Numero 38, 31 ottobre 2022

 

PILLOLE

Goodnews: “Generazione Sarzana”

Un articolo di Antonello Caporale sul Fatto Q. del 18 ottobre ha dato rilievo nazionale alla notizia

ACERBO (PRC-SE): OGGI A SARZANA PER RICORDARE ANTIFASCISTI DEL 1921 |  Rifondazione Comunista

Sarzana antifascista 1

che 150 ragazze e ragazzi sarzanesi under 35 hanno promosso l’appello per “svuotare il centro-sinistra dalla prosopopea”. Un’iniziativa che guarda al prossimo futuro in un comune dove il centro-destra vinse alle scorse amministrative. Senza fare sconti a nessuno. Dice Paolo, uno degli under: “Non se ne poteva più, capisco bene la sofferenza, lo scoramento e infine il vaffanculo del popolo”. Un’iniziativa da sostenere e tutelare nella sua genuinità, visto che di denunce giovanili finite nel carrierismo alla Serracchiani e/o nell’opportunismo delle Sardine se ne sono viste troppe. E la contiguità territoriale di politici in carriera tipo Orlando o Paita non offre certo un buon esempio.

ӿ ӿ ӿ

C’è del marcio sotto la Lanterna

Controlli falsificati o ammorbiditi; carte truccate su incidenti navali violando sistemi informatici ufficiali e dichiarando che tutto era a posto. Un vero e proprio sistema quanto trapela dall’inchiesta appena conclusa dalla Procura di Genova all’imani della collisione della Jolly Nero, che nel 2013 provocò 9 morti. Il p.m. Walter Cotugno ha iscritto 39 indagati, tra cui figura anche il Rina, leader mondiale delle certificazioni navali. La sola compagnia Messina, proprietaria della Jolly, è accusata di aver manomesso i rapporti di 57 incidenti su 107, riguardanti 18 navi della flotta. Agli atti ci sono quelle che l’accusa ritiene essere falsificazioni su altre 17 navi di varie compagnie. “L’importante è che galleggino le carte” l’intercettazione di un indagato.

ӿ ӿ ӿ

Festival della Scienza, l’ennesimo sperpero genovese

Quando nel 2017 Ilaria Cavo, assessora alla cultura di Regione Liguria (ora fortunatamente emigrata a Roma), defenestrò Luca Borzani da Presidente del Ducale insediando il fantasmatico Bizzarri, ci annunciò un Palazzo più “glam”. Cosa significasse lo abbiamo visto nella rapida perdita di prestigio dell’istituzione cittadina. A partire dal gioiello Festival della Scienza, in funzione dal 2003, banalizzato rimuovendo quanto ne aveva fatto un appuntamento nazionale. Via l’editore Vittorio Bo e il suo network di grandi scienziati sostituiti dall’IIT del fumista Cingolani, il profilo internazionale abbassato a fiera di Sant’Agata, le sale riempite con scolaresche precettate, lo scippo del brand da parte di altre piazze. Ieri ha chiuso i battenti l’edizione 2022 nella generale indifferenza.

EDITORIALI

Genova, gli ultimi fuochi delle lotte del lavoro. Il caso Ansaldo Energia

Piero Gobetti, spesso citato, assai meno letto quale giovanissimo maestro di liberalismo critico e di sinistra, tra le altre attività era un editore (ad esempio di Eugenio Montale). In tale veste pubblicò nel 1924 il saggio “Le lotte del lavoro” di Luigi Einaudi, anch’egli liberale critico, seppure con tonalità meno radicali. Vale la pena di rileggerne qualche brano del capitolo “La bellezza della lotta” per ricollocare nella giusta dimensione le scorse giornate genovesi, in cui i lavoratori di Ansaldo Energia

sono scesi in piazza per difendere i loro diritti. Un revival dell’antica combattività operaia del tutto travisata da Toti e Bucci, con le loro categorie mentali irrorate dai liquami della contro-rivoluzione reazionaria NeoLib; i cui chiodi fissi sono che lo sciopero è soltanto disturbo della quiete pubblica e i lavoratori puro ingombro sociale, anacronistici sopravvis-

Ansaldo Energia, sciopero dei lavoratori: il corteo blocca il casello  Genova Ovest e protesta contro la

suti al post-industiale. Nel caso dei Bibì e Bibò in Comune e Regione, avendo come target il consenso dell’elettore tipo legge&ordine (più ordine che legge) ossessionato dall’idea che qualcuno gli possa toccare la roba.

Scrive Einaudi: “il socialismo sentimento che ha fatto alzare la testa agli operai del Biellese o del porto di Genova e li ha persuasi a stringere la mano ai fratelli del lavoro, fu una cosa grande. […] Tanti che si dissero socialisti o furono a capo di movimenti operai contro gli industriali erano invece di fatto puri liberali”. E fu la grande epopea della conquista di una democrazia compiuta tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. Una storia che parla anche genovese.

Ormai un mondo giunto alla fine. Eppure quei lavoratori sono gli unici a impegnarsi nel tenere in vita Ansaldo Energia. Non certo un vertice aziendale di nomina romana su cui si addensano responsabilità enormi. Male occultate dalle frottole di una crisi congiunturale per la sospensione di tre commesse Enel mai esistite (a differenza di quanto scritto dalla stampa locale, a cui la Voce del Circolo Pertini aveva prestato credito, i contratti relativi ai progetti non sono mai stai siglati). Quando un esame più serio della situazione aziendale evidenzia incompetenze e incapacità gestionali. Per cui si presenta a marzo il bilancio 2021 in utile e nella semestrale di giugno si scopre una perdita aziendale da stato fallimentare; ribadita dalle patologie di un corpo malato: le banche che chiudono le linee di credito, i fornitori che attendono da mesi di essere pagati e le cui mancate consegne bloccano i cantieri; i giovani quadri tecnici in fuga. Nel frattempo si annuncia il nuovo piano industriale: un’accelerazione sul nucleare (ma la tecnologia Ansaldo non è più referenziata) e un impegno sulle rinnovabili, nonostante l’assenza di prodotti con cui entrare in questo mercato (l’Ansaldo Green Tech ad oggi è in fase di costruzione). Sicché le possibili vie d’uscita sono solo due: quella assistenziale, in cui l’azionista Cassa Depositi e Prestiti rifinanzia l’azienda ogni sei mesi; oppure – stando a rumors – la cessione a un colosso come Siemens, che eliminerebbe un competitor e potrebbe utilizzare il sito di Genova come officina di servizio dei clienti mediterranei. Con il salvataggio di 300 posti di lavoro su 2.500.

