Numero 31, 30 giugno 2022

  

              

uno strumento di contro-informazione per il dibattito pubblico ligure

LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI

Numero 31, 30 giugno 2022

PILLOLE

Bucci al Giro d’Italia

Bucci: il giro passerà sul ponte San GiorgioGiro d’Italia, finalmente a Genova dopo ben sette anni. Che bella notizia, così mezza Italia e mezza Europa hanno potuto vedere le bellezze di Genova? Mah, veramente hanno visto gente (poca) a guardare i ciclisti, e meno male che non hanno sentito gli improperi degli scooteristi e degli automobilisti costretti a gimkane inenarrabili per raggiungere luoghi altrimenti vicini. Ma la cosa più vergognosa è stata lo sfruttamento del ponte Piano (ex Morandi): una passerella ignobile (oltretutto bloccando l’autostrada), sfruttando la morte quaranta tre persone, e con il parere assolutamente contrario dei familiari delle vittime. Ma il sindaco, in fase di rielezione, non poteva farsi sfuggire l’occasione, e ha voluto fortemente questa kermesse calpestando emozioni, ricordi e dignità.

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Toti e la sanità elettorale a invito

La destra di governo – in Liguria come in altre realtà – ormai mescola in maniera inscindibile attività amministrativa e propaganda politica. Contro ogni principio liberale e senza alcun scrupolo Nelle scorse settimane sono stati affissi in tutta la Liguria manifesti che annunciano pomposamente “Tour sanità 2022 – Dagli ospedali al territorio, cura eccellenze, innovazione”. Un errore già dal titolo, perché mette al centro l’ospedale, non il territorio. Curiosamente i convegni sono a invito. Quindi medici, infermieri, associazioni, sindacati e altri, non possono partecipare. Cui si aggiunge la coincidenza delle date: solo due convegni previsti prima delle elezioni del 12 giugno. Dove? Nelle due città dove si votava: Genova e La Spezia. Appunto, propaganda con i soldi nostri.

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È l’ora delle dimissioni nel Ponente

Nei giorni scorsi a Ventimiglia la Lega ha aperto la crisi politica interna al centrodestra sulla questione migranti e “la gestione arrogante del sindaco despota”, formalizzando le dimissioni trasversali dei consiglieri: giunta che cade ma anche fine dell’era Scullino. Intanto, in apparenza per motivi personali, ha rassegnato le dimissioni anche il direttore generale di ASL1 Silvio Falco, sebbene si possa pensare che queste dipendano da diversità di vedute con il Presidente Toti, con delega alla sanità, sulla privatizzazione dell’ospedale Saint Charles di Bordighera. Infatti due mesi fa il manager aveva stoppato l’affidamento al colosso romagnolo Iclas, dichiarandone la mancanza di requisiti e mostrando una postura professionale non scontata. A quando la fine dell’era Toti?

EDITORIALI

Cordoglio per la dipartita di CARIGE

Autorizzato da Bce, giunge a buon fine l’assorbimento nel conglomerato emiliano Biper del fu esclusivo braccio finanziario di Liguria: Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, poi Banca Carige.

Per buona parte del dopoguerra, la vera cattedrale del potere locale, a lungo tavianea con i fidi yes-men bancari del city-boss (i DC, Gianni Dagnino e Leonardo Ladisa); cui fece seguito, al tramonto del regno di Taviani, la singolare operazione di manager buyout nelle modalità one man show: l’ascesa solitaria al vertice dell’istituto di Giovanni Berneschi, detto “Paganini” per la chioma fluente che lo faceva somigliare alla gloria violinistica locale. Acconciatura insolita rispetto al canonico look del banchiere, retaggio (insieme a un forte accento tipo Gilberto Govi) delle origini sociali di quel ragazzo, leva 1937, nato in un quartiere popolare della periferia genovese e sceso nella city a vent’anni, grazie all’assunzione quale impiegato amministrativo. Il suo unico impiego, per oltre mezzo secolo, in quella banca dove percorrerà l’intera scalata gerarchica: 1979 condirettore, amministratore delegato nel 2000, presidente nel 2003 (fino al 2013). Ormai libero da controlli Berneschi tesse reti protettive e distribuendo favori. Compresa la politica, con l’accortezza che gli amministratori dei partiti finanziati devono sottoscrivere fideiussioni personali che li rendono estremamente malleabili.

baci Il modello organizzativo del sistema di potere affaristico derivato è quello delle cordate di prestanome che agiscano per conto del boss senza farlo figurare direttamente. Come evidenzieranno le indagini della magistratura avviate nel momento in cui inizierà il declino dei “quattro B” (Berneschi, Burlando e i cardinali Bertone e Bagnasco) dominatori di Genova tra fine delXX e inizio del XXI secolo; soliti scambiarsi regaletti simbolici: quelli di Berneschi a Tarcisio Bertone ((300 mila Euro alla Lux Vida per i dvd della fiction La Bibbia, 90 mila per le stole dei vescovi); il dono di Burlando ad Angelo Bagnasco del posto di Regione Liguria nel CdA di Fondazione Carige. Mentre di ben altra entità risultano i business del banchiere; come la truffa di 22 milioni di euro a danno di Carige Vita, che lo porteranno a patteggiare una pena di 2 anni e 10 mesi oltre alla confisca di 21,9 milioni. Il crollo di un sistema di potere di cui si parlava da tempo ma che mantenne a lungo uno status di intoccabilità anche presso il Tribunale di Genova. Guarda caso svegliatosi appena Berneschi divenne “toccabile” nella rissa con l’altro potente speculare: il presidente di Fondazione Carige, l’industriale dolciario Flavio Repetto. Indebolimento reciproco quale via libera alle indagini, comprese quelle giornalistiche della stampa locale, per decenni in ginocchio davanti ai potentati. Una subalternità dell’informazione perdurante anche nella fase di transizione del dopo Berneschi, quando famiglia Malacalza tentò di impadronirsi della banca. Scalata finita a carte bollate e richieste di risarcimenti milionari, avanzate dalla Malacalza Investimenti e subito respinte dal tribunale. Una pochade che non ha impedito a un “intemerato fustigatore dei potenti” quale Massimo Minella de la Repubblica – di pubblicare un articolo ditirambico del già poeta di corte nella Arcore berlusconiana Sandro Bondi, in cui invitava i liguri a manifestare la propria riconoscenza verso i Malacalza salvatori della banca. Guarda caso in pieno marasma di perdite e svalutazioni.
Episodio grottesco che spiega la triste sorte di Carige in mano ai saccheggiatori. Mentre chi avrebbe dovuto controllare preferiva distogliere lo sguardo o intestarsi benemerenze velinare.
e abbracci

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C’era un tempo la Liguria “rossa”, ligia ai principi democratici

Sono passati solo 10 anni da quando Marco Doria a Genova e Massimo Federici alla Spezia vincevano trionfalmente le elezioni comunali. Da allora i risultati del voto sono profondamente cambiati.

Un primo dato che colpisce è l’affluenza. La Liguria è sempre stata una zona dove la percentuale di votanti raggiungeva i primi posti delle graduatorie nazionali. In questa tornata elettorale la percentuale votanti italiana è stata del 54,79%, alla Spezia del 50,43% e a Genova del 44,14.

Da dove arriva l’astensione? Il quesito che si dovrà porre chi tenti di analizzare il voto. In un paese che per molti anni ha mantenuto livelli di partecipazione tra i più elevati al mondo; oltre il 90%.

