Numero 29, 31 maggio 2022

                  uno strumento di contro-informazione per il dibattito pubblico ligure

LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI

Numero 29, 31 maggio 2022

Gli articoli de La Voce del Circolo Pertini possono essere letti su: https://www.vocecircolopertini.it

PILLOLE

Comunali genovesi: arriva Renzi detto “il bomba”

Il ganzo di Rignano ricala la maschera. Per le comunali genovesi “noi stiamo con Toti e Bucci” senza

Rottamatori in coppiase e senza ma. Dunque con “prima gli italiani”, con “no allo ius soli”, con i nostalgici del fascismo. Lo ha dichiarato a La7 plaudendo agli sforzi di Raffaella Paita che tira le fila dell’alleanza. Toti e Bucci sorridono a denti stretti perché temono così di perdere voti. In effetti il ganzo ha detto anche che sta un po’ a sinistra e un po’ a destra. A seconda della convenienza: l’eventuale accaparramento di

una poltoncina, sia rossa o nera: per lui pari sono. E tra le chicche di questa campagna una fa sorridere: la pubblicità di un tale dal nome come un grande chansonnier napoletano, che dichiara “il mio cuore batte a destra”. Cardiologia allertata: caso disperato, da operare d’urgenza.

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Profiti o Profitti? Che succede alla sanità ligure

Toti ha trattenuto per sé la delega alla sanità e dopo diversi disastri, come la perdita di 120 milioni

di contributi pubblici per l’ospedale Felettino della Spezia, aver tentato di vendere gli ospedali di Cairo M, Albenga e Bordighera, dopo il fallimento della nave-covid, ha deciso di creare una struttura di missione sulla sanità. Così ha richiamato una vecchia conoscenza di Regione Liguria: il prof. Giuseppe Profiti, per taluno Profitti, legato al cardinal Bertone ed ex amministratore delegato dell’ospedale Bambin Gesù di Roma.L’attico dello scandalo

                                                                                                                                                             Condannato per la ristrutturazione del super appartamento del Bertone a un anno di reclusione e all’interdizione dei pubblici uffici a vita, poi ridotta a un anno. Ora il Profi(t)i assomma oltre la consulenza ligure analogo incarico in Calabria. Ha pure il dono dell’ubiquità?

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Che succede nella Diocesi di Genova?

Nella sua news Savonarola Farinella contesta il vescovo Tasca che annaspa: “fatti gravi accadono nella Diocesi di Genova, nell’indifferenza generale, che mettono in luce quanto papa Francesco chiama “perversione del clericalismo”: manovre, abusi di autorità, disprezzo della legge, sgambetti per chi può dare fastidio. Perché il vescovo ha scelto la linea pastorale di riempire la Curia di preti fannulloni che si dedicano a costruire uffici megagalattici, tavoli ovali per riunioni stile Confindustria, mentre la Diocesi langue e annega. Speravamo che il nuovo vescovo francescano operasse una svolta stile Francesco, ci siamo trovati un “funzionario” con il suo stretto cerchio magico. Intanto il Tasca tace. Aspetta dritte dal manager Zampini che da 20 anni vuole distruggere l’ospedale Galliera?

EDITORIALI

I cattivi maestri. Accolgo l’invito a una discussione.

Sul numero scorso della “Voce del Circolo Pertini” Pierfranco Pellizzetti, parlando del primo maggio esponeva una tesi che se nella sua estrema sintesi era assolutamente reale, a causa dell’eccessiva sinteticità ha lasciato sicuramente nel lettore più di un dubbio e una serie di perplessità.

Pfp ci dice che negli anni ’60 dello scorso secolo il 90% dei provvedimenti approvati dal parlamento italiano venivano decisi in sede di commissione parlamentare grazie all’accordo tra i maggiori partiti DC e PCI. Questo è vero, ma come spesso capita ha due letture, che non necessariamente si smentiscono a vicenda.