Eppure nel patrimonio dell’azienda ci sono conoscenze per scrivere un vero Piano Industriale e competenze flessibili per renderlo competitivo: le maestranze scese in piazza a gridare la loro volontà di non farsi cancellare. Quegli ultimi moicani che disturbano i benpensanti con le loro vertenze. Quanto resta di un passato industriale che ancora salva Genova dall’isolamento; dall’insignificanza di soggetto economico ormai privo di specializzazioni competitive.

ӿ ӿ ӿ

Si preparano le elezioni amministrative a Sarzana.

Va riscaldandosi l’ambiente politico sarzanese e non solo in vista delle candidature alle prossime elezioni comunali, previste per la primavera del 2023.

Sarzana non è un grande comune, ha 22.000 abitanti, il secondo come dimensione della provincia della Spezia, dopo il comune capoluogo, ma ha una forte importanza politica e simbolica, che va ben oltre le sue dimensioni: è stato uno dei primi comuni in Italia conquistato dal Partito Socialista nel

Il primo antifascismo. A cento anni dai “fatti di Sarzana”

Sarzana antifascista 2

1904, tra i primissimi in Italia. Non solo, Sarzana è nota nella storia italiana per un episodio di resistenza attiva al fascismo squadrista, quando il 21 luglio 1921 oltre 600 armati fascisti furono respinti dai carabinieri e dai cittadini, lasciando ben 18 morti sul terreno. Dal 2018 è diventato un perno fondamentale del sistema di potere di Toti; che proprio da qui è partita la sua ascesa.

Nelle elezioni del 2018 la destra prese il 33% al primo turno. Un sindaco impresentabile e abili giochetti di personaggi spregiudicati, che avevano creato una lista di disturbo in probabile accordo con la destra, oltre a una frammentazione della sinistra, anche di quella onesta, hanno consentito alla destra di vincere al ballottaggio. Ora si è annunciata la candidatura di un vecchio ex sindaco, oggi settantenne, Renzo Guccinelli, eletto sindaco PDS nel 1994, poi assessore per 10 anni nella giunta Burlando in Regione, ove si segnalava per la sua abbronzatura. Nel frattempo, Guccinelli, da due anni, è uscito dal PD e tende a presentarsi come “civico”, raccogliendo l’immediato sostegno di Italia Viva e di ambienti legati a vecchie politiche di gestione di potere e clientele.

Guccinelli è persona popolare, simpatica, che ha sempre intrattenuto relazioni cordiali con i cittadini, ed è quindi ricordato soprattutto dai più vecchi militanti ex comunisti con nostalgia. Si è così diffusa una “leggenda”, secondo la quale solo lui sarebbe in grado di arrivare alla vittoria elettorale. Invece un gruppo di giovani e giovanissimi, che ha raccolto 160 firme tutte di over 35, chiede alla sinistra un profondo rinnovamento e una netta discontinuità col passato delle giunte di centrosinistra; non esenti da politiche di cementificazione del territorio, di clientelismo, di disordine commerciale e di scarsa attenzione ai bisogni dei ceti deboli e dei giovani.

In realtà senza una forte svolta innovativa nei programmi, nei metodi, negli uomini e nella perimetrazione di un’eventuale coalizione, le speranze di rivincita sono assai poche. Soprattutto se i 5 Stelle (14% alle recenti politiche) non partecipassero all’alleanza, così come non ci fossero forze come Art. 1, Sinistra Italiana, i Verdi e Rifondazione Comunista, oltre a forze civiche, espressione di movimenti, circoli culturali, associazioni di rappresentanza.

Sarzana potrebbe tornare ad essere un laboratorio dal quale far partire la riscossa della sinistra in un’area molto più vasta e, infine, mettere in discussione anche la maggioranza Totiana in regione. In altro caso si andrebbe sicuramente incontro o a una sconfitta o, nel migliore e poco probabile caso, al ripetersi di una vetusta pratica politica, che ha già perso stando alle indicazioni emerse dalle elezioni politiche del 25 settembre.

ӿ ӿ ӿ

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

ӿ ӿ ӿ

Hanno scritto per noi:

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Arnaldo Bagnasco, Enzo Barnabà, Giorgio Beretta, Marco Bersani, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto

Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Fioriana Mastrandrea, Andrea Moizo, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Roberta Piazzi, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Giulio A. Tozzi, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi.

POSTA

Riceviamo da Riccardo Degli Innocenti una breve nota sul passaggio di proprietà che riguarda una secolare azienda genovese: la Rimorchiatori Riuniti, nata dal pool di operatori portuali aggregati nel 1922 da Giovanni Gavarone

La Rimorchiatori Riuniti comprata e venduta

L’acquisto da parte di MSC dei Rimorchiatori Riuniti è avvenuto con la liquidità derivante dalla più grande speculazione sui noli della storia, operata dagli oligarchi dello shipping (MSC, MAERSK, COSCO, CMA-CGM…) strumentalizzando e accentuando a proprio vantaggio gli effetti della pandemia, ossia di una tragedia umana mondiale, senza che nessuna autorità abbia saputo o voluto imporsi per impedirlo. In nome della “libera” concorrenza? Pare di sì a leggere il commento del Presidente degli Agenti marittimi genovesi, Pessina (salariato di un altro oligarca dello shipping, Hapag-Lloyd) all’ultima operazione di MSC nel porto di Genova (dopo Stazioni marittime, GNV, Messina, Bettolo, Rinfuse): “Non ci sono problemi. Vedo una sana competizione che aumenta il market share del porto”. Aumento del market share a seguito di una operazione di chiaro stampo monopolistico? Tutti i “liberi” e “liberali” associati di Pessina sono concordi?

Riccardo Degli Innocenti

ӿ ӿ ӿ

Riceviamo dal collega NC

Fuorisacco dalla Regione

A Savona le donne non possono fare l’epidurale

All’Ospedale San Paolo si Savona le donne non possono usufruire dell’epidurale. Non ci sono specialisti e la Giunta dopo due anni di pandemia, non è riuscita a colmarne l’assenza. L’ennesimo atto di menefreghismo della Giunta Toti verso la sanità nel Savonese. Basti pensare che, numeri alla mano, con l’accorpamento del Punto nascite di Pietra Ligure i parti sono comunque diminuiti. È evidente che le donne preferiscono andare a partorire dove i loro diritti sono rispettati e dove possono trovare un servizio migliore.

Centrale La Spezia: Enel non si presenta in Regione

La centrale termoelettrica di Vallegrande alla Spezia ha definitivamente spento le centrali termiche. Ora si discute del futuro di questa immensa e pregiata area insediativa, mentre i sindacati esprimono timori per i lavoratori. Si è parlato di un forte investimento di ENEL stessa per l’avvio di un centro dedicato alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che garantisca un territorio che ha già pagato molto in termini di danni alla salute delle persone (ENEL, ex raffineria IP, fonderia di piombo, amianto nella cantieristica, Pitelli e ora fumi delle navi da crociera). Le Regione ha convocato un tavolo di confronto in commissione ambiente ed ENEL non si è neppure presentata. Scarso rispetto per le istituzioni e un brutto segnale; per i lavoratori e la cittadinanza.