Una spiegazione è da ricercarsi nella sfiducia delle classi popolari. Vessate nei loro interessi quotidiani. In Italia si è bloccato ogni ascensore sociale che consentiva anche ai figli di classi meno abbienti di migliorare significativamente le proprie condizioni. In 30 anni è stata gravemente intaccata la riforma sanitaria a danno dei più poveri, le pensioni sono state riformate in peggio, la scuola è lasciata in condizioni precarie e spesso disagevoli. Non si parli del trasporto pubblico, degli attacchi al potere d’acquisto, ora che l’inflazione ricomincia a correre e salari e pensioni non presentano adeguamenti automatici come in molti paesi. Pensiamo al diffondersi di insicurezza sul lavoro, con un’abnorme estensione del precariato e l’incertezza del domani per i giovani. È l’effetto del liberismo, da cui le sinistre non sono riuscite a mettere al riparo le classi popolari.

Venendo al voto. Bucci è eletto al primo turno col 55%, nel 2017 aveva ottenuto il 38,80%. Registra quindi un saldo positivo del 17% in più. Tra i partiti che lo sostengono Fratelli d’Italia col 9,3% (2017 – 5,28%) supera la Lega, ferma al 6,8%. (2017 – 12,95%). FdI recupera in parte quanto perso dalla Lega, circa un 4%, manca all’appello un 2%, andato probabilmente alla lista civica di Bucci (9,76%). Nel 2012 la destra si presentò divisa. Vinai (PdL) ottenne il 12, 68% e Rixi (Lega) il 4,70%.

Vediamo ora la dinamica del centro sinistra a Genova e La Spezia:

GENOVA                      Comunali 2012        Comunali 2017           Politiche 2018          Comunali 2022 %

PD 5Stelle Lega FdI FI23,26 14,90 12,95 5,28 12,6819,83 18,07 9,76 5,28 8,0820,50 32,82 19,01 3,45 9,6121,00 4,40 6,88 9,03 380

LA SPEZIA                   Comunali 2012        Comunali 2017           Politiche 2018          Comunali 2022 %

PD 5Stelle Lega FdI FI27,20 10,37 – – 12,2415,30 8,80 9,28 13,90 (con FdI) 13,90 (con FdI)20.68 29,53 9,61 3,63 11,7117,11 1,99 7,94 9,77 2,12

Se il PD a Genova con un po’ di fatica si mantiene su livelli nazionali, alla Spezia, un tempo roccaforte storica del PCI e dei suoi successori, scende nettamente sotto un modesto 17,11%, ben 10 punti in meno del 2012 e poco sopra il 2017, quando però si presentavano ben 5 liste di area (Forcieri, Melley, Lombardi, Ruggia, ecc.).

Il problema del centrosinistra locale appare più grave: se il PD nazionale ha mediamente un risultato non buono, ma soddisfacente, a Genova, per la storia politica della città sembra poco; alla Spezia, storica roccaforte rossa, il risultato appare negativo. Ancor peggio è il problema delle alleanze. I 5 Stelle sono distrutti da questa tornata elettorale e sorge il sospetto che si tratti di un partito in estinzione. Alla Spezia il risultato è ancora peggiore: sotto al 2% e senza neppure un consigliere comunale. Qualche interrogativo sull’alleanza con questa formazione andrà pur posto.

Nel centrodestra si accentua la marginalizzazione di Forza Italia, forse destinata a non sopravvivere al proprio ultraottuagenario leader, e il feroce ridimensionamento della Lega, recuperato solo parzialmente dal travaso in FdI. Colpisce invece il successo delle liste civiche dei sindaci, che diventano egemoni e sono in grado di riequilibrare le forze in seno al centrodestra.

Andrea Orlando arringa le masse di SpeziaColpisce invece il successo delle liste civiche dei sindaci, che diventano egemoni e sono in grado di riequilibrare le forze in seno al centrodestra. centrosinistra alle ultime regionali con Sansa, quella al comune di Genova con Dello Strologo, troviamo persone per bene ma prive di appeal e di feeling con i cittadini. Alla Spezia il discorso è diverso. Dopo aver bruciato decine di possibili candidati, solo in extremis è saltato fuori il nome di Piera Sommovigo: persona valida e di indubbie capacità, messa in pista solo all’ultimo minuto, nell’impossibilità di fare una campagna elettorale adeguata.

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La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Danilo Bruno, Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi:

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Enzo Barnabà, Maddalena Bartolini, Giorgio Beretta, Marco Bersani, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Battistina Dellepiane, Egildo Derchi, Marco De Silva, Monica Faridone, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Fioriana Mastrandrea, Maurizio Michelini, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Roberta Piazzi, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi.

POSTA

Riceviamo dalla Presidenza del Circolo Pertini:

Un giacobino arcolano vicepresidente della Repubblica ligure

Il Circolo Pertini ha organizzato nel comune di Arcola (SP) un convegno dedicato a Marco Antonio Federici, conte di Lavagna e vice conte di Sestri Levante, cittadino di Arcola, uomo di grande cultura, tra i primi a diffondere le idee illuministiche nella penisola italica. Fu tra i promotori del rovesciamento dell’antica Repubblica di Genova, oligarchica e del passaggio, anche grazie all’aiuto e alla pressione francesi, alla Repubblica Ligure, della quale divenne vicepresidente. Si scontrò duramente col clero e in particolare col vescovo di Sarzana Maggioli, che arrivò a far incendiare la villa di Federici, ma guidò i giacobini repubblicani alla vittoria nello scontro con le forze reazionarie dei “Viva Maria”, organizzate dal clero, concluse con la condanna del vescovo Maggioli. Il Circolo Pertini ha richiesto al comune di Arcola di dedicare una strada alla memoria di Marco Antonio Federici.

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Una segnalazione da parte del nostro redattore Danilo Bruno

Tigullio trekking

Una famiglia per il Clima composta da Barbara, Gaia, Massimiliano ed Emanuele in Amantini sta lavorando per strutturare al meglio il progetto del Cammino nel Tigullio tra Monti, Mare e Borghi. 65 Km di tracciato ad anello con partenza e arrivo a Chiavari. Il sito di riferimento è Tigullio Trekking: https://tigulliotrekking.it

Nel sito sopra citato si propone un itinerario di particolare interesse che percorre in 5 tappe a piedi un percorso attraverso la dorsale preappenninica del Tigullio, per conoscere una Liguria nuova e diversa.

Le tappe sono tutte suggestive e di significativo sguardo naturalistico, da San Fruttuoso di Capodimonte agli 801 m. s.l.m. del Monte Manico del Lume. Da Portofino a San Michele di Pagana. Da Santa Margherita Ligure a Zoagli passando infine per Rapallo.

Qui – infatti – bisogna fare una considerazione a favore di una estensione del Parco del Tigullio, poiché le zone toccate dal percorso del Cammino permettono di conoscere la Liguria come era e come si vorrebbe presentare alle persone. Ovvero colline lavorate dall’uomo, che per secoli ha cercato di recuperare spazi coltivabili attraverso un lungo terrazzamento in pietra a secco. Boine, in un suo scritto sulla Crisi degli Ulivi, sottolineava come la popolazione ligure non avesse trasmesso grandiosi monumenti ai posteri, ma che il proprio lascito fosse costituito da chilometri e chilometri di muretti a secco, di cui fare continua manutenzione.