Se da un lato è evidente un sotterraneo accordo spartitorio o quantomeno la necessità di avere un segnale di via libera, anche al fine di evitare uno scontro sociale e politico nel Paese, dall’altro è anche segnale di un importante lavoro parlamentare, in un’epoca, che ha mille difetti, ma nella quale la centralità del Parlamento era sicuramente maggiore di oggi, l’abuso dei decreti legge era a minimi livelli,  e nella quale la qualità e la preparazione politica e specialistica dei singoli parlamentari di tutte le forze politiche dell’epoca e non solo della due maggiori, era decisamente su un livello qualitativo di gran lunga superiore a quello odierno.

La ricaduta di quel clima sulla realtà genovese (ma, come testimone di un’estrema periferia ligure, potrei dire dell’intera regione) produce “evidenti retro-processi spartitori che ritroviamo nella Genova di quegli stessi anni: la ripartizione delle rispettive sfere di influenza tra il leader democristiano Paolo Emilio Taviani (vulgo PET) e il gruppo dirigente comunista”. Vero! Ma una verità isolata da un contesto rischia di essere male interpretata. Quel clima spartitorio era frutto di una necessità, in primo luogo a livello nazionale e che a Genova, come nel resto della Liguria non poteva discostarsi dall’elemento dal quale scaturiva. L’impossibilità del PCI, che pure era un partito che otteneva tra il 25% e il 30% dei consensi degli elettori e aveva una sua straordinaria e articolata forza organizzativa, in Liguria particolarmente radicata, di partecipare al governo del Paese per i suoi legami internazionali con l’URSS. La contraddizione era che al PCI era concesso amministrare comuni e, dal 1970 in poi, anche regioni, dove in genere praticava un tipo di amministrazione di stampo socialdemocratico, ma non era possibile pensare a una sua presenza al governo. Questo ha finito per bloccare per 50 anni ogni possibile alternanza di governo. Contemporaneamente però il PCI, tramite la CGIL e anche tramite molte organizzazioni vicine aveva una presenza formidabile nei luoghi di lavoro e nella società. Da questi fattori scaturisce la necessità di trovare un accordo e una qualche forma “ufficiosa” di coinvolgimento nelle pratiche di governo, più esplicito a livello locale, più recondito a livello nazionale.

Occorre ricordare che non sempre fu così, che a Genova ci furono momenti di duro scontro. I fatti di Genova del giugno/luglio 1960 furono un’enorme mobilitazione di piazza, organizzata soprattutto dal PCI e dal PSI, ma anche da CGIL, ANPI e altri, che fece crollare un governo e contribuì non poco a segnare una svolta negli indirizzi politico-strategici nazionali. A Genova nacque il terrorismo, ma a Genova anche morì il terrorismo, particolarmente dopo l’orrendo assassinio di Guido Rossa. Furono anni di tensione, di paura, che solo la mobilitazione di massa e la notevole rete organizzativa a sinistra seppero reggere e, alla fine, sconfiggere.

Solo così è possibile capire le diffuse pratiche consociative dell’epoca, delle quali non abbiamo alcun rimpianto, ma alle quali non può essere ridotta una stagione politica fatta anche dall’abnegazione e dal sacrificio personale di migliaia di militanti comunisti, socialisti, di sinistra in generale. Infine riguardo ai cattivi maestri, Pfp ha pienamente ragione, ma spero mi perdonerà, se penso con nostalgia alla qualità personale di personaggi politici liguri dell’epoca come Pertini, Taviani e Natta, rispetto al nulla di oggi.

NC

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L’epopea del Piano Sinigaglia: una storia ligure dimenticata

Due recenti interventi di esponenti dell’ortodossia economica che più ortodossa non si può, apparsi sul numero 2/2022 della rivista MicroMega, ci fanno ricordare quello che hanno significato le Partecipazioni Statali per la nostra regione; una consapevolezza annegata nell’orgia di privatismo all’insegna dell’ideologia liberista degli ultimi quarant’anni.

Inizia Lucio Baccaro, professore onorario dell’Università di Ginevra: «le partecipazioni statali non erano affatto quel carrozzone clientelare di cui parlano alcune narrazioni, ma erano aziende a più alta intensità di capitale e maggiore produttività delle corrispondenti aziende private, che facevano più investimenti in ricerca e sviluppo ed erano più presenti in settori ad alta tecnologia come le telecomunicazioni, l’elettronica, l’aeronautica e la robotica». Rilancia Luigi Zingales, docente di Impresa e Finanza presso l’Università di Chicago, riflettendo sulle scelte suicide degli anni ‘90: «nel momento in cui si doveva pensare a una transizione tecnologica, in cui bisognava spingere gli imprenditori a competere in un mondo globale, con le privatizzazioni lo Stato ha offerto loro un modo semplice di fare soldi in settori protetti». Il caso dei Benetton, che mentre gli spagnoli di Zara vanno alla conquista del mondo, loro si accomodano in Autogrill e Autostrade lasciando andare in malora la United Colors.

