdam”, che proprio Rubens, un artista, un pittore vissuto durante la sanguinosa Guerra dei 30 Anni (1618-1648), scrisse la “Proposta per una Pace Universale”. Non stupisce, considerato che il Pittore, di nobili origini, che parlava fluentemente 5 lingue, venne a Genova, ancor prima che per dipingere, per accompagnare in missione diplomatica il suo mentore Vincenzo Gonzaga Duca di Mantova, e si aggiunge ad altri Artisti che già avevano sostenuto la stessa tesi. Quasi un secolo prima, nel 1519, Raffaello Sanzio, il divin Pittore, e Baldassar Castiglione, ‘autore de “Il Cortigiano” scrivevano al Papa Leone X “la pace e la cultura generano la felicità dei popoli”: un appello ancora oggi inascoltato. Ma torniamo a Rubens e Rembrandt: lo yin e lo yang. Il primo è colto, di bell’aspetto, gran viaggiatore, baciato dalla fortuna artistica e familiare (è vero la prima oglie Isabella Brandt muore giovane, ma dopo qualche anno si risposa con la giovanissima Helena Fourment che ha 37 anni meno di lui), è padre di molti figli e verrà nominato Baronetto, il secondo è figlio di un mugnaio, frequenta solo la scuola di latino, in tutta la vita si sposta solo per raggiungere Amsterdam che dista 42 chilometri da Leida, sua città natale. Rubens è l’emblema del vincente, in tutti i sensi, anche nella statua che gli dedica la sua città d’origine rappresentandolo mentre compie con la mano destra, un gesto elegante, da gran signore dell’epoca. E quando lui muore, quasi in una sorte di nemesi, inizia il declino di Anversa, porto fluviale che riceve un feroce contraccolpo negativo ai suoi traffici dalla chiusura della Schelda, proprio a causa della guerra. Alla decadenza di Anversa fa da contraltare la fortuna di Amsterdam e di Rembrandt, che in Rubens vedeva il modello da imitare e al quale tendere: all’inizio sembra che la fortuna arrida al giovane Van Rijn, tuttavia salvo una parentesi di circa 10 anni, tra il 1630 ed il 1640, la vita del pittore fu un susseguirsi di sciagure familiari ed economiche, che non gli impedirono però di affermare il suo genio, un talento unico nel disegno e nell’utilizzo del colore e della luce, capace di interpretare anche con pochi tratti i sentimenti più profondi, intimi e veri e di far emergere la più profonda spiritualità.
Che opere meravigliose hanno creato questi Artisti! Opere immortali frutto di una stagione irripetibile che ci affascina ancora oggi.
Orietta Sammarruco
Considerazioni impietose di un alumnus genovese di Giurisprudenza
La scandalosa situazione di familismo e scambi di favori radicata nella facoltà genovese di giurisprudenza e portata alla luce dall’inchiesta della Procura, pur essendo in parte il riflesso di una situazione analoga a livello nazionale, mi dà l’occasione per alcune riflessioni specifiche.
Quando, moltissimi anni fa, di ritorno dall’esperienza di un campus universitario americano, mi ritrovai alle prese con la realtà dello studium genovese, furono due gli aspetti contrastanti che colpirono lo studente di legge. Il livello dell’insegnamento, di gran lunga superiore a quello dell’omologo statunitense, corrispondeva allo stato più che francescano, miserevole, delle strutture universitarie: aule, biblioteca, servizi allo studio, occasioni di confronto, ricerca e discussione.