Questo territorio richiama un’altra considerazione, che emerge direttamente anche dalla semplice lettura del sito prima citato ovvero: “La Liguria interna consente una visione diversa del territorio tra “cielo e mare” e come lo hanno evocato e conosciuto Sbarbaro, Caproni, Montale, Barile, prima della distruzione operata sulle aree costiere ed in particolare proprio nella zona attraversata a Rapallo, evocando il nefasto termine di ‘Rapalizzazione'”. Come storico ho cercato di fornire una lettura sintetica delle zone attraversate in modo da richiamarne l’arte e la cultura come fondamento della coscienza civile della popolazione, ma anche per fornire una chiave diversa, in quanto si toccano luoghi di grande interesse da San Fruttuoso, a N.S. di Montallegro, a S.Andrea di Foggia e S.Michele di Pagana. Questi luoghi invitano ad un approccio “slow” al territorio, che per la vasta presenza di santuari e chiese è stato pure definito un “cammino religioso”, in un senso però laico di invito alla meditazione e alla maggiore considerazione di se stessi e per le relazioni costruite nel mondo intero.

Non sono state ovviamente tralasciate le indicazioni attinenti altri monumenti: castello sul mare di Rapallo, Palazzo Rocca di Chiavari, sede del museo archeologico e soprattutto si è voluto ricordare lo stretto legame di Zoagli e di Portofino con le vicende della seconda guerra mondiale; in cui l’una (come Recco) fu completamente rasa al suolo, mentre l’altra subì un eccidio di partigiani da parte dei nazifascisti.

Il sito propone poi cosa occorre portarsi dietro e da alcuni consigli pratici su luoghi di accoglienza, sulla possibilità di guide per i primi percorsi e soprattutto invita a percorrere in primavera o autunno una Liguria insolita e affascinante a due passi dal mare, che può essere sempre raggiunto in un percorso, che parte e ritorna proprio a Chiavari e investe il Parco nazionale di Portofino.

DB

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Riceviamo dal Professor Palidda:

Su 480.424 aventi diritto al voto per il sindaco hanno votato solo 211.986 elettori (44,12%), Bucci ha avuto 55,5% dei votanti ma solo 22,5% degli aventi diritto.

Nel 1976 (quando fu eletto Cerefolini) i votanti furono 578.220 e lui ebbe 54% dei voti

nel 1981 sempre Cerefolini eletto sindaco i votanti furono 499.767 e lui ebbe 56% dei voti; nel 1985 i votanti furono 510.647; nel 1990 i votanti furono 470.732; nel 1993 i votanti furono 442.244; nel 1997 i votanti furono 377.184; nel 2002 i votanti furono 350.728; nel 2007 i votanti furono 309.028; nel 2012 i votanti furono 263.849; nel 2017 i votanti furono 203.472.

La diminuzione dei votanti non è dovuta solo alla diminuzione dei residenti: nel 1971 Genova ne contava 816.872; nel 1981, 762.895; nel 1991, 678.771; nel 2001, 610.307; nel 2011, 586.180; nel 2018, 580.097 (01/01/2018 – Istat); e infine nel 2022 circa 560 mila.

Come risulta da qualche inchiesta, gran parte degli elettori di sinistra non va più a votare perché delusa se non disgustata da circa 30 anni di collusione fra destre, ex-sinistra e opus dei (cioè la troika che governa Genova e la Liguria). Vince quindi chi s’è imposto sostenuto da questi poteri forti …

Nei prossimi 5 anni vedremo come questa giunta comunale e quella regionale spenderanno i 2,7 miliardi per Genova. Le promesse vanno solo a grandi opere e nulla per i quartieri popolari, per la bonifica del territorio, la sanità e le scuole. Purtroppo la lista di Antonella Marras non è arrivata neanche al 2% … è stata una iniziativa improvvisata e non costruita con pazienza attraverso assemblee e primarie di quartiere per designare candidati effettivamente rappresentativi. La deriva della pseudo democrazia attuale ha portato alla sua eterogenesi … occorre ricostruire dal basso ex-novo.

Salvatore Palidda

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Al professor Palidda replica il nostro redattore Danilo Bruno

Prolegomeni su Genova

Non voto a Genova perché risiedo a Savona ma qualche cosa sulla disfatta del centrosinistra genovese e ligure in particolare nel capoluogo regionale vorrei scrivere. Premetto di aver abbandonato definitivamente domenica Europa Verde-Verdi per ragioni legate alla politica ligure che hanno ridotto la formazione ecologista a divenire una sorta di supporto alle espansioni forse fin narcisiste dei leaders di Linea Condivisa e Lista Sansa e alle scelte nazionali di alleanze senza filo logico con Sinistra Italiana.

Perché parlo di prolegomeni? Penso infatti che vi siano alcuni questioni dirimenti, che vadano affrontate per costruire una città alternativa a quella del cemento e degli ipermercati nonché della finta efficienza promossa dal duo Toti- Bucci. In primo luogo Genova è una città metropolitana, che deve completare finalmente il suo passaggio da città-Regione (tutto quello che succede a Genova si riverbera in Regione) a città, sede amministrativa di una area vasta e metropolitana.

In questa logica bisognerà parlare di ruolo nel Mediterraneo, di pace, antifascismo, portualità, infrastrutture… Genova può diventare per la sua tradizione di città mazziniana e antifascista nonché di luogo fiero della propria storia (non quella limitata ad Andrea Doria che piace al duo Bucci- Toti) la sede per la progettazione di una nuova Europa inclusiva e di pace, aperta, come è sempre stata, verso tutte le culture del Mediterraneo.

Questo dato dovrebbe aprire finalmente una discussione sulle infrastrutture, che investono l’area metropolitana e conseguentemente tutta la Liguria. Quando ero dirigente nazionale dei Verdi durante la pandemia e prima con la caduta del ponte Morandi, tra le altre cose, erano in agenda il completamento del raddoppio ferroviario e della Metropolitana, una soluzione legata al treno per l’accesso all’ospedale di San Martino attraverso il nodo di Terralba, una nuova discussione sulla Gronda, che portasse alla attenzione pubblica il nodo della cosiddetta Genovina, oltre alla necessità di aprire un dialogo fra città e Autorità Portuale.

Genova è stata capitale europea della cultura. Ebbene, deve continuare a sostenere le attività culturali, la ricerca scientifica nonché i propri musei, ponendo finalmente la coscienza culturale al centro dell’azione politica, sapendo che alla base di ogni discorso politico e sociale vi deve essere la consapevolezza dei propri doveri, che Mazzini aveva proposto e teorizzato. Se non si ha infatti consapevolezza delle proprie responsabilità non potrà nascere nessun progetto politico e sociale, fondato in primo luogo sulla cultura, che è la base su cui costruire una nuova stagione di consapevolezza e cittadinanza europea. In ultimo, dinanzi ai ” giochi” statistici di Bucci-Andrea Doria bisogna riproporre un nuovo patto a sostegno della sanità, dei servizi sociali e della scuola pubblica, ridotta nel rapporto insegnanti-alunni, volto a favorire la funzione dell’autogestione e del decentramento anche allo scopo di dare nuova linfa ai Municipi, duramente colpiti dalla controriforma di Bucci e soprattutto per rendere tutte le persone in grado di poter definire liberamente il proprio destino.

Ricordiamo infatti che il piano di recupero del centro storico derivava dalla Giunta Cerefolini-Bessone sul modello di Bologna, mentre i 12 Ratti, che ho contato una sera tornando in stazione in vico dietro il coro di Santa Sabina erano lì nel dicembre 2019 (governo Bucci).