Sempre in materia di sviluppo industriale, va ricordato che il nostro “Miracolo Economico” ebbe come innesco scelte di politica industriale che si concretizzarono dalle nostre parti, a Cornigliano.

Certo, quella grande stagione che consentì all’Italia di entrare nel novero delle nazioni più industrializzate fu trainata dall’intraprendenza di imprenditori spesso di prima generazione, da grandi innovazioni di prodotto (la Divisumma Olivetti, la Seicento Fiat, la Vespa Piaggio, il Moplen Montedison), ma le condizioni di cornice risalgono all’opera visionaria di un signore chiamato Oscar Sinigaglia (1877-1953); un ingegnere triestino vittima delle persecuzioni raziali del Ventennio, che lo estromise da ogni caricaIcona dei “mitici” anni cinquanta

pubblica, poi ritornato alla guida della Finsider nel 1945.

Ossia il ricordo rimosso che l’innesco dell’epopea industriale del secondo dopoguerra va attribuito a una scelta nata dall’accordo di un grande manager pubblico e un politico di larghe vedute: l’incontro tra l’ingegner Sinigaglia e il primo ministro Alcide De Gasperi, che diede l’avvio alla grande siderurgia di Stato con lo stabilimento genovese di Cornigliano; che consentì di mettere a disposizione della metalmeccanica nazionale lamiere e nastri d’acciaio (coils) di ottima qualità a prezzi competitivi. Condizione del successo della nostra industria automobilistica, ma anche di altri settori con formidabili capacità esportative come la “siderurgia bianca”, gli elettrodomestici.

Dovrebbe far riflettere che anche allora gli oppositori di questa coraggiosa scelta strategica furono la Confindustria e i padroncini guidati dalla famiglia Falk. Più o meno la stessa compagnia di giro che si oppose all’entrata del nostro Paese nel Mercato Comune, prefigurando catastrofi per l’economia nazionale. Smentita da quanto avvenne nel marzo 1957, che coincise con la scoperta delle notevoli capacità competitive del nostro sistema industriale. Di cui erano state poste le basi a Cornigliano.

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La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Danilo Bruno, Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi:

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Enzo Barnabà, Maddalena Bartolini, Giorgio Beretta, Marco Bersani, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Battistina Dellepiane, Egildo Derchi, Marco De Silva, Monica Faridone, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Santo Grammatico, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Fioriana Mastrandrea, Maurizio Michelini, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Stefano Sarti, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi.

POSTA

Riceviamo dall’amico Rino Tortorelli, per conto di “Manifesto per la Sanità Locale” e “Insieme per una sanità migliore”

Lettera al Signor Ministro della Salute dr. Roberto SPERANZA

Consegnata in occasione dell’incontro a La Spezia 16 maggio 2022

Quadro generale

Siamo fortemente preoccupati dal disegno di legge sulla concorrenza e il mercato, riforma “abilitante” per l’accesso ai fondi europei del PNRR. Il DDL Concorrenza, dietro la riproposizione del mantra “crescita, competitività, concorrenza”, si prefigge una nuova ondata di privatizzazioni di beni comuni fondamentali, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, dalla sanità ai servizi sociali e culturali, fino ai porti e alle telecomunicazioni. All’art. 6 individua nel privato la modalità ordinaria di gestione dei servizi pubblici rendendo residuale la loro gestione pubblica, per cui gli Enti Locali che opteranno per tale scelta dovranno “giustificare” il mancato ricorso al mercato. Il DDL espropria le comunità localidei beni comuni (spingendole comunque a gestioni in forma mercantili, come le società per azioni), dei diritti e della democrazia azzerando la storica funzione pubblica e sociale dei Comuni.