Passai gli anni successivi nella speranza che questo squilibrio si aggiustasse, almeno in parte. Devo constatare oggi che, a Genova, se il livello della docenza sembra essersi abbassato, come denunciato impietosamente dall’inchiesta genovese, quello delle strutture universitarie non è cambiato quasi per nulla. La nostra facoltà ha perso i grandi maestri di una volta, i Tarello, gli Uckmar, gli Alpa, i Roppo, i Rodotà, ma non ha fatto nessun passo verso quello che rimane un sogno irrealizzato: un grande campus universitario, quale quello in cui per un anno avevo avuto il privilegio di vivere. Da un lato una facoltà dispersa, ridotta in locali vecchi e angusti, con un personale annoiato se non indifferente, professori irraggiungibili al di fuori dei 45 minuti della lezione accademica, quando non tenuta da solleciti portaborse. Dall’altro spazi, biblioteche aperte 24 ore su 24, locali comuni, professori con cui prendere un caffè o condividere il lunch: l’immagine familiare trasmessaci da molti film, che non si è mai riusciti di tradurre in una analoga realtà italiana e genovese.
Eppure, un’università libera, aperta, con abbondanti risorse, frequentata da studenti e professori dalle molteplici origini e formazioni intellettuali è la linfa vitale di un’autentica comunità cittadina. Problema nazionale? Certo, ma a Genova è la foto di un declino che sembra inarrestabile.
Lo sappiamo. Genova non ha una decente galleria d’arte moderna (siamo – confessiamolo – un po’ stufi del nostro ‘secolo d’oro’, come i tifosi del Genoa (tra i quali mi annovero) lo sono dei loro dannati nove scudetti. Il Ducale è spesso passerella delle peggiori mostre blockbuster. Non c’è una biblioteca civica degna di questo nome, il Carlo Felice è sempre in agonia, mentre i teatri dedicati alla prosa somigliano a un Fort Alamo assediato dalla TV. E non ha un campus universitario. O meglio, ce l’ha – in potenza – ma non trova un’amministrazione che voglia realizzarlo in vista di una ripresa della città, a cominciare dalla famosa ’cultura’.
Da anni l’area dell’ex ospedale psichiatrico di Quarto è al centro di mire incrociate di sfruttamento che finiscono col paralizzare ogni iniziativa che non sia quella provvisoria di chi vi prosegue una meritevolissima ma limitata attività nel campo della salute. Quello di Quarto sarebbe un campus ideale, se non fosse tenuto in stand by dalle mire speculative di un’edilizia che si ostina a ignorare o negare addirittura il declino demografico della città.
Quale migliore proposta, oggi, per un partito che avesse veramente a cuore il futuro di Genova e della Liguria, partire dall’università; e – perché no – proprio dalla disastrata facoltà di giurisprudenza? La stessa qualità dell’insegnamento ne verrebbe grandemente avvantaggiata.
MM
Riprendiamo la rubrica di citizen journalism segnalando una gravissima minaccia incombente
Le isole liguri nella morsa del cemento
Pochi in giro per l’Italia sanno che la Liguria ha ben 5 isole. Di queste due sono militari e non accessibili al pubblico, le isole del Tino e del Tinetto, in realtà questa seconda poco più di uno scoglio.
Le isole a rischio sono invece la Gallinara, Bergeggi e la Palmaria. La prima è di proprietà di un gruppo di famiglie private che nel 2020 stava per vendere l’isola a un oligarca ucraino, un personaggio simile ai vari miliardari russi e come loro non propriamente simpatico. Fortunatamente il ministro della cultura in carica all’epoca, Dario Franceschini, decise di esercitare il diritto di prelazione dello stato nell’acquisto di villa Chiara e l’operazione speculativa dell’oligarca ucraino saltò.
Bergeggi è la più piccola delle isole, proprietà privata, attualmente non è accessibile. Sono in programma lavori per renderla accessibile.