Ludopatia, i dati liguri sono gravi

Un’interpellanza del consigliere regionale Ioculano ha portato a conoscenza i gravi dati della ludopatia in Liguria. Numeri in paurosa crescita. In 10 anni il numero dei colpiti è quadruplicato. Esiste una legge regionale, approvata nel 2012 per regolamentare slot machine e sale bingo, ad oggi non applicata. La giunta Toti rimane indifferente al problema. Il rischio è una diffusione senza controllo del fenomeno, che si accentua in periodi di crisi economica e il conseguente impoverimento di molte persone.

Sicurezza sul lavoro, la Regione latita

Va in consiglio regionale, su iniziativa del consigliere Luca Garibaldi il rafforzamento degli strumenti di prevenzione per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Garibaldi ha presentato un’interrogazione con domande chiare a cui servivano risposte chiare e precise sui necessari concorsi e il potenziamento dei dipartimenti. Mancano oltre 50 figure e la giunta ha stanziato 1,2 milioni di euro per assunzioni temporanee: quando si farà un concorso? La risposta è degna del film “Amici miei”, con l’Assessore Scajola secondo cui – in realtà – i numeri delle carenze sono diversi (anche se sono citati in una delibera di 10 giorni fa) e il concorso è – sì – importante, ma la Regione sta assumendo delle persone a tempo determinato. In sintesi le risorse non basteranno, e ad oggi non c’è in programma nessun tipo di concorso per integrare definitivamente le figure.

Sanità Tigullio, a rischio le pulizie

La Markas è un’azienda a cui la ASL4 ha appaltato da anni i servizi di pulizie e di ausiliariato. Centrale per la gestione quotidiana della rete ospedaliera. Già nei tempi passati la Markas si era trovata, quasi in maniera inaspettata, a dover fronteggiare dei licenziamenti, che hanno provocato un danno a livello occupazionale e altrettanto dal punto di vista del servizio a disposizione degli utenti.

Quest’estate il tema dei dipendenti Markas era tornato a sollevarsi visto le manifestazioni messe in atto per protestare contro numeri straordinari mai retribuiti, si ventila nuovamente la possibilità di un ridimensionamento delle ore di attività di ausiliariato. La giunta regionale dovrebbe chiarire.

ӿ ӿ ӿ

L’ultimo saggio del nostro Giorgio “Getto” Viarengo

Ottobre 1922. Il Tigullio nei giorni della Marcia su Roma - Giorgio Viarengo - copertina

FATTI DI LIGURIA

Inondazioni liguri: apprendisti stregoni all’opera

Il modellino savonese che spiega le inondazioni. L’ho visto in azione e ho sentito Luca Ferrari, presidente della Fondazione CIMA (Centro Internazionale in Monitoraggio Aziendale, mica pizza e fichi) spiegarlo. Piove e tutto va bene, piove molto ed ecco che il modellino si allaga trascinando via un pullmino sulla strada. Perché, come viene spiegato, la velocità dell’acqua è fondamentale concausa delle esondazioni con tutte le conseguenze. La soluzione? “L’intervento che bisognerebbe fare è una nuova rigenerazione urbana…ripensare al torrente non come qualcosa da nascondere ma come un elemento vitale per lo stesso paese come per la stessa città e trovare dei modi con cui conviverci”: una straordinaria supercazzola nostrana. Se qualcuno ha capito che cosa vuol dire “nuova rigenerazione urbana”, che cosa significa “convivere” con un torrente o un fiume che non va nascosto (idea geniale) ma che con regolarità allaga e distrugge, ce lo scriva, cortesemente. Questo progetto è stato presentato al ministero dell’Ambiente e della Protezione Civile, che un tempo aveva come capo il berluschino Bertolaso ora in predicato di fare il ministro. Nel 2008, andava a farsi fare i massaggi da una specialista che gli faceva “vedere le stelle”. Lui li ammette anche in una deposizione del 2016, (quando era candidato a Sindaco di Roma), ma giura che non c’entra il sesso, ma solo stress da lavoro. E noi gli crediamo. Ma lasciamo Bertolaso – Ercolino sempre in piedi – e torniamo alla soluzione della CIMA che finché è alla genovese è degna di fiducia, quando però spara improbabili modellini con fantasiose soluzioni, meglio avere prudenza. Perché questi messaggi sarebbero anche divertenti, ma nelle alluvioni non si distruggono solo case e negozi, ma muoiono anche le persone. Mio padre, architetto e urbanista, mi spiegò una volta che nonostante il terreno scosceso e le piogge violente, in Trentino le esondazioni pericolose erano rarissime. Per due ragioni: 1) l’alveo dei torrenti viene pulito costantemente (sappiamo, non è uno scherzo, che quello del Bisagno non viene pulito a causa della schiusa delle uova di anatra) e che non si crea in questo modo l’effetto “castoro” delle dighe che bloccano lo scorrere dell’acqua. “) 2) non puoi fermare la massa della pioggia, ma puoi rallentare la sua velocità, che è quella che provoca gli effetti più devastanti. In Trentino lo sanno, mi spiegava il babbo, e usano le c.d. cascate artificiali costruite nei punti più strategici: l’acqua, cadendo dall’alto, frena la sua corsa. Elementare. Ma lo dice anche la CIMA, che bastano venti centimetri d’acqua per spostare le auto (che poi fanno ulteriore diga) a causa della velocità della stessa. Ma è il finale dell’intervista/presentazione che raggiunge l’acme della banalità involontariamente comica: in caso di allerta gialla…(testuale, lo giuro) “l’invito è quindi quello di stare in casa, ai piani alti”. I vicini del quinto piano si preparino ad accogliere i profughi. Se pagano, beninteso.

CAM

FATTI DI LIGURIA

Maggiordomi in porto

I lavoratori di SECH si sono espressi contro la proprietà del Terminal Bettolo che annuncia di non confermare 14 lavoratori assunti a tempo determinato. Notizia che ci porta nell’area a levante del porto commerciale, dove operano il container terminal controllato da PSA, primo operatore mondiale nel settore e presente anche a Prà, e il Bettolo, spazio portuale attrezzato in funzione solo da 3 anni di proprietà MSC, primo operatore mondiale nel trasporto marittimo di container.