È un attacco complementare a quello già portato avanti con il disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata. Contraddice la volontà popolare espressa con i referendum del 2011contro la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni. La preoccupazione aumenta quando, con difficoltà, si riesce ad individuare chi veramente – tra le forze politiche – possa ad oggi ancora farsi portavoce delle istanze dei cittadini espresse nel referendum del 2011.

Quadro specifico: le politiche di privatizzazione applicate al nuovo ospedale del Felettino della Spezia (NOF).

Siamo stupiti e contrariati dal fatto che – nonostante i nostri esposti a tutti i livelli (Ministeri della Salute e dell’Economia – ANAC – Procura della Repubblica – Corte dei Conti) – non si sia riusciti in alcun modo, non tanto ad impedire (posto che la legge consente il PPP), quando a limitare o a individuare forme alternative per il finanziamento del NOF. Così, ad oggi, il privato interviene nell’opera con 97 mln di euro, ricevendone in cambio oltre 266 in 25,5 anni per la sola restituzione (il costo a posto letto si pone a ca. 815 mila euro!), oltre agli oneri di gestione dei servizi non sanitari del NOF a costruzione avvenuta (il privato incasserà oltre 414 mln di euro, oltre a tutti i servizi extra canone per ca. 610 mila euro / anno).

Il canone di oltre 16 mln di euro l’anno per 25,5 anni – che sarà a carico dell’ASL 5 Spezzino – compromette ulteriormente la capacità di spesa per l’ASL per nuovi o migliori servizi e per assunzione di personale (ricordiamo che la ASL 5 ha già un 30% di personale in meno rispetto alla media regionale).

Quanto sopra nonostante la Corte dei Conti ligure – sia tramite gli uffici della Procura che tramite la sezione regionale di controllo – avesse espresso il proprio parere negativo su tale forma di finanziamento del NOF.

Non ci risulta, inoltre, che in alcuna altra parte d’Italia si sia scelto una simile ed onerosa forma di finanziamento per un’opera pubblica essenziale per la Provincia (anzi risultano interventi finanziati con fondi PNRR e quindi pubblici). Ad oggi, non sappiamo quale altra azione sia possibile, oltre alle mobilitazioni civiche che, da tempo ed in maniera pacata e propositiva, stiamo mettendo in atto. Notiamo purtroppo – ed anche in questo caso, come sul DDL concorrenza – che le istituzioni politiche locali sono di fatto assenti.

Peraltro, ci risulta che nel bando finale dell’opera alcune “sollecitazioni” e pareri espressi dal CIGA non siano stati integralmente seguiti dalla stazione appaltante IRE per conto dell’ASL 5 Spezzino.

Le chiediamo quindi di valutare un intervento ministeriale al fine di verificare la rispondenza del bando alle indicazioni del CIGA e del DIPE.

La richiesta

In questo quadro, sicuramente non roseo per il futuro dei servizi sanitari provinciali, forse una luce parziale si vede con il DM 71. Le chiediamo quindi di voler tornare in Liguria – ad elezioni concluse – per illustrare tale normativa ed anche per affrontare alcuni altri temi fondamentali, tra i quali la mancanza di medici di medicina generale e di specialisti.

Rino Tortorelli

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Riceviamo dal nostro collaboratore Roberto Guarino

La tecnologia italiana svenduta: ancora sul caso Italimpianti-Iritecna

Stimolato dal pezzo che nel numero scorso della VDCP citava Iritecna (perverso sposalizio tra Italimpianti e Italstat), torno sull’argomento della tecnologia italiana perduta o, in qualche modo, regalata; concentrandomi proprio sull’ex Gruppo Italimpianti, all’interno del quale spesi gran parte della mia vita professionale.

Negli anni ’70 vennero costruiti e installati i due altoforni gemelli più grandi e performanti del mondo, uno a Chiba in Giappone progettato e fornito da Kawasaki Steel e uno a Taranto progettato e fornito da Italimpianti, Kawasaki e Italimpianti lavorarono pariteticamente al progetto molto innovativo per l’epoca.