DB

FATTI DI LIGURIA

I cambiamenti climatici e il clima del cambiamento. Il caso Liguria

Dagli anni Ottanta, ogni decennio successivo è stato più caldo di tutti i precedenti tornando indietro fino all’età preindustriale. La crisi climatica è ormai un dato di fatto e la comunità scientifica è unanime nell’indicare le attività umane quali responsabili dell’aumento dei gas serra immessi nell’atmosfera (dati WWF Italia). Questi cambiamenti rendono sempre più frequenti fenomeni di inondazioni, siccità, dissesto idrogeologico, incendi e crisi idriche, che mettono a rischio la vita e l’estinzione di specie. Se poi all’effetto serra sommiamo l’effetto guerra, come ci ricorda Mario Agostinelli, l’apparato militar-industriale allontana e dilaziona l’urgenza della conversione ecologica e della mitigazione della crisi eco-climatica. L’estate è già alle porte e si preannuncia bollente; nei primi quattro mesi dell’anno, la siccità incombente, ha fatto registrare un deficit di pioggia del 70%. Uno studio dell’ottobre 2021 di Fondazione CIMA, in collaborazione con l’Università di Genova e Arpal, ha sviluppato alcune proiezioni dei cambiamenti climatici a livello regionale evidenziando come la nostra conformazione territoriale ad arco, con la vicinanza di mare e montagne, sia la causa del manifestarsi di eventi estremi nei prossimi anni, con ricadute differenti tra Levante e Ponente. Mentre il Levante parrebbe più soggetto ad aumenti dell’intensità delle precipitazioni, il Ponente potrebbe essere più esposto al rischio di siccità. Ma alle crisi idriche che si stanno già verificando nell’entroterra e raggiungeranno la costa fra non molto, nel pieno della stagione turistica, si potrà affiancare l’impatto degli incendi boschivi, con implicazioni nel fragile ecosistema della regione più boscata d’Italia. L’attività del fuoco può influenzare il clima, soprattutto negli eventi di vaste proporzioni, e il clima a sua volta può influenzare il regime degli incendi. Studi evidenziano che la frequenza degli incendi può essere il risultato dell’azione diretta dell’uomo ma anche conseguenza indiretta delle attività antropiche correlate ai cambiamenti climatici.

Resta da domandarsi se l’utilizzo di questi dati sarà sufficiente a prevenire, se non sapremo anche interrogare la natura e prevedere l’impatto di quanto stiamo facendo al territorio. Per capirci, importanti opere come la realizzazione di scolmatori per la diminuzione del rischio esondazione dei torrenti a poco serviranno se continueremo a occupare gli spazi degli alvei, dove possono manifestarsi le forze distruttive della natura (vedasi il progetto per l’ospedale unico di Taggia, nel bacino dell’Argentina). E ancora, perseguire le chimere dello “sviluppo sostenibile”, un ossimoro concettuale, può servire più a blindare l’appetibilità economica che a salvaguardare il pianeta per le generazioni future. Allora che fare? Tutelare la risorsa acqua come bene comune dell’umanità fuori dalle logiche del profitto; il suo accesso, che costituisca un diritto fondamentale dell’uomo. Riparare gli acquedotti, quelli attuali sono dei colabrodo: perdono in media oltre il 37% dell’acqua che trasportano. Creare bacini artificiali: l’acqua piovana potrebbe essereimmagazzinata in invasi di medie e piccole dimensioni, realizzati in collina e in pianura, aree che in genere vengono colpite dal dissesto idrogeologico e raccogliere diffusamente le acque delle piene, evitando disastrosi allagamenti, per poi utilizzarle nei momenti di deficit.  Adottare una pianificazione territoriale, che coinvolga gli aspetti insediativi e produttivi del territorio e abbia il coraggio di vietare la presenza umana nelle zone ecologicamente fragili: esposte a frane, mareggiate e ad altri eventi catastrofici.

MG

FATTI DI LIGURIA

Abbiamo chiesto al nostro collaboratore Roberto Guarino di aiutarci a riflettere sulla fertilizzazione di territorio rappresentate dalle Grandi Imprese del dopoguerra e sulla centrifugazione di competenze che seguì al loro tracollo

Il lascito di Italimpianti

Italimpianti: un patrimonio inestimabile di conoscenze, capacità progettuali e realizzative, contatti internazionali e referenze svenduto a privati interessati solo al business e all’utile immediato.

La società (già Cosider) nacque grazie alla lungimiranza di alcuni manager pubblici per la realizzazione del Centro Siderurgico di Taranto. A lungo fiore all’occhiello della siderurgia europea, poi regalato al Gruppo Riva: Cornigliano nel 1989, Taranto nel 1995.

L’elenco delle nefandezze compiute sulla ex Italsider sembra una barzelletta ma purtroppo è vero. Quando Riva subentrò in Cornigliano (all’epoca Cogea) non solo non pagò una lira ma, anzi, ricevette 15 miliardi di lire per “interventi di bonifica e ambientalizzazione”. Riva non spese un centesimo incamerando l’importo e l’ex padrone pubblico fece finta di niente. L’acquisto di Taranto fu ancora più conveniente per Riva, che pagò 2.500 miliardi di lire a fronte di un valore reale certificato dalle agenzie specializzate di 4.000 miliardi; nell’anno successivo Riva ricavò in pratica la cifra spesa vendendo alla Borsa di New Delhi le partecipazioni detenute da Ilva nelle miniere di ferro a Goa.

Ma torniamo a Italimpianti. Scongiurata la chiusura a valle della realizzazione di Taranto, la società cominciò a progettare e fornire impianti siderurgici in tutto il mondo, passando rapidamente da poche centinaia di addetti ai circa 1.500 del periodo d’oro: metà anni ’70 fino a tutti gli ‘80.

Durante questa fase il fatturato annuo era di circa 1.000 miliardi di lire, ottenendo un utile contenuto, in quanto la sua missione non era tanto di “fare cassa”, bensì di portare lavoro in Italia: la miriade di aziende specialistiche subfornitrici cui dava lavoro. Uno studio dell’epoca indicava in 1 a 10 il rapporto tra addetti nell’impiantistica e addetti nella manifatturiera per la realizzazione dei componenti e dei servizi necessari per i Grandi Progetti.

La non urgenza di fare grandi utili, e la conseguente scelta imprenditoriale, permetteva una notevole competitività internazionale, che aumentava le possibilità di acquisizione di contratti da investire in ricerca e formazione del personale.

Inizialmente le subforniture erano prevalentemente liguri o appena oltre appennino, per poi sconfinare nel resto d’Italia. Tutte le aziende, particolarmente quelle locali, si arricchirono di conoscenze abituandosi a operare con standard internazionali; imparando anche – cosa non secondaria – l’inglese come lingua tecnica internazionale. Più che inglese sarebbe meglio chiamarlo “globlish”. Ma andava bene lo stesso, tra tecnici ci si capiva. Travaso di conoscenze di grandissima importanza per il territorio. E fu vero peccato che conoscenze impiantistiche originali venissero di nuovo “regalate” a Technit, Demag e Fiat Engineering con la vendita di Italimpianti; che venne fatta deliberatamente fallire (all’interno delle PPSS chi faceva utili era antipatico) creando Iritecna tramite il perverso matrimonio con Italstat. Comunque la ricarica tecnologica di molte piccole e medie aziende fu un bene per il sistema Italia, Nord Ovest in particolare. Molti manager ex Italimpianti, appetiti a livello nazionale e internazionale, vennero assunti da aziende leader di EPC (Engineering, Procurement, Construction). Lo stesso valse anche per i progettisti. Alcuni di loro fondarono proprie società di ingegneria ancora oggi molto attive nel territorio.