SECH opera sul lato del Porto vecchio, un bacino commerciale che ospita anche navi passeggeri e yacht; Bettolo è all’inizio del bacino di Sampierdarena, dove si allineano le banchine delle merci varie (e per allargarlo si realizzerà la nuova diga proprio per consentire alle mega navi MSC di approdarvi). Dunque, da una parte un terminal maturo, con vecchie gru, traffici in diminuzione, insidiato dai progetti di allargamento delle crociere e dei traghetti, ma con una concessione prorogata sino al 2045. Dall’altra la promessa del futuro, con investimenti per ora parziali ma rivolti all’automazione e traffici in crescita per ora modesti solo perché in attesa della nuova diga che li moltiplicherà. Un’area, quella Bettolo, destinata dall’Autorità portuale, fuori di ogni pianificazione di legge, a estendersi a ponente fino al termine del canale dove MSC controlla già il terminal Messina. Mentre PSA, che controlla SECH facendone un’appendice di Prà, pare più interessato a estendersi a Voltri (piuttosto che sviluppare la controllata). Anche in questo caso, una estensione evocata da PSA e subito tradotta in visione dall’Autorità portuale, per cui è un ordine qualunque desiderio di un “grande player”, come Signorini ama definire gli oligarchi dello shipping.

Questa storia, di ordinaria amministrazione per il porto di Genova dove i concessionari privati siedono alla tavola degli affari mentre l’Autorità, il concedente pubblico, recita il ruolo del maggiordomo in sala che aspetta gli ordini, ha avuto un pregresso clamoroso che tuttavia non viene quasi mai evocato nelle cronache (per pudore?). Quattro anni fa il SECH e il Bettolo, divenuto finalmente operativo, erano destinati alla alleanza, con la possibilità, in attesa della nuova diga, di servire le grandi navi a Calata Sanità dove attraccano sin d’ora unità da 15mila teus; considerato che a Bettolo ancora oggi e sino alla nuova diga (nel 2027 o nel 2037?) le navi non superano i 5mila. Del resto, questa era la ragione storica per cui la società concessionaria del Bettolo era nata, con MSC in maggioranza e SECH in minoranza. Un piano che faceva convergere vecchie e nuove risorse in un progetto che metteva d’accordo tutti, pubblico e privati, istituzioni e sindacati, salutato con cerimonie e dichiarazioni pubbliche enfatiche da Signorini, Bucci e Toti; che dava respiro all’ingente investimento pubblico di Calata Bettolo senza subire l’urgenza di allargare l’ingresso del canale. Imprevedibilmente però la proprietà di SECH fece il voltafaccia, abbandonò l’alleanza e la società con MSC per gettarsi nelle braccia di PSA che osteggiava la nascita di un polo concorrenziale, buttando all’aria le ragioni dei piani di impresa e delle proroghe di concessioni. E allora Palazzo San Giorgio cosa fece, reagì? Intervenne per ristabilire la legittimazione dei piani e degli atti? No, stette a guardare, come il maggiordomo che prende la comanda.

Riccardo Degli Innocenti

FATTI DI LIGURIA

Ignoranza fa rima con arroganza

Alla fine della conferenza stampa in cui il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale Signorini ha annunciato l’aggiudicazione dell’appalto di circa 1 miliardo di euro per la costruzione della nuova diga foranea, replicando alla domanda di un giornalista sull’analisi costi-benefici dell’opera, a fronte di eventuali aumenti dei prezzi delle materie prime – visto che l’imprenditore Salini di Webuild, vincitore dell’appalto, aveva appena definito “incontrollabile” tale variabile e gli aumenti a carico esclusivo del committente – il Sindaco Bucci ha sbottato: «Non esiste l’analisi costi-benefici, non so dove l’ha trovata, fatemela vedere, queste opere non si fanno con i costi-benefici, De Ferrari non l’ha fatta con i costi-benefici…[ma è agli atti, insiste il giornalista], non so se è agli atti o no, io non la considero, punto, ma scherziamo davvero, ma dove siamo?».

Grave ignoranza quella di Bucci sull’Analisi Costi-Benefici, richiesta dai regolamenti europei. A conferma della scarsa competenza con cui riveste il doppio incarico di Sindaco e Commissario; visto che i miliardi di cui si vanta sono regolati anche da tale fondamentale adempimento.

Poi ridicolo è il riferimento a De Ferrari, finanziatore del molo che dette avvio alla costruzione dell’attuale diga foranea nel 1876, forse per questo scambiato erroneamente come ingegnere. Non è una novità per Bucci il richiamo al celebre Duca protagonista della grande finanza europea: probabilmente aspira alla stessa fama e forse anche a un bel monumento. Ma anche qui il Sindaco-Commissario pecca di ignoranza. Per due motivi: il primo, De Ferrari come privato mise 20 milioni di allora come cofinanziamento, mentre la parte pubblica a sua volta ne mise più del doppio per giungere alla realizzazione nell’opera, anche se il gesto di De Ferrari fu determinante nel risolvere l’impasse che bloccava la decisione del Governo; il secondo è che De Ferrari era un cittadino la cui donazione sarebbe divenuta effettiva solo quando il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Parlamento avessero approvato il progetto pubblico tramite procedure legali. Per cui non capiamo bene il riferimento: non sembra che Salini ci metta dei soldi, ma che si limiti – com’è il suo mestiere – a riceverli in cambio della prestazione. Avendo altresì promesso, sulla sua reputazione, la soluzione della fattibilità tecnica del fondamento della diga a 50 metri su un fondo argilloso mai tentato prima. E su questo punto Signorini ha glissato impudentemente, senza dare risposta e rimandando i giornalisti ai documenti tecnici, mentre Bucci li ha tranquillizzati affermando che i metri sono 45!

Infine, i motivi che spinsero un secolo e mezzo fa all’ampliamento del porto erano dovuti principalmente alla congestione delle merci. Prova ne è che a seguito della nuova diga i traffici all’inizio del 900 moltiplicarono oltre 4 volte il tonnellaggio complessivo. Mentre oggi una tale prospettiva di incremento dei flussi è una chimera, come indicano le proiezioni dei trend pluriannuali e le incognite politico/energetiche internazionali. Per cui è legittimo e responsabile porsi la domanda sui benefici di un’opera così grande e costosa, progettata in grande urgenza senza considerare esigenze e prospettive di sviluppo del porto. 

Mentre illegittimo e irresponsabile per un Sindaco arrogante è dover rispondere alla pubblica opinione. O parlava come Commissario?

Riccardo Degli Innocenti

FATTI DI LIGURIA

L’imbroglio della scienza. E Genova perde altri pezzi

Nel passaggio tra il Secondo e il Terzo millennio, lo smarrimento genovese per l’esaurirsi del civico modello di sviluppo, centrato sulla Grande Fabbrica controllata dallo Stato, trovava un generico placebo nella promessa rituale di una nuova specializzazione competitiva di territorio in arrivo, sostitutiva di quella novecentesca: l’ennesimo tormentone dell’incoronamento di Genova a “capitale di qualcosa” grazie all’ipotetico avvento di una vocazione scientifica ignota al Genius Loci.