Sempre in quegli anni la CMF di Livorno (Gruppo Italimpianti), progettista e fornitore della Sopraelevata di Genova, propose alla città un ponte metallico per alleggerire il traffico pesante, la proposta venne snobbata ma in compenso la CMF progettò e fornì, in project financing (altra caratteristica innovativa per l’epoca), addirittura due ponti sospesi (tipo Golden Gate) sul Bosforo, ancora oggi in perfetta efficienza.

Una tecnologia che tutto il mondo tentava senza successo di imitare era relativa ai laminatoi per la produzione di tubi senza saldatura di alta qualità destinati principalmente al settore di estrazione petrolio. La Innocenti Sant’Eustacchio (INNSE) era la depositaria dei brevetti e del know how. L’essenza del processo (PPM/MPM) denominato “a mandrino trattenuto” richiedeva spazi per la sua installazione enormemente inferiori rispetto ai laminatoi tradizionali, garantendo qualità più alta proprio grazie, anche, alla minore lunghezza del mandrino. INNSE aveva fornito suoi laminatoi in Argentina, Messico e Canada; a valle della sua entrata nel Gruppo Italimpianti altri laminatoi di questo tipo vennero forniti in Cina (Tianjin e Anshan) e Russia (Volžskij); ne venne venduto e spedito uno anche in Venezuela (a SIDOR – Siderurgica de Orinoco).

Lo stabilimento siderurgico CST di Tubarao (in Brasile) presso la città di Vitoria venne realizzato in joint venture tra Kawasaki Steel e Italimpianti/Italsider. L’impianto, che iniziò a produrre nel 1983, era abbastanza tradizionale ma Italimpianti progettò e vi installò una Cokeria dotata di un sistema di raffreddamento assolutamente innovativo per l’epoca. Si tratta del cosiddetto “spegnimento a secco” che, rispetto al tradizionale spegnimento a umido, oltre a non disperdere polveri nell’atmosfera garantisce anche un significativo risparmio energetico, grazie al recupero del calore ottenuto in ambiente confinato dall’esterno.

Italimpianti deteneva anche il know how relativo ai dissalatori di acqua marina e a macchine e sistemi di movimentazione materiali alla rinfusa; appartengono a quest’ultima tecnologia i due grandi scaricatori a benna da 3.100 tonnellate all’ora di portata installati a Taranto per alimentare il nuovo altoforno numero 5. Anche in quest’ultimo caso erano, all’epoca, le macchine più grandi del mondo e anche in questo caso ne vennero installate due a Chiba e due a Taranto.

Ad inizio anni ’90 Italimpianti progettò e installò (primo in Italia e tra i primi al mondo) sull’altoforno numero 5 di Taranto il cosiddetto “impianto di iniezione polverino in altoforno” che permetteva di ridurre drasticamente l’esigenza di carica di coke abbattendo l’impatto ambientale connesso alla produzione.

Ecco, tutte queste e altre conoscenze fecero gola ai privati quando Prodi (presidente dell’IRI) mise sul mercato Italimpianti. La cordata acquirente era composta da Technit, Mannesmann Demag e Fiat Engineering. Salvo Mannesmann Demag che già deteneva sufficiente know how siderurgico ma desiderava interiorizzare il laminatoio di INNSE, le altre due compagini erano, fino ad allora, aziende di dimensioni tutto sommato modeste: la ricarica tecnologica ottenuta dall’acquisizione di Italimpianti le proiettò in alto nel mercato dell’impiantistica internazionale. Tale ricarica tecnologica era patrimonio di tutti gli italiani tramite l’IRI, mentre dopo il 1996 divenne patrimonio di privati.

Roberto Guarino

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Dal diario del consigliere Luca Garibaldi: le ultime novità in Regione Liguria

1)I doppi incarichi di Toti e Profiti

Martedì scorso, in un Consiglio Regionale piuttosto spento, Toti ha risposto alla mia interrogazione sul futuro della struttura di missione della sanità Ligure, gestita dal Professor Profiti, indicato da poco anche come superconsulente in Calabria per la gestione dei disastrati conti regionali in sanità. Avevo depositato questa interrogazione perché ritenevo naturale e fisiologico che Profiti, selezionato con avviso pubblico con un contratto da più di 100mila euro l’anno, il 30 giugno, al termine dell’incarico, lasciasse la struttura ligure visto il nuovo incarico.