Infine la Palmaria nel golfo della Spezia, comune di Portovenere. La più grande delle isole liguri e l’unica abitata. Oggi risultano 27 residenti permanenti. L’isola si è sinora salvata dalla speculazione per i vincoli militari che hanno impedito operazioni speculative. Ora la Marina Militare ha ceduto tutte le proprietà al comune di Portovenere, il cui sindaco è Matteo Cozzani, capo di gabinetto del presidente della Regione Toti. Cozzani insieme a Toti ha firmato il “masterplan” un progetto che rischia di trasformare una bellezza naturale in un sito dichiarato bene universale dall’UNESCO in una sorta di Disneyland sul mare, con vile per ricchi e colate di cemento. Toti ha affermato “Vogliamo fare della nostra Liguria la Florida d’Italia”. È ben chiaro che tipo di sviluppo e di modello sociale, economico e ambientale abbia in testa.
La Liguria ha pagato un costo terribile alla “rapalizzazione” del suo territorio nella fascia a mare. Le isole sinora sono riuscite a sfuggire a questa sorte. Con questa amministrazione regionale i rischi sono pesanti. Il comune di Portovenere e la Regione Liguria hanno autorizzato la realizzazione di uno stabilimento balneare di gusto californiano nella ex cava di marmo proprio in faccia a Portovenere. Uno stabilimento con due piscine, bar ristorante, piattaforme.
Le isole sono un patrimonio comune dell’umanità. La natura va salvaguardata, davanti all’isola Palmaria c’è una delle più vaste praterie di posidonie del Mediterraneo.
Gli amministratori locali e regionali non hanno idea di cosa parlano. Pensano che lo sviluppo sia impestare di “red carpet” i nostri territori, che lo sviluppo sia consegnare la natura a ricchi miliardari perché ci realizzino le loro ville con mostruose colate di cemento.
La bellezza chiede rispetto. La natura chiede rispetto, la nostra salute chiede rispetto. I cittadini hanno diritto di essere rispettati.
NC
Riceviamo dall’Avvocato Rino Tortorelli, coordinatore di “Cittadinanza Attiva” per la provincia della Spezia
Su 100 litri di acqua, 53 vanno sprecati. Acquedotti colabrodo
La città della Spezia ha un record non proprio invidiabile. La dispersione dell’acqua potabile immessa in rete per la distribuzione subisce perdite pari al 53,4% dei volumi.
Il dato è preoccupante in un’epoca di riscaldamento globale e di rischio per la futura formazione di riserve idriche naturali, che dovrebbero indurre a una più attenta gestione delle risorse naturali.
La media spezzina è molto più alta della media delle città capoluogo di provincia italiane che è del 36,2% (dati ISTAT). La situazione della provincia del levante ligure è ancora peggiore di quella del comune capoluogo, dato che arriva a una dispersione pari 56,4% contro una media nazionale del 42,2%. L’unico aspetto positivo è che la realtà spezzina può contare su importanti risorse idriche e non presenta comuni o zone prive di servizi idrici o con servizi distribuiti a orari come invece accade in alcune parti d’Italia. Solo nel comune della Spezia a fronte dell’immissione in rete di 16.873 metri cubi giornalieri, ne arrivano nelle case solo 7.861 metri cubi. Sono i dati peggiori di tutta la Liguria. A Imperia la dispersione è il 24%, a Savona il 28,2%, a Genova il 32,1%.
I comuni capoluogo sono stati classificati in fasce in base alla loro percentuale di perdite. La Spezia è in quinta fascia sulle sei esistenti, composta esclusivamente da comuni meridionali.
“Un triste primato” che sottolinea come l’interesse pubblico sia sottovalutato rispetto agli interessi finanziari che le società realizzano sulla gestione degli acquedotti. Un tema più volte sollevato dal comitato “Acqua bene comune”.
In Italia nel 2011 si è tenuto un referendum per la gestione pubblica dell’acqua, dove i SI favorevoli alla gestione pubblica dell’acqua arrivarono al 94% dei voti espressi. Purtroppo l’esito di quel referendum è stato completamente ignorato da tutti i governi che si sono succeduti in questi anni.