Era il 2003 quando imprenditori e banchieri annunciavano l’arrivo, sulla collina spazzata dai venti di Erzelli, del Villaggio Tecnologico presentato come una Sophia-Antipolis al basilico; presto virato a speculazione immobiliare Nel frattempo si insediava nella solitudine inselvatichita delle balze di Morego l’Istituto Italiano di Tecnologie (IIT); per statuto dedicato a un trasferimento tecnologico alle aziende che non venne mai svolto.

In questa sagra delle fumisterie, l’unica iniziativa concreta fu il varo a Palazzo Ducale del Festival della Scienza nel 2002; grazie a un organizzatore, quale l’editore di testi scientifici Vittorio Bo, che portava in dote un rilevante network di contatti ai massimi livelli. E furono tre lustri di successi, che proiettarono l’evento annuale nel firmamento festivaliero nazionale: visitatori da tutta Italia, grandi relatori, stampa specialistica pronta a valorizzarne gli appuntamenti, immagine cittadina tirata a lucido. Il tutto sotto l’ombrello protettivo del presidente dell’Ente promotore Luca Borzani, sostenuto dalle amministrazioni di centro-sinistra a Tursi.

Poi, col cambio di maggioranze nelle istituzioni locali, ci fu la decapitazione dei vertici tanto del Festival come del Ducale. Con un graduale viraggio dell’evento scientifico dalla dimensione internazionale a quella campanilistica, con l’attribuzione della supervisione dei contenuti ai Cingolani-boys dell’IIT; non sappiamo se cinici prenditori di pubblico denaro come il loro boss, di certo del tutto indifferenti al tema di come l’informazione scientifica possa contribuire allo sviluppo locale. Allo stimolo per l’innovazione di territorio.

Difatti nell’ultimo lustro il rilievo del Festival è andato contraendosi, l’attenzione sui media nazionali azzerata. Per quanto riguarda la qualità, solo le marchette di qualche Nobel in fregola turistica a dare un tocco glamour a un calendario di scarsa rilevanza e per il resto risorse locali? Come ne darebbe tangibile prova l’andamento dei visitatori. Se dopo l’avvio del 2003, la seconda edizione tocca già le 165mila presenze, per poi stabilizzarsi oltre le 250mila dopo la quarta del 2004, la ripresa del dopo Covid segnala un dimezzamento dei fruitori: i 120mila del 2021. E quest’anno?

Si direbbe un altro pezzo del capitale civico genovese dilapidato, mentre il 3 giugno scorso il quartier generale di Carige ha traslocato da via Cassa di Risparmio dietro piazza De Ferrari a Modena, nella sede di Banca Biper. Ora le famiglie Dellepiane e Gavarone cedono alla Ginevrina MSC la guida dell’azienda fondata dai loro antenati. Flash impietosi di questa Genova in fuga da se stessa.

PFP

FATTI DI LIGURIA

Toti fa regali alle squadre di calcio, non alla salute dei liguri

Lo scorso anno la Giunta Regionale Ligure aveva adottato una leggina per fare propaganda politica a Toti, regalando soldi dei cittadini alle squadre di calcio liguri in serie. La Voce del Circolo Pertini aveva persino indicato la cifra dell’investimento: la bellezza di 210mila euro.

Sulle Maglie di Genoa, Sampdoria e Spezia è apparsa la scritta “LA MIA LIGURIA” in cambio di un tale – più che consistente – obolo del presidente a caccia di facili consensi tra i tifosi calcistici.

Purtroppo, quest’anno il Genoa è retrocesso in serie B e – pertanto – non avrebbe potuto fregiarsi della scritta e neppure ricevere la “mazzetta” totiana. Invece, con una di quelle classiche manovre da furbetti delle aule consiliari, la giunta regionale ha inserito in un pacchetto di misure urgenti da approvare in blocco anche alcune delibere ben occultate tra le righe del provvedimento. Dunque, nella speranza che passassero inosservate e si approvassero, insieme alle misure veramente urgenti, alcune di quelle elargizioni che in gergo politicante vengono definite “marchette”.

Così, in un provvedimento che dovrebbe affrontare (in maniera molto dubbia) la crisi dei Pronto Soccorso degli ospedali liguri, una piccola norma che consente anche al Genoa di mettere la scritta totiana sulla propria maglia; e, già che ci siamo, la si estende anche all’Entella, compagine attualmente in serie C.

Sia chiaro, l’intervento nelle attività sportive di per sé non è sbagliato, ma dovrebbe essere finalizzato a sostenere piccole società sportive, operanti negli svariati campi dello sport, che oggi si trovano in difficoltà a causa della crisi economica, del rialzo dei costi energetici e delle conseguenze del Covid. Si dovrebbero promuovere strumenti per favorire la diffusione delle pratiche sportive e lo sport nelle scuole, sostenere economicamente le famiglie a basso reddito per garantire ai loro figli la partecipazione a ogni tipo di attività sportiva, anche quelle che comportano più costi, in modo che nessun sport diventi strumento di discriminazione economica, ma strumento di inclusione.

Invece si privilegia l’intervento nel campo esclusivamente calcistico come strumento di propaganda di Toti. Per puro e semplice calcolo di marketing politico.

NC

FATTI DI LIGURIA

La comunità in movimento, nonostante tutto!

Due anni di agenda Draghi e di governo d’unità nazionale sono sfociati nella coalizione più a destra dalla nascita della Repubblica. Con le elezioni del 25 settembre giunge al pettine anche la crisi della democrazia, resa evidente dall’incolmabile distanza che separa la vita quotidiana delle persone dalle élite politiche, tra caro-energia e povertà, guerra e crisi eco-climatica, concretizzatasi nell’ulteriore aumento dell’astensione. Avremo un governo post-fascista che, mantenendo inalterata l’agenda delle politiche liberiste, con ogni probabilità peggiorerà il clima sociale, mettendo a rischio i diritti delle donne, i diritti civili, il reddito di cittadinanza per le fasce di povertà e i diritti dei migranti.

In questo solco trovano sponda le posizioni pro-life espresse a Ponente, non da oggi, dal vescovo Suetta, che saluta nell’esito elettorale “il risveglio dell’autentica civiltà politica italiana, segnata da una tradizione di umanesimo cristiano e dunque incompatibile con le esasperazioni espresse dalla cultura di sinistra”. Una pastorale ‘politica’ in cui l’aborto, le questioni di genere e l’eutanasia vengono condannati in base alla dottrina della Chiesa. Per cui le parole di Benedetto XVI, “prima del diritto a emigrare c’è il diritto a non emigrare”, sono strumentalizzate a sostegno delle politiche contro l’immigrazione. Riecheggiando lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, caro alla destra. C’è da chiedersi se le azioni di respingimento, che causano la morte nel mar Mediterraneo o nel deserto degli indesiderati, rappresentino valori meno importanti del diritto alla vita?