E invece no. Con straordinaria nonchalance Toti ha risposto che sì, il Professor Profiti è anche consulente in Calabria, ma che questo non comporta alcun tipo di problema e che anzi la struttura di missione potrà comunque continuare e Profiti resterà al suo posto.

Per cui, una struttura tecnica nata – e da noi contestata – per supportare le mancanze di Toti, per il suo doppio incarico da presidente della Regione e Assessore alla Sanità, sarà gestita da una persona che da ora ha un doppio incarico. Ormai occuparsi della sanità per Toti è un hobby, e lo è pure per chi dovrebbe supportarne le decisioni tecniche. Che poi tecniche non solo, perché questa struttura – STEM, si chiama – nei fatti è stato il braccio operativo di Toti, che discute i budget delle ASL, riforma gli accreditamenti: ha deciso, senza un confronto con i Sindaci dei territori, la collocazione delle Case di Comunità e la gestione dei fondi del PNRR e posto le basi della riforma – iperaziendalista – della sanità ligure. Azzerando peraltro la discussione in consiglio Regionale, che è stato privato pure della possibilità di dare linee di indirizzo sui temi e che, cosa gravissima, fa fatica a ricevere anche la documentazione e i verbali di quella struttura tecnica.

Una situazione vergognosa e che dà il senso della considerazione della sanità pubblica e della tracotanza nella gestione del potere da parte della destra, che non ha neppure il senso del limite e dell’opportunità.

2)Punto sanità: il caos liste d’attesa in Liguria

Pochi giorni fa sul Corriere della Sera è comparsa una inchiesta sulle liste d’attesa nelle regioni italiane. Ne abbiamo parlato più volte e il quadro che emerge è di grande preoccupazione e, nei fatti, di un piano nazionale inapplicato. Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato un miliardo di euro in più per il recupero del pregresso: un supporto fondamentale, ma serve un controllo e una azione regionale chiara che ad oggi manca. Nonostante la propaganda quotidiana del nostro Presidente di Regione, che vive in una bolla fatta di selfie, fuochi d’artificio e tagli di nastri, i dati delle liste d’attesa restano devastanti.

Aprendo i siti delle ASL sulle liste di attesa, questi sono i risultati delle ultime rilevazioni (19 maggio) per le prestazioni brevi, quelle da svolgere entro 10 giorni dalla richiesta: 527 giorni (un anno e mezzo) per una elettromiografia semplice in ASL 5, 423 giorni, più di un anno, per una colonscopia nella ASL 4, 146 giorni per un Holter in ASL 3, 123 giorni per un fundus oculi in ASL 2, 91 giorni per un Eco ostetrica nella ASL 1. E i dati citati sono quelli delle prestazioni brevi, non degli esami programmati, per cui si supera quasi di regola l’anno di attesa. Un meccanismo che produce due risultati: da un lato molti sono costretti a rivolgersi al privato o ad andare fuori regione; dall’altro una maggiore pressione sui pronto soccorso, con molti accessi di codici verdi e bianchi che si potevano risolvere con esami specialistici.Un circolo vizioso, della cui gravità tutti gli operatori hanno consapevolezza, tranne la Giunta Regionale, che continua imperterrita a snocciolare come un successo l’operazione Restart Sanità e l’utilizzo di oltre 24 milioni di euro per l’abbattimento delle liste d’attesa; gran parte dei quali sono però finiti ad acquistare prestazioni private, più che a rafforzare il pubblico.

Luca Garibaldi

P 01

FATTI DI LIGURIA

Riprende l’assalto all’Acquasola

Tra le molte promesse-minacce della prospettata amministrazione Bucci-bis, c’è il rinnovarsi dell’assalto al parco storico dell’Acquasola.

In molti ricorderanno la battaglia – apparentemente vittoriosa – condotta per salvare il parco dalla realizzazione di un vasto parcheggio sotterraneo che avrebbe condannato a sicura morte il parco, sostituito da uno di quegli insopportabili rendering con cui la speculazione cerca di mascherare le iniziative più ignobili.