Il legislatore è obbligato per legge a eseguire la volontà popolare. Dal 2011 ad oggi non si è fatta una legge per realizzare quello che il popolo sovrano ha deciso tramite un referendum. Risultato è che l’acqua in Italia è in mano a Società per Azioni miste. Gli utili sono ripartiti tra gli azionisti e non esiste alcun obbligo di reinvestimento nella rete idrica.
Le bollette per gli utenti sono sempre più care, perché si consente alle SPA di inserire gli oneri in tariffa, quindi il cittadino paga l’eccesso di personale delle SPA, in genere luogo di sistemazione di clientele politiche, le morosità, i conguagli, mentre gli azionisti si ripartiscono gli utili. La proposta di iniziativa popolare prevede di liquidare gli azionisti privati e di trasformare la natura di tutte le società, attualmente di diritto privato, in enti di diritto pubblico, a tutela della qualità dell’acqua, per impedire sprechi e per impedire che venissero caricati sulle bollette gli oneri finanziari delle società. Nello specifico alla Spezia le SPA gestiscono il 99% del servizio.
Rino Tortorelli
Genova retrograda, alla testa della contro-rivoluzione del contante
Anche Genova ha fatto la sua bella figura con il problema dei taxi. Per chi non lo sapesse l’origine del nome è italiana. Gli zii di Torquato Tasso, l’autore della Gerusalemme Liberata, nel XVI secolo avevano l’appalto dei trasporti passeggeri su carrozza. Talmente precisi e in orario i loro viaggi che, arricchitisi, comprarono un de (minuscolo) di nobiltà e un po’ di plurale, diventando “de Tassis”. Le due esse diventarono poi una “x”, e divennero dei principi tedeschi, come gli attuali Turn und Taxis. Sarebbe quindi d’orgoglio essere stati originari di una parola uguale in tutto il mondo, più ancora di pizza, forse. Ma la categoria è un po’ birbante. Lo sa bene la vice presidente del Coni, Silvia Salis, che in visita a Genova voleva pagare con il pos una corsa di 32 euro. Il meno nobile progenitore dei Tasso, il tassista genovese, infervorato dei recenti provvedimenti meloniani volti a anche favorire la criminalità con i famosi diecimila euro in contanti (la mafia ringrazia) è esploso in maniera arrogante. “È finita la pacchia delle banche (e ovviamente di voi che volete pagare con il bancomat)”. Insomma la signora ha dovuto pagare con il cash, altrimenti niente aeroporto ed era già a mezza corsa: “O contanti o scende”, ha gridato il pilota amante del nero (non in senso di migrante, sia chiaro). Mi sarebbe piaciuto che l’ex campionessa di lancio con il martello ne avesse uno, anche piccolino, per darglielo sulla testa, per cercare di rimuovere il fango all’interno. Al ritorno la signora Salis ha incontrato un altro dei nostri tassisti, che si è scusato a nome della categoria. Purtroppo è voluto rimanere anonimo per evitare ritorsioni. Una certa mafia esiste anche a Genova. Eppure il capoluogo, come tutta la Liguria ha un’incidenza di uso di carte elettroniche quasi in linea con i dati europei (1,5 carte pro capite, contro l’1,9 europeo) e abbiamo il quasi il doppio di pos per abitante (70 per mille contro una media europea di 39). Il punto fondamentale, non solo ligure e genovese, credo però sia uno: se il pos è un servizio che serve a diminuire il nero, conservare la tracciabilità delle transazioni e favorire quindi la legalità, il costo non dovrebbe essere a carico di artigiani e commercianti ma delle banche. Uno stato di diritto deve aiutare chi sta meno bene a stare meglio non a leccare i deretani del potere finanziario. Fino a quel momento il consiglio è: usate il bancomat se volete, chiedetelo prima e se il negoziante dice di no, andate a comprare da un’altra parte. Ci sono anche tassisti onesti ed educati: magari lo sussurrano di nascosto, ma vale la pena aspettare cinque minuti in più e dare a loro il giusto compenso. Con le dovute tasse da pagare.
CAM