Semmai è dai barconi che approdano sulle nostre coste alle povertà delle periferie, tra ingiustizie sociali e precarietà del lavoro, che sale la necessità di un nuovo umanesimo, rispettoso delle diversità e che dia centralità all’ascolto dei differenti linguaggi umani e della natura.

La società è da sempre in movimento e cambia più velocemente delle istituzioni. Viene in soccorso l’etica quotidiana come accordo implicito tra con-viventi. È il tentativo di affrontare nuove contiguità che si intersecano. Si tratti di accoglienza o di libera circolazione dei migranti, delle diverse forme di famiglia o di genitorialità, di disuguaglianze o discriminazioni, rappresentano un diritto sorgivo, che nasce dall’essere e dalle pratiche; dalle consuetudini. Come testimoniato nell’aprile scorso, per le vie della città dei fiori, da un colorato e ricco Pride sanremese.

Una società che non tema le contaminazioni e superi l’attuale cultura patriarcale, necessita di una ritrovata coesione sociale; che è andata progressivamente scemando in questi decenni di prevalenza della finanza sui bisogni delle persone.

Come hanno insegnato le profonde contraddizioni del modello dominante, dalle crisi economiche alla pandemia, i territori e le comunità sono le risorse da cui ripartire per costruire dal basso un altro modello sociale ed ecologico. Ma le risposte a queste esigenze non sono scontate. Possono generare comunità identitarie, fondate su sovranità e sicurezza, o comunità aperte; comunità della curiosità, della tolleranza e del multiculturalismo. Le comunità locali devono tornare al centro dei veri bisogni della società: non conviviamo per rispettare i vincoli di bilancio o per estrarre profitti, ma per avere cura della vita di noi stessi, delle relazioni e della natura.

MG

FATTI DI LIGURIA

Padelle islandesi

Care amiche, stavolta vorrei raccontarvi una storia di cui si è parlato molto poco, ma che mi sembra estremamente istruttiva riguardo al ruolo della donna nella nostra società, anche locale; nel momento in cui una donna giunge per la prima volta alla guida del governo italiano, e lo fa promuovendo valori che sono l’esatta negazione di una cultura al femminile.

Andiamo così all’ormai lontano 2008, quando la crisi finanziaria esplosa con il crollo di Wall Street colpì in maniera particolarmente dura due Stati: la Grecia e l’Islanda. Il piccolo Paese nordico in maniera perfino ancora più grave dell’altro (basti dire che l’euforia speculativa delle sue banche aveva messo insieme un’esposizione superiore 12 volte al budget statale islandese). Eppure fu il primo a uscire dalla crisi e meglio. Come si spiega questa differenza? La Grecia scelse di salvare le banche trasformando la crisi finanziaria in crisi del debito pubblico. E così facendo determinò la calata della Troika (FMI, BCE e Ue), pronta a dedicarsi alla sua ben nota specialità: la macelleria sociale a mezzo austerity. A Reykjavík avvenne l’opposto: il governo islandese rifiutò di sottomettersi al volere dei mercati internazionali e di addossarsi i debiti delle banche private, causati dalle loro speculazioni. Così l’Islanda mantenne la propria sovranità evitando di far esplodere il debito pubblico e di far pagare i costi della crisi ai propri cittadini. Una scelta vincente che ci insegna due cose: 1) il ritornello “non ci sono alternative” dice il falso: le alternative ci sono se si ha il coraggio di cercarle e perseguirle; 2) a indurre il cambio di linea del governo, rispetto alle terapie canoniche del cosiddetto Washington Consensus, fu la pressione di un movimento popolare che assediò per giorni il Parlamento. E il suono che martellò l’udito dei politici fino a costringerli a Canossa – insieme ai barili e ai tamburi – fu quello delle padelle fatte risuonare dalla componente maggioritaria scesa in piazza: le donne islandesi, che con l’utilizzo politico dell’utensile casalingo finirono per dare il nome a quella battaglia civile nonviolenta. Poi ci fu un referendum sull’accollarsi o meno i peccati dei banchieri corrotti e la risposta fu un “no” del 93% dei votanti. Un’altra vittoria delle donne.

Ora c’è chi dice che le donne in Islanda sono molto più presenti nella vita pubblica, il che porta anche a un modo diverso di comunicare e fare politica. Ma è tutta una questione di convinzione. Che sarebbe riproducibile anche dalle nostre parti se prendessimo atto che le donne possono svincolarsi dai modelli di comportamento pubblico tradizionali, che ovviamente parlano al maschile. A quando una bella manifestazione di donne armate di padelle in piazza De Ferrari, che rompano i timpani a Giovanni Toti per fargli capire che il posto dell’Istituzione è a fianco degli operai dell’Ansaldo Energia a rischio di chiusura? Per elaborare una politica industriale che dia lo stop alla deindustrializzazione e al conseguente declino d’area. Con il suono delle padelle che si sommino alle parole d’ordine dei lavoratori, che qualche menefreghista incosciente si è permesso di definire “teppisti”.

Maura Galli

FATTI DI LIGURIA

Food & beveradge, GDO e massaggi. Di che colore è la Giunta genovese?