Ma la lezione è stata, a quanto pare, imparata. Oggi si vorrebbe proporre ai genovesi un obiettivo molto interessante (anche se difficile da realizzare compiutamente): quello della ‘pedonalizzazione’ del centro, nell’area di Piazza Fontane Marose, via XXV Aprile e via Roma. Per realizzare questo ambizioso progetto, tuttavia, occorrerebbe risolvere il problema dei parcheggi. Come raggiungere in auto l’agognato ‘salotto’ della città?

Ecco la risposta che viene prospettata: utilizziamo come parcheggio – guarda un po’ – quell’inutile e per nulla redditizio parco, l’Acquasola. Ghiotto obiettivo, che questa volta sembra possibile realizzare: naturalmente, ci si dice, ‘salvaguardando gli alberi’, occupando le aree ristrette attualmente riservate alle moto, chiaramente insufficienti per l’eventualità della pedonalizzazione. Il parco, poco a poco, si restringerà e finirà per soffocare, assediato dalle autovetture.

Non, bisogna pur dirlo, senza trovare una concausa nell’indifferenza delle amministrazioni che si sono succedute dopo il fallimento del progettato parcheggio sotterraneo. L’Acquasola è stata di fatto abbandonata, con la sua misera giostrina degli anni settanta, un baretto non proprio accogliente, il triste laghetto e – là in fondo – l’area latrante riservata ai cani.

Nonostante l’abbandono, l’Acquasola è ancora la risorsa di moltissimi bambini e dei loro genitori. Trasformarla in parcheggio dimostrerebbe – ancora una volta – l’indifferenza se non l’ostilità di questa città di anziani verso le giovani e giovanissime generazioni. Le stesse che – per inciso – non votano.

MM

P 02

FATTI DI LIGURIA

Transizione energetica: la Liguria perde posizioni e finisce in coda

All’inizio dell’insediamento della giunta Toti la Liguria occupava un onorevole terzo posto in Italia nella speciale classifica dopo il Piemonte e la Puglia. Oggi, che il tema della transizione energetica è diventato cruciale sia per il dramma del cambiamento climatico, sia per le opportunità offerte dal PNRR, sia anche per la necessità di sostituire l’importazione di petrolio e gas dalla Russia, a causa dell’aggressione scatenata da Putin contro l’Ucraina, la posizione della Liguria è scivolata in fondo alla classifica. Oggi le regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Umbria, Basilicata e Campania hanno approvato un piano e raggiunto gli obiettivi dei loro target. Bene anche Trentino-Alto Adige, Sicilia e Piemonte che hanno approvato i loro piani, mentre quelli di Lombardia, Lazio, Puglia e Calabria, sono approvati e in fase di consultazione. La Liguria è precipitata all’ultimo posto di questa classifica.

In questi anni, anche a causa dell’incapacità dell’Assessore alle Attività Produttive Andrea Benveduti di trovare qualche decina di migliaia di euro nei bilanci della Regione per progetti pilota nei Comuni, il vantaggio che avevamo è stato bruciato; e molte realtà sono più avanti di noi.

Questo accade proprio in un anno nel quale la guerra in Ucraina e la necessità di accelerare il pieno sviluppo di fonti energetiche alternative al gas e al petrolio e non solo di sostituire le forniture russe con forniture più costose, ma ugualmente inquinanti, provenienti da altri paesi, rendono urgente e drammatica la ricerca di energie alternative.

La siccità straordinaria di questo inverno è un ulteriore elemento aggravante, così come l’innalzamento delle temperature media, che, inevitabilmente, porteranno ad un innalzamento dei consumi energetici.

Per la Liguria il dato è ancora più sconfortante, perché proprio il tema delle energie rinnovabili poteva essere occasione di lavoro per molte imprese, università e centri di ricerca, nonché di lavoro diffuso sul territorio per la necessità di collocare migliaia e miglia di piccoli impianti di mini eolico, di fotovoltaico, di mini idroelettrico, oltre ad attività come la ristrutturazione degli edifici ai fini del contenimento termico.

Ancora un’occasione perduta. Forse a questa giunta piacciono più gli aspetti pubblicitari come il ricco appannaggio dato alla Canalis per uno spot insignificante o i soldi per tappezzare la Liguria di tappetti rossi, ben presto luridi.