Roberto Guarino

Il destino dell’ultima banca ligure, tra squali e buffi naturali

Alla fine Carige è defunta. Dopo anni di malversazioni per le quali i suoi vertici sono stati condannati e di battaglie legali tra i soci che non sono ancora finite, e soprattutto dopo anni di presa in giro dei piccoli azionisti che hanno visto di fatto perdere tutto il loro investimento, Carige non esiste più. La banca modenese BPER ha acquisito l’80% della banca dal proprietario di transizione Fondo Interbancario. Che a sua volta aveva fatto un aumento di capitale per 700 ml, valutando le azioni a 0,001 euro (sic!). Solo considerando gli asset la banca valeva di più, al netto delle passività. Con questo il gruppo Malacalza si è visto soffiare di sotto il controllo della banca, intentando una causa da 500 ml di risarcimento. Tra i vecchi e nuovi soci, tra battaglie legali, tra i passaggi di proprietà con cinquanta sfumature di grigio e di nero, tra le beffe ai piccoli azionisti, ci starebbe bene una frase di un vecchio direttore di banca romano che, esaminando le pratiche in sofferenza disse “Ahò, qui er più pulito c’ha ‘a rogna”.  D’altra parte, anche senza inoltrarci in disquisizioni economiche e mandando a quel paese i sofismi di illustri commentatori – spesso prezzolati da chi ne aveva e ne ha interesse -, basta vedere il grafico del valore dell’azione degli ultimi dieci anni per comprendere quella che lo scrittore Piero Chiara chiamò La Spartizione, dove le sorelle Tettamanzi si spartiscono il corpo del loro spasimante. (nell’omonimo film, il mattatore vittima è Ugo Tognazzi). Il problema è che Carige oggi è emiliana, e quel poco che poteva rappresentare per gli interessi e lo sviluppo della nostra regione, è finito nella bassa padana. In sostanza è l’ennesima perdita di immagine e potere della Liguria, già annunciata da tempo, come la fine dei Costa, da anni azienda americana. Immagino qualcuno si ricordi la figura ridicola di Toti e Bucci che scivolano lungo via XX Settembre in costume da bagno stile primo XX secolo per reclamizzare i 70 anni della ex società genovese. Ma se fossero solo le manovre degli squali della finanza che si azzannano tra loro, ce ne potremmo anche infischiare. Il fatto è che chi rischia di rimetterci le penne sono gli incolpevoli dipendenti della banca. Nel risiko bancario, per evitare posizioni di previlegio (ma solo quando fa comodo) la Banca d’Italia ha imposto la vendita di una cinquantina di sportelli per circa duecento dipendenti. Li acquisterà (pare) il brianzolo Banco Desio, per una decina di milioni. Già, perché i dipendenti non si possono licenziare, ma…basta chiudere una filiale. E se prima, nella peggiore delle ipotesi la chiusura di una Filiale di Albaro significava trasferirsi a Sampierdarena, domani, per questi impiegati l’alternativa sarà il licenziamento (troppe filiali doppione) o il trasferimento in una filiale lombardo veneta nel caso Desio o in Emilia, nel caso BPER. Ora (mio vecchio pallino) sarebbe davvero il momento di fondare una Credito Cooperativo ligure (siamo l’unica regione che non ce l’ha), quel tipo di banca obbligata per statuto a raccogliere denaro e investirlo nel territorio, per creare ricchezza qui e farcela scippare.

CAM

L’autogol della Sinistra: cancellare la lezione di Porto Alegre

Giusto venti anni fa – con una replica nel 2005 – come mi recai assessore a Porto Alegre, nella delegazione della Provincia di Genova al forum delle Autonomie Locali, che si svolgeva in contemporanea col Social Forum. Fu l’occasione per studiare il Bilancio Partecipativo, nato proprio a Porto Alegre, ancora sotto la dittatura militare, ma sviluppatosi con la vittoria elettorale del P.T., il Partido dos Trabalhadores, che aveva reso quella città punto di attrazione del movimento altermondialista.

Sostanzialmente il Bilancio Partecipativo prevedeva il coinvolgimento della popolazione nelle scelte da operare nel bilancio Comunale tramite un complesso sistema di assemblee pubbliche e di progettazione dal basso. Un sistema di democrazia diretta che si affiancava alla democrazia rappresentativa. Tornato a Genova ho proposto un analogo sistema per alcune voci del bilancio della Provincia, ma con la partecipazione via WEB, ben prima quindi della democrazia diretta del M5S. Ero conscio che la Provincia era un ente più lontano del Comune rispetto ai cittadini, ma vivevo la proposta come un esempio per i Comuni interessati a cui si sarebbe potuto cedere il software relativo. La mia proposta fu osteggiata da diversi colleghi, in particolare dell’allora PDS, all’interno della maggioranza. Durante le riunioni una consigliera mi disse “ma tu vuoi dare voce ai comitati che sono i nostri avversari”. La proposta comunque andò avanti e facemmo una prova nell’ultimo bilancio provinciale, prima della fine del ciclo amministrativo. Nel successivo ciclo il mio posto in Giunta fu preso proprio da quella consigliera che si affrettò a cancellare il progetto, eliminando anche dai server provinciali il software. Una vera e propria “damnatio memoriae”.

Perché racconto questo? È evidente che le sconfitte del centro sinistra a Genova e a La Spezia sono dovute al fatto che il popolo di sinistra non vota più. Bucci a Genova, nonostante l’immagine dell’uomo del fare data dai compiacenti media locali, non ha aumentato i suoi voti: è il centro sinistra che li ha persi. Credo che il popolo di sinistra non voti più anche perché spesso il centro sinistra, in particolare il PDS-PD si è rapportato in modo arrogante con la popolazione imponendo scelta non condivise, tanto “ci votano lo stesso”. Solo che non è andata così. Prima hanno votato M5S e poi si sono astenuti. Probabilmente se si fosse portata avanti una politica partecipativa, dando voce ai comitati che portano le istanze del territorio, non saremmo a questo punto. Dico probabilmente perché nella stessa Porto Alegre l’attuale Sindaco è del Movimento Democratico Brasileiro (MDB), uno dei due partiti ammessi durante la dittatura militare e quindi non propriamente progressista. Ma continuo a pensare che “la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

Mauro Solari

La chirurgia ambulatoriale verso la privatizzazione

Lo smantellamento della funzionalità della sanità pubblica non passa solo dai mancati investimenti ospedalieri o sul personale e sui servizi di medicina del territorio, ma spesso da scelte che apparentemente tecniche in realtà aprono questioni politiche di prima rilevanza.

È il caso della riforma della chirurgia ambulatoriale passata in Commissione sanità della Regione Liguria, che prevede regole per l’accreditamento per i privati. Ancora una volta la Giunta e la maggioranza fanno una riforma spezzatino, affrontando un tema delicato come quello del riordino della chirurgia ligure semplicemente appaltando tutto al privato, senza una programmazione seria e duratura e al di fuori di un Piano socio sanitario, di cui ancora non si vede l’ombra.

L’incuria dell’amministrazione regionale ha creato uno stato di emergenza che sta attraversando la sanità ligure, e in particolare la chirurgia in questo momento, con liste d’attesa lunghissime.

Pensare però di risolvere il problema spostando le prestazioni sul privato è diventata un’abitudine di questa Giunta che rischia di trasformarsi in un processo irreversibile, che alla lunga indebolirà ulteriormente la sanità pubblica.

Per risolvere il problema alla radice, parallelamente al piano emergenziale, bisogna mettere a punto un piano strutturato per rendere la sanità pubblica pronta ad affrontare le emergenze future autonomamente. Diversamente il rischio è di perdere altre professionalità che lascerebbero il pubblico per il privato. L’unico interesse di Toti e dei suoi sembra essere quello di accelerare la privatizzazione, tanto da pensare di vendere interi ospedali, come nei casi di Bordighera, Cairo M. e Albenga, o parte di essi come a Rapallo o di non prevederne il futuro come a Sarzana.