È un periodo di grandi innovazioni e di scelte coraggiose: la bomba elettromagnetica, i nuovi rifugi nucleari, la Meloni Band al governo, che non appena si troverà di fronte alle scelte obbligate dall’economia, smetterà di suonare la fanfara. Sono appuntamenti ciclici, che hanno visto salire sul palco per poi vedersi lanciare i pomodori dal pubblico, Lega, 5S e PD. I cicli della cronaca più che della storia. Così, a Sestri Ponente è stata autorizzata dalla giunta genovese l’apertura di un nuovo supermercato dalla lunga Esse, e tale risoluzione è stata approvata dal Municipio sestrese dello stesso colore della giunta comunale. Ma se la sinistra è rossa, la Lega è verde, i berluschini sono azzurri e il 5S è giallo, la destra destra di che colore è? Diciamo marrone e non se ne parli più. Mi sembra una sfumatura adatta. Perché se poi si dice che è nera, vengono fuori i soliti pregiudizi sul fascismo. No, marrone è il colore giusto. Naturalmente i commercianti di zona, dopo aver votato quelli che glielo stanno adagiando nemmeno troppo silenziosamente nelle terga, sono insorti. Per ogni nuovo assunto di un supermercato, hanno detto conti alla mano, si perdono dai cinque ai sei posti di lavoro nei piccoli negozi. Figli miei, avrebbe detto una madre saggia, è inutile opporsi adesso: li hai votati e ora te li tieni, magari ti ricorderai la prossima volta? Facile a dirsi: i serpenti sono bravi e furbi a riuscire a farsi votare dai topi, e questi si scordano presto di essere stati delle prede. Comunque il fervore gigantista non si placa e inizia a colpire anche altri settori, oltre al food and beverage. Proteste vibranti si stanno levando da alcuni settori della comunità cinese impegnati nella gestione dei saloni per massaggi, attività peraltro nobile e che a buon diritto occupa per la maggioranza quote rosa. Infatti la giunta marrone verde sta decidendo di utilizzare una parte della Fiumara come un Centro Massaggi megagalattico, che potrebbe far scomparire l’artigianato cinese e qualche tour operator sudamericano nella zona del centro storico genovese. E al grido di “prima le italiane” la Salvini Band ha proclamato che in quel nuovo centro dovranno lavorare solo italiane da almeno tre generazioni. Si faranno eccezioni solo se le straniere dimostreranno di possedere una perfetta padronanza della lingua, italiana s’intende. Ma anche su altri settori artigianali sta calando la scure della grande distribuzione. La giunta locale sta studiando il modo di organizzare in un unico centro tutto lo spaccio di cocaina e di marijuana che risulta troppo dispersivo tra centro storico e periferie. Un unico hub, a gestione mista pubblica e privata, probabilmente al Porto Antico, per questioni turistiche. In modo da dare un forte benvenuto ai forestieri secondo la classica tradizione di accoglienza nostrana. Subito però c’è stata una sollevazione popolare e di polvere bianca, da parte dei piccoli commercianti, mentre alle loro spalle la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) si è premurata di entrare in società con le istituzioni, cosa che d’altra parte non è davvero nuova.

CAM

FATTI DI LIGURIA

Sul centro storico incombe Bucci, gentrificatore selvaggio

Da buon – o cattivo? – genovese, mi sono accorto di amare sciaguratamente il degrado del nostro centro storico, il più grande, affascinante, sporco centro storico d’Europa e forse del mondo. Anche la storia lo è, in fondo: grande, affascinante, sporca. Amo i vicoli bui, l’odore di pipì, la gente un po’ losca, le grasse sudamericane che si intrattengono sui portoncini dei loro loculi. Amo i pochi coraggiosi che si ostinano a viverci, le falegnamerie che trasudano segatura, i fruttivendoli pachistani, gli studi di tattoo, i parrucchieri per opulente regine africane, le macellerie musulmane. Amo persino la movida, le osteriuole e i baretti dai tavolini traballanti.

Sono malato, degenerato, oppure solo un borghese snob?

Il fatto è che – da quando ho visto il ‘piano integrato’ degli interventi con cui il sindaco Bucci si propone di ‘recuperare a 360 gradi il centro storico’- una parola si è imposta alla mia immaginazione come un incubo: gentrificazione.

Come spesso accade, le buone intenzioni conducono dritto, dritto all’inferno. Il ‘piano integrato’, se lo si realizzerà davvero, condurrà inevitabilmente all’inferno della gentrificazione, a cominciare dalla tanto invocata sicurezza, garantita dalla presenza di una nuova sede di polizia locale e dalla creazione di un rassicurante ‘Nucleo tutela cento storico’. Questo a garanzia e protezione di un’area destinata a piacere molto al neo re Carlo III e al suo prestigioso architetto Léon Krier, specialista in quartieri neo-tradizionalisiti in stile italian-outlet.

Il centro storico ‘integrato’, sotto il cattivante logo ‘Caruggi’ dovrebbe comporsi di edifici ‘vecchio-nuovi’, realizzati secondo i suggerimenti dell’immancabile archistar, composti attorno a luminose piazzette, con adeguati percorsi e spazi pedonali, ciclo stazioni per bici e monopattini (il centro storico in bici e monopattini…), nuovi accessi alla ZTL (ahi, ahi…), sempre con una ridda di telecamere per i controlli e un immancabile circuito di minibus elettrici. Per il turismo e il tempo libero, poi, è previsto un hub per l’informazione e l’accoglienza, arricchito da ben 15 totem digitali, la cui sorte è anche troppo facile immaginare. Per la devozione, inoltre, è prevista la valorizzazione di 40 edicole, non di giornali ma ‘votive’: quelle almeno che non sono state depredate delle rispettive immagini. Insomma: chi ha progettato il piano ‘Caruggi’ non si è fatto mancare nessuno dei luoghi comuni che preludono – immancabilmente – alla gentrificazione (‘rigenerazione’ nel linguaggio bucciano) di un quartiere in cui la storia sembra essersi asserragliata, decisa a resistere come gli sfortunati difensori di Fort Alamo. Il solo ‘diradamento’ del centro storico è stato quello provocato, appunto, dalla storia della seconda guerra mondiale.

Il vero rischio del progetto è quello, segnalato da molti architetti, di uno ’svuotamento residenziale’, che si tradurrebbe in un esodo degli abitanti ‘storici’ del centro e in un suo ripopolamento alla ZTL, in senso banalmente ‘residenziale’, da parte di turisti ’mordi e fuggi’, grandi marche, proprietari di yacht, velocipedisti e monopattinisti vari. Con l’abitabilità ai ‘bassi’, infine, si aprirebbe una porta alla speculazione più sfrenata, ai danni di chi non può permettersi che di vivere al buio in pochi metri quadrati, taglieggiato (in nero) da avidi e potenti proprietari.

Chi non è d’accordo, si rinfreschi la memoria facendo due passi nelle cimiteriali gallerie di Piccapietra, nei ‘giardini di plastica’ o in via Madre di Dio.