Nel frattempo cresce il disagio per la fuga di medici e infermieri verso altre regioni che assicurano maggior sicurezza e prospettive future. Interi reparti risultano sguarniti di personale e le migliori eccellenze professionali sono inevitabilmente destinate a essere attratte verso altri lidi.

Tutto questo sta producendo un aumento esponenziale della “fuga” di pazienti liguri verso altre regioni, incrementando il passivo della bilancia sanitaria regionale. Purtroppo speravamo che “l’anima nera” della sanità ligure il cripto assessore alla sanità Profiti, richiamato nelle sue terre di Calabria come consulente di quella regione, se ne andasse, ma Toti, disinvoltamente, ci ha tolto questa pia illusione: Profiti rimarrà anche in Liguria, semplicemente sommerà due mega retribuzioni.

NC

L’appello delle associazioni del ponente sul pericolo incendi boschivi

Negli ultimi giorni sono stati numerosissimi gli incendi boschivi in provincia di Imperia (Taggia, Ventimiglia, Airole, Apricale, Vallecrosia, Terzorio, Cesio, Pornassio, Camporosso, ecc.). L’estrema siccità con l’attuale crisi idrica rende la vegetazione ancora più infiammabile ed il rischio incendi è evidentemente elevato, oltreché di difficile gestione. Mentre nei boschi hanno continuato a verificarsi episodi drammatici per colpa di irresponsabili, registriamo che hanno tardato le ordinanze che vietano di accendere fuochi sia da parte della Regione Liguria, sia dai Comuni. Ora è davvero emergenza! Dobbiamo aspettare che il nostro territorio venga del tutto incenerito? Moltissime sono le conseguenze negative degli incendi boschivi allargati a zone ampie.

Su un territorio già fragile come il nostro i danni sono particolarmente gravi e quasi irreversibili. Il terreno messo a nudo dal fuoco perde la sua fertilità ed il bosco non riesce più a tornare allo stato originario se non in centinaia di anni; e con il cambiamento climatico ciò sarà sempre più difficile. I versanti privi di copertura vegetale diventano instabili generando frane e smottamenti alle prime piogge. Il terreno annerito si surriscalda aumentando anche la temperatura dell’aria circostante e perdendo la poca umidità che ancora tratteneva. La vita e la biodiversità sono azzerate. L’anidride carbonica sottratta all’atmosfera dalle piante in decine di anni o secoli viene di nuovo liberata in pochi minuti. La combustione produce quantità esorbitanti di polveri sottili e altri inquinanti dannosissimi per la salute.

Tutto questo si traduce in riduzione della qualità ed aumento dei costi della nostra vita.

Chiediamo quindi agli Enti prepostidi mettere immediatamente in atto tutte le misure necessarie per evitare questi disastri, e ai cittadini di avere il buon senso di non accendere fuochi all’aperto per nessuna ragione. Sarà indispensabile che gli Enti individuino in particolare regole, forme alternative e modalità sicure di gestione e cura della pulizia nelle campagne, condividendo con gli operatori soluzioni adeguate ed efficaci, anche economicamente vantaggiose, per non farsi più cogliere impreparati davanti a casi singoli che diventano poi emergenze. Si può per esempio incentivare la cultura e la pratica del riutilizzo sul posto del materiale residuo vegetale, importante per arricchire il terreno di sostanze organiche, rendendolo più fertile e soprattutto con maggiore capacità di trattenere acqua. Tante le soluzioni pratiche di cui si potrà discutere, a cui è necessario comunque pensare senza indugi in sinergia tra privati, Enti ed Amministrazioni, nella prospettiva sempre più urgente della tutela del territorio.

Daniela Cassini ITALIA NOSTRA PONENTE LIGURE, Germana Cassini, Rudy Valfiorito L.I.P.U. Imperia, Laura Selmi COMITATO SPONTANEO DEL VERDE DI BORDIGHERA, Daniela Lantrua PONENTE AMBIENTE CULTURA

Abbiamo chiesto a Maddalena Leali, alla prima esperienza nella politica attiva partecipando alle elezioni amministrative genovesi di questo giugno, una sua testimonianza come donna, come cittadina impegnata, come poetessa. Con la collaborazione di Roberta Piazzi, segretaria del Circolo Gramsci PRC

Amministrative: a proposito della débacle elettorale delle donne

La questione: – Che cosa pensi tu, da donna, della débacle delle donne in questa ultima tornata di elezioni? Perché di débacle, anzi, di disastro si può parlare. Presupposto: non so che cosa significhi “pensare da donna”, in casa mia non sono mai esistiti lavori, abbigliamento, modi o altro “da donna”, ma persone che prendono coscienza dalla nascita e durante la crescita delle proprie peculiarità scegliendo poi un percorso di vita mai in contrasto con il concetto di persona.

Donne e uomini sono preparati allo stesso modo. Anzi, le donne possiedono una marcia in più nella gestione della cura che ormai esercitano da migliaia di anni, diventando per loro quasi un modus vivendi (mutuabile, cedibile, oggetto di apprendimento da parte di tutti, volendo), ma sempre, in questo fluttuare di situazioni precarie, a livello mondiale o a livello locale, le donne finiscono per rimetterci. Manovre oscure? Ingenuità? Ogni volta una ridda di ipotesi, di sospetti, di mea culpa aut culpa eius e, alla fine, pare di trovarsi alla Fiera dell’Est.

Lo si comprende nel momento in cui si considera l’influenza del patriarcato, duro a morire, e di quanto lo stesso sia funzionale ad un sistema basato sulla preponderanza del profitto rispetto ai diritti umani (chiamasi capitalismo, oggi neoliberismo).

Questo sistema, per reggersi, ha bisogno di attuare a proprio vantaggio servitù che trae dalle classi sociali più indifese, tanto più manovrabili quanto più inconsapevoli e/o disinformate circa il proprio status. Ci sono state lotte e miglioramenti, ma le donne si trovano in condizione ancora sottoposta. Ed è proprio sul loro lavoro di cura completamente gratuito e non considerato in quanto tale, e sull’occupazione femminile, ancor oggi sottopagata rispetto a quella maschile, che l’imprenditoria trae una grossa fetta del profitto, utilizzando i dettami patriarcali per tenerle in condizione cadetta, possibilmente lontano dai luoghi di potere. Molti nodi sono venuti al pettine e le rivendicazioni femministe hanno inciso fortemente nel contrasto al dominio maschile, ma molto è ancora intriso di arretratezza e ricorrenti riflussi.

Tornando al discorso iniziale, non voglio esprimere giudizi né etici né di merito. 

Ho invece l’impressione che molte delle candidate siano finite nel pantano delle troppo numerose liste, in alcuni casi tirate dentro per raggiungere la soglia del 33%, quindi senza reale interesse per la vita politica. Persiste inoltre, per fortuna sempre meno, la scarsa consapevolezza del sé come Donna Persona Soggetto Politico, per cui, volendo emergere, si assumono comportamenti maschili poco credibili, retaggio di migliaia di anni di potere patriarcale, dell’uomo forte (sic!) e paternalista che offre sicurezza al di là di idee e programmi … e cito la frase così “buona” del rieletto Sindaco: Sarò il sindaco di tutti.

Vale a dire: Tranquilli, sarò il buon papà di tutti e per tutti!

Detto da una Sindaca, come suonerebbe: Sarò la mamma di tutti e per tutti!?

Una baggianata! Una Donna non lo direbbe mai, neanche riuscirebbe a pensarlo!

E che cosa sarebbe? Maternalismo? Amen! Però, diciamolo che non a caso le liste che hanno candidato a Sindaca due donne sono le due liste (candidate in numero equo) ambientaliste, anticapitaliste, comuniste, femministe.

Concludendo: in generale, alcune, poche, ce l’hanno fatta lottando con impegno, passione e generosità, altre no, sia pure lottando allo stesso modo, ma non si piangono addosso: fatto il bilancio, maniche rimboccate e via, per fare, costruire, progettare.

Maddalena Leali e Roberta Piazzi

A questo punto a cosa servono le analisi del voto?

Tante le interviste e gli articoli nei quali si sono analizzate le cause del tonfo elettorale della coalizione a sinistra nelle elezioni comunali di Genova. Del tutto inutili sia quando si è tentato, alla moda di Gatto Silvestro di arrampicarsi sugli specchi, di dire che in fin dei conti non è stata una batosta. Sia quando è stata data la colpa al bombardamento dei manifesti (più di cinque a uno come proporzione) della destra. Si è auto incolpato il buon Ariel dello Strologo, che ha parlato di inesperienza e di errori, ma è solo la vittima sacrificale prescelta nei soliti luoghi del potere. Già prima delle elezioni il nostro Pierfranco Pellizzetti sul Fatto Quotidiano aveva indicato una possibile e preponderante concausa di una sconfitta annunciata, nelle intenzioni del giovane plenipotenziario ministro Orlando, per il di cui interesse a evitare qualunque astro nascente che possa un domani insidiargli il primato (ho sintetizzato). Mesi fa invece, il sottoscritto aveva suggerito in qualche think tank che l’unico modo per arrivare a una possibile (non probabile) vittoria sarebbe stata quella di candidare una donna e dal volto noto, rigorosamente non di Genova. Per due motivi: primo perché nella nostra città non esisteva nessuna candidata men che sconosciuta se non fra i soliti noti. Secondo perché tale scelta, nata da un reale interesse al cambiamento, sarebbe presumibilmente stata accolta dalla cittadinanza delusa da decenni di malgoverno con un sospiro (se non grido) di soddisfazione (in separata sede mi dissero che avevo ragione). Un malgoverno prima della sinistra (anche se parlare di sinistra quando il comportamento politico economico e amministrativo fatto di riunioni segrete e confabulazioni è sporcare la parola) e ora della destra affarista. Che ha portato al non voto: anche questa disaffezione credo sia frutto di una popolare riflessione: se la sinistra (si fa per dire sinistra, ripeto) è uguale alla destra, tanto vale votare a destra, almeno si sa che cosa aspettarsi, invece di provare cocenti delusioni. E’ lo stesso motivo per cui a Detroit gli operai della General Motors erano passati dai democratici a quel buontempone dal sorriso pescecanino di Trump. Lo stesso motivo per cui anche nei quartieri popolari di Genova, c’è stata la batosta. Chi votava PCI per essere difeso nei propri diritti ora magari vota FdI: le ideologie sono cadute, i principi etico morali della sinistra sono finiti nelle logiche della spartizione del potere e allora si vota per chi sembra voler difendere il popolo. La storia insegna che città rosse come Livorno, meritarono l’appellativo di “fascistissime”, salvo poi ridiventare rosse dal dopoguerra fino alle delusioni che portarono alla vittoria il “vaffa” del Grillo. Anche questa analisi è inutile, è forse uno sfogo e basta, perché non vedo soluzione. E anche se, ciclicamente, chi è all’opposizione, quando va al potere, poi lo perde, non è che un ritorno ai tempi burlandiani sarebbe una vittoria. Quindi auguro a Bucci, che ha altri cinque anni davanti, di provare stavolta a fare sul serio gli interessi della città e non quelli di Toti, che tanto già si prepara ad andare in pensione a Bruxelles o il pretoriano a Roma.

CAM

Sindaco del fare che? Lamento di un genovese d’Oltregiogo

Tra i molti paradossi delle recenti elezioni amministrative, non secondario è quello per cui Marco Bucci è giunto a una trionfale rielezione, senza passare per il ballottaggio, presentandosi come ‘il sindaco del fare’.

Avendo scelto, ormai molti anni or sono, di vivere tra Genova e Ovada, costretto al quotidiano martirio ferroviario o a quello autostradale, mi chiedo cosa abbia fatto Bucci per sottrarre Genova al destino di città praticamente inaccessibile, isolata dal resto del Paese (compreso l’Oltregiogo), della quale si parla solo in occasione di fatti tragici come un’alluvione o il crollo di un ponte.

Una delle prime cose da ‘fare’, forse la principale, consisterebbe, precisamente, nel sottrarre Genova a questo destino/declino sotto molti aspetti incongruo e paradossale, se si tiene conto del patrimonio enorme di storia, competenze, potenzialità economico/finanziarie che questa città ha espresso e può tornare a esprimere. ‘Genova, città dalla quale si parte, ma non si arriva’, intitolava anni fa un proprio pezzo Giuseppe Marcenaro, alludendo al fatto che nell’atrio della stazione Principe si poteva vedere il quadro delle partenze, ma era introvabile quello degli arrivi.

Se solo pochi audaci decidono di scegliere la nostra città per viverci e lavorarci, oggi è diventato difficile anche andare via da Genova, e il sindaco ‘del fare’, in cinque anni, non è riuscito, non si dice a risolvere ma, almeno, ad alleviare il problema dell’isolamento della nostra città: che la si voglia lasciare oppure la si desideri – eroicamente – raggiungere.

Mi piacerebbe che qualcuno – in piena onestà intellettuale e politica, se l’onestà politica non è un ossimoro – mi dicesse che cosa Bucci ha fatto per la città, e non semplicemente si è intestato come dovuta alla propria, sbandierata e manageriale, attività.

La città è incredibilmente sporca; i lavori di manutenzione latitano o languono dietro a eterne transenne; siamo assediati dalle auto private e dagli scooter, al cui uso i cittadini sono costretti dalla mancanza di un sistema di trasporti efficiente, rapido, attento alla popolazione più debole. Le persone sono scontente o immusonite. La cultura è divenuta un fatto eminentemente commerciale. Solo i grandi supermercati hanno via libera dal comune.

Una rete di surreali e incongrue piste ciclabili intralcia sempre più la circolazione nell’illusione di scimmiottare Copenaghen o Stoccolma.

Malgrado un’accorta manipolazione dei dati, il numero degli abitanti di Genova è in caduta verticale (segno che, almeno, non è poi così difficile andarsene via), il costo della vita è tra i più alti del Paese. Erzelli continua a zoppicare. E che ne è della gronda, della nuova diga, dell’eterno ‘terzo valico’, della famosa metropolitana che non è avanzata di un centimetro, del sistema ferroviario per cui un viaggio da Sanremo a La Spezia diventa un‘Odissea?

Naturalmente non tutti questi problemi possono venire risolti dal sindaco, ma un sindaco vero e non un semplice anche se prezioso ‘manager’, dovrebbe essere in grado di far sentire forte e pesare la voce di una città come la nostra, trascurata – l’avrete notato – persino nei servizi televisivi sui risultati delle amministrative.

Che il ‘sindaco del fare’ riesca questa volta a trasformarsi in un vero sindaco, quello di cui Genova ha disperatamente bisogno? Nonostante tutto, la città – e noi con lei – continua ad augurarselo.

MM

Chi comanda nel Tigullio?