MM

FATTI DI LIGURIA

Il PNRR in Liguria? Ad oggi resta un mistero

Volendo capire la destinazione dei fondi del PNRR in Liguria sono andato sul sito della Regione. Di PNRR si parla, ma non ho trovato un documento organico che delinei le scelte politiche effettuate, la ripartizione dei fondi tra le varie voci e così via. Forse sono io che non l’ho trovato, ma se è così, sicuramente non è in evidenza. Non mi stupisco, il centrodestra che governa la Regione e i Comuni ha scelto di procedere caso per caso, in funzione delle spinte economiche del momento e senza un piano organico, che comporterebbe dei vincoli, come ben si vede nelle scelte urbanistiche. Legambiente ha evidenziato come le richieste della Regione per i fondi del PNRR sono state per 25 M€, di cui 15 M€ per strade ed autostrade. La cultura del cemento imperversa. Faccio alcuni esempi. La voce principale di spesa è per la nuova diga foranea di Genova (costo previsto 950 M€ di cui 600 M€ dal PNRR). Come tutte le opere previste dal PNRR la diga dovrà essere terminata nelì2026, altrimenti le somme dovranno essere restituite all’Europa. L’opera si presenta come una novità mondiale sia per la profondità del fondale marino (50 m) sia per le caratteristiche tecniche del fondale stesso costituito da limo sabbioso o argilloso che non costituisce un ancoraggio sicuro. Forti dubbi sulla fattibilità dell’opera sono stati espressi dall’ing. Piero Silva, uno dei massimi esperti mondiali nelle costruzioni marittime, che stima comunque la necessità di tempi più lunghi, almeno 15-20 anni, ed il doppio dell’investimento. Credo che il paragone con la vicenda del MOSE sia d’obbligo. Quindi opera con alti rischi. L’assegnatario del lavoro (We Build) si dice invece sicuro della fattibilità dell’opera nei tempi previsti. Benissimo nel caso si assumessero la responsabilità di quanto dichiarato. Ma è lo stesso Salini a chiarire che nel contratto è prevista una revisione prezzi, per cui in realtà non sappiamo quanto l’opera costerà realmente. Altra opera inserita nel PNRR è quella dei 4 assi di forza del Trasporto Pubblico genovese. Di per sé l’idea di realizzare degli assi di forza nel trasporto pubblico è positiva, sempre che tali assi siano in sede propria sì da aumentare la velocità commerciale dei mezzi, cosa che non viene completamente realizzata. Peccato che si sia scelto di utilizzare come veicoli gli autobus elettrici e non il tram. È una scelta sbagliata perché il tram – in sede propria – garantisce maggiore comfort e quindi maggiore attrattività con conseguente riduzione del traffico privato, possibilità di accosto preciso alle fermate con facilità d’accesso per anziani, disabili e carrozzine, ma soprattutto ha una maggiore capacità di carico data dalla possibilità di avere tram di lunghezza fino a 24 m contro i 18 m degli autobus; e la capacità di carico è fondamentale nella progettazione di un asse di forza. Il risultato sarà che avremo gli autobus sovraccarichi come oggi, scomodi, non attrattivi e che quindi non si inciderà sulla quantità di auto in circolazione. Peccato perché questa del PNRR è una occasione unica e questa scelta sbagliata si prolungherà nel tempo per vari lustri.

Mauro Solari

FATTI DI LIGURIA

Civic Journalism è anche riflettere su come difendere i luoghi della via pubblica cittadina. Oggi parliamo di Chiavari.

Salvare i luoghi della cultura chiavarese

Quella del Teatro Cantero e dei luoghi storici della cultura chiavarese è storia secolare, ma il destino futuro di questa struttura è la migliore lettura su cui contare. Il cammino inizia con la chiusura del Teatro della Ballona, nel complesso di Sant’Antonio, e l’indicazione di realizzare il teatro Nuovo nell’antica chiesa e oratorio di N.S. della Valle; il percorso non sarà facile come indicano le delibere comunali del gennaio e marzo 1801: “decreto per la costruzione del Teatro nel locale della chiesa della Valle”. L’edificio sarà prima adattato all’uso e successivamente ristrutturato. Il 25 agosto del 1831 la struttura ottiene il riconoscimento delle Regie Patenti per il teatro di Chiavari, Carlo Alberto delibera il provvedimento alla presenza del Sindaco. L’architetto civico Angelo Argiroffo realizza un teatro neoclassico per un totale di 400 posti. Con la morte di Giuseppe Verdi, 27 gennaio 1901, il sindaco Nicola Arata propone di cambiare il nome alla piazza antistante e di dedicare il teatro a Giuseppe Verdi, la delibera è votata il 30 marzo del 1901. Con l’arrivo della prima proiezione cinematografica si assiste a un rinnovato impegno per teatro, cinema e intrattenimento. Chiavari diventa il cuore pulsante di nuove attività: Il Politeama, il Radium, il Teatro Eden di Gaspero Defilla, il Pro Chiavari, il Teatro Eldorado popolarmente denominato “U Budin”, la Sala Terpicore, il movimento cattolico con il Teatro Casa del Popolo che diventerà Pro Famiglia, Manzoni, Supercinema e Odeon. Andrea Cantero e i suoi figli rilevano il Radium e con la proiezione di film “di successo mondiale” lo fanno divenire un luogo prediletto dai chiavaresi. Le novità del cinematografo sono tali che la gestione del Verdi va in crisi: prima una chiusura nel 1912 e poi il rovinoso fallimento del 1931. Ma sono proprio i Cantero a tentare di salvare lo storico teatro: propongono l’ammodernamento dell’intero impianto e la stesura di un nuovo contratto. L’amministrazione chiavarese non accetta nessuna proposta e il teatro va in abbandono. I Cantero non rinunciano a presentare il progetto del nuovo teatro proprio nel momento in cui si attiva un dibattitto per dotare la città di una più moderna struttura. I giornali locali fanno a gara a presentare proposte, sino al progetto del nuovo Teatro Civico di piazza Roma. Il progettista Anton Angelo Tirelli prevede un teatro moderno ed efficiente, ma non si farà nulla. Il 29 dicembre del 1925 la famiglia Cantero presenta il progetto in comune; il 16 gennaio del 1926 la Commissione Edilizia rilascia il permesso “per l’edificazione del Politeama da erigersi in Piazza XX Settembre” con una sola clausola: l’opera deve essere realizzata in quindici mesi. I lavori prendono inizio, sono coinvolti i migliori artigiani chiavaresi per le ebanisterie, i vetri, cristalli e specchi; le pitture decorative sono di Luigi Sfrondini; gli stucchi della ditta Papini; gli arredi di Brizzolara; il maestro d’Arte Roberto Ersanilli predispone le maschere decorative e i bassorilievi. Il tutto è coordinato dal progettista chiavarese Ido Gazzano e si giunge alla prima inaugurazione col Grande Veglione del 1931; la seconda, con manifesto del Comune di Chiavari, prevede la Tosca di Puccini, il sabato 15 maggio del 1937. Arriva la guerra e le regole del coprifuoco complicano tutto, ma il teatro e le proiezioni non si fermano. A guerra finita i Cantero realizzano il Tetro di Lavagna (1948) e il cinema Nuovo in Chiavari. Negli anni del “boom economico” si apre il dibattito sul vecchio teatro Verdi e sono presentate due ipotesi, una di restauro e una di demolizione: nell’estate del 1963 è demolito. Ancora una demolizione nel 1996 cancellerà il Teatro Astor. Anche lo storico Cantero chiuderà i battenti, ma ora è il momento di pensare al futuro e salvare la struttura che potrebbe divenire il teatro del Tigullio.

CV