Avviare una riflessione sulla crisi delle classi dirigenti in un ambito territoriale ristretto, come il Tigullio, forse può aiutare a decifrare alcune peculiarità. Anche in questo territorio si è verificata la cosiddetta “fine della repubblica”, termine giornalistico divenuto elemento datante di quel tempo caratterizzato dalla fine dei grandi partiti e delle classi dirigenti di allora. Finivano definitivamente i partiti che avevano scritto la Costituzione; oggi, del glorioso documento, non è più presente nessun soggetto di coloro che la siglarono e approvarono. In gran parte la individuano ancora come riferimento istituzionale, in diversi hanno tentato di modificarla, non tutti si riconoscono come antifascisti nell’operare politico del riferimento costituzionale.

Nel Tigullio si verificò un vero terremoto alla fine degli anni Ottanta. In tale periodo emerse la Lega e una nuova classe dirigente che si affermò sul territorio. Qui una prima constatazione: i dirigenti erano dei leader locali e non appartenevano a gruppi eletti negli organigrammi dei nuovi partiti, anzi evidenziavano che partiti non lo erano più. Questo significava una netta rottura col passato e una frattura tra democrazia dei partiti e la nuova esperienza dell’elezione diretta dei sindaci varata nel 1993. I nuovi soggetti che si presentavano cercavano il loro successo attraverso l’elezione diretta portata dalla nuova legge, ma non avevano segreterie politiche, direttivi, assemblee che sino a quel momento avevano regolato la vita delle organizzazioni politiche. Questa constatazione è valida anche per sindaci di grandi città: a Genova Bucci a chi rende conto politicamente del suo operare? Al solo elettorato? Questi due interrogativi possono essere proposti in ambiti come il Tigullio, dove da anni sono quasi esclusivamente le liste civiche le vere protagoniste della nuova esperienza della democrazia nelle comunità locali. Queste non hanno più riferimenti di partiti nazionali, ma si adattano al leader locale. D’altronde possiamo rammentare che il segretario attuale del Pd è entrato in parlamento nelle suppletive di Siena con una lista che portava il suo nome! Così la politica è sempre più rappresentata da “persone” e sempre meno da “partiti”, su questo possiamo avviare una riflessione e chiederci come l’elettorato può reagire e dare segnali: col calo drammatico della partecipazione al voto. Questo è successo nel Tigullio e nel comune che perseguiva il progetto di divenire la Quinta Provincia della Liguria. Con la fine della Prima Repubblica arrivò la Lega che propose uno dei sindaci sceriffo così amati in quel tempo, si fece un’apposita delibera per abolire il 25 aprile e un’altra per introdurre “servizi di ronde volontarie”. Questa nuova forma “democratica” inciampò in alcuni reati che videro condannare definitivamente il sindaco sceriffo; che nel frattempo fondava un proprio movimento “Chiavari Avanti Così”, dove era presente il motto: “Fatti e non Parole”. Qui giungeva alla vittoria l’ex assessore al bilancio delle giunte Agostino Marco Di Capua. La sua esperienza amministrativa terminava drammaticamente per l’improvviso decesso. Domenica si voterà per il ballottaggio e rimane in gara e al comando quel filo conduttore iniziato nel lontano 1993. Non ho nessuna ricetta per uscire da questa profonda crisi della democrazia italiana, ma raccontandola si possono individuare i limiti del cammino sino ad oggi compiuto. La politica non è più considerata l’unico strumento atto a risolvere i problemi delle persone, ma certamente rimane come obiettivo per chi desidera affermare il proprio ruolo personale. Questo il nodo da sciogliere per il futuro. Ma nel frattempo non è posto all’ordine del giorno da nessun soggetto politico.

GV

In questo numero de la Voce la rubrica Citizen Journalism, in cui si denunciano le dissipazioni di preziosi patrimoni culturali/artistici come capitale delle nostre comunità, si è fermata a Sarzana

Il parco e la villa dei marchesi Ollandini a Sarzana. In stato di abbandono

Appena fuori del centro storico di Sarzana, sulle prime pendici del colle sovrastato dall’antica fortezza di Sarzanello, da dove si vede il mare, circondata da un magnifico parco e preceduta da un prezioso giardino, sorge la Villa Ollandini.

La villa, appartenne alla famiglia Ollandini sino al 1936, anno nel quale venne ceduta alla provincia della Spezia. Durante la guerra fu adibita a sede del comando tedesco e per questo bombardata. Nel dopoguerra la villa venne ricostruita non più nelle graziose forme animate originali, ma come un grosso edificio di forma rettangolare. Fu adibito a preventorio antitubercolare, per isolare i bambini di famiglie dove qualcuno aveva contratto la tubercolosi.

Nel 1980 la proprietà passò al comune di Sarzana che lo mise a disposizione della ASL locale, vi trovarono posto gli uffici amministrativi della ASL, il centro d’igiene mentale, il SERT e l’AVIS. Nel 2000 l’ASL abbandonò la villa, che fu ceduta, in un primo tempo all’INAIL e, poi, passata alla VALCOMP 2, società finanziaria del Ministero del Tesoro e da questa a Cassa Depositi e Prestiti (CdP).

Già la ASL aveva procurato diversi danni, asfaltando in vialetti interni del giardino, un tempo sistemati a ghiaino, ma dal 2000 l’incuria, l’abbandono e l’azione di vandali e occupanti abusivi hanno fatto il resto. L’elemento più pregiato del complesso è senza dubbio la parte verde con 50.000 metri quadrati di parco verde, con uno splendido viale di tigli e diversi alberi pregiati e 20.000 metri quadrati di giardino. Nel parco e nel giardino, realizzati dall’architetto paesaggista Michele Canzio, un tempo, arrivarono ad essere presenti oltre 300 specie di piante, delle quali alcune rarità esotiche di grandissimo pregio, provenienti da ogni parte del Mondo. Le colonne in muratura, i fregi che le sovrastavano, la cancellata in ferro battuto e il cancello d’ingresso versano in cattive condizioni. Le vasche sono vuote. Non vi è più l’acqua e men che mai i pesci rossi che le popolavano. La grotta artificiale con la caduta d’acqua appare smantellata. L’isolotto, realizzato sfruttando l’acqua del canale lunense appare in stato di abbandono con la rovina del palco della musica e del romantico ponticello che ne garantiva l’accesso. La limonaia, la bella casa del custode, le serre, della vecchia voliera rimane la parte bassa in muratura e solo parte della parte sovrastante in ferro battuto, versano in stato di rovina. Molte piante pregiate, facenti parte della raccolta della Marchesa Egle Ollandini, sono morte.

Già dal 1989 l’amministrazione comunale di Sarzana aveva annunciato che avrebbe reso visitabili il giardino e il parco. Impegno mai mantenuto. Il 15 settembre 2017 CdP ha presentato al Comune di Sarzana un progetto che prevedeva tre ambiti di intervento: 1) il recupero e la cessione al Comune del giardino storico (solo il giardino e non il parco) 2) il ripristino dell’azienda agricola; 3) Il recupero dell’originaria funzione residenziale della Villa e dei fabbricati ad essa funzionalmente connessi, la cessione al comune degli edifici della casa del custode, dove si prospettava il trasferimento della biblioteca comunale, e della ex limonaia.

Con il cambio di amministrazione nel 2018, il progetto, per fortuna, si è arenato. La nuova amministrazione di centro-destra ha annunciato di avere una soluzione straordinaria per Villa Ollandini e il suo parco e che entro sei mesi dal suo insediamento avrebbe presentato un piano di recupero integrale del sito e la sua messa a disposizione del pubblico. Sono passati quattro anni e nessuno parla più di Villa Ollandini, mentre i rovi avanzano e l’incuria cresce.

NC