NC

P 03

FATTI DI LIGURIA

Guai a fermare la macchina politica della diga

Grazie alle inchieste giornalistiche indipendenti di Andrea Moizo (di cui la Voce ha pubblicato estratti nel numero scorso) siamo venuti a conoscenza che il progetto della diga contiene una falla clamorosa, rivelata da un esperto internazionale della materia, Piero Silva, prima chiamato a collaborare al progetto e poi dimessosi una volta che ne aveva segnalato l’insostenibilità e soprattutto le conseguenze sotto il profilo economico e dei tempi di realizzazione. Dice in buona sostanza Silva che in teoria si può fare tutto, ma a 50 metri di profondità, dove è prevista la diga, con un tipo di fondale che richiede fondazioni specialissime, il costo della diga lieviterà sino a raddoppiare e i tempi si allungheranno pregiudicando qualsiasi ragione di corrispondenza tra l’investimento e le esigenze dei traffici del porto. Occorrerebbe invece fermarsi a rivedere il progetto e con l’occasione introdurre variazioni utili a aggiungere valore progettuale anche per la risoluzione di altri problemi del porto, a cominciare dai depositi chimici, trascurati sinora per servire il solo interesse degli armatori delle super-portacontenitori e l’arrogante immagine elettoralistica e demagogica del Sindaco-Commissario del “fare presto e a tutti i costi” (con soldi pubblici, ovviamente, e con le imprese che ci si sceglie in deroga alle procedure ordinarie di appalto).

A niente è valso l’appello di Silva a Bucci e di una parte importante degli operatori del porto preoccupati per le prospettive realistiche del progetto. Impossibile non pensare che la questione dei fondali, che lo stesso Ministero ha dovuto rilevare nelle sue prescrizioni contenute nella Valutazione di Impatto Ambientale, sia sfuggita a Signorini e Bucci. Ma vale il discorso che si ripete quasi puntualmente negli appalti pubblici, soprattutto in porto: si aggiudica la gara a qualcuno, peraltro grazie al commissariamento, lo si fa in maniera discrezionale, e poi lungo la strada dell’appalto si concederanno rialzi di prezzo e prolungamenti di scadenze per “imprevisti” accadimenti.

Del resto, la prima motivazione della nuova diga sta nel rendere operativo il terminal MSC di Bettolo, un’opera quella del riempimento della Calata che è costata il doppio del preventivo (e non è ancora finita) e durata il triplo degli anni previsti. Ebbene, stavolta di “imprevisto” non ci sarà nulla.

I pubblici poteri di controllo intendono intervenire per tempo o assisteremo alla solita manfrina del dopo, quando sarà troppo tardi sia per i soldi che per l’utilità della diga?

Riccardo Degl’Innocenti

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FATTI DI LIGURIA

San Giacomo a Savona. E non solo

Fino al 29 maggio 2022 a Savona è possibile visitare la mostra sull’antico convento di San Giacomo in cui si avrà modo di vedere due importanti momenti di cosa significhi riappropriarsi della storia della nostra città.

La mostra, visitabile negli spazi espositivi del Vescovado nella omonima piazza e organizzata dal Rotary Club insieme alla Fondazione De Mari, al Comune e alla Diocesi, ripercorre con bellissime riproduzioni il ricco patrimonio artistico del complesso monumentale; nonché la sua storia secolare da monumento cittadino di primaria importanza fino a divenire reclusorio militare e a caserma, con i tentativi da parte dell’ordine monastico di riappropriarsene almeno parzialmente fino quasi all’inizio dell’ultima guerra.

Qui bisogna rammentare che nel monastero furono sepolti numerosi esponenti di famiglie illustri, tra cui quasi sicuramente Gabriello Chiabrera, della cui tomba ad oggi non si ha alcuna notizia.

Vengono riprodotti documenti, che si trovano presso l’Archivio di Stato e quello Diocesano, nonché fotografie d’epoca con particolare riguardo sia alla vicenda dello spostamento del cimitero cittadino; prima alla foce del Letimbro e poi a Zinola, con la progressiva urbanizzazione dell’area sottostante il complesso conventuale con l’albergo Miramare e – infine – la stazione dei vagonetti.

Bisogna precisare che tutte le immagini sono state restaurate e rese più chiare con un lungo lavoro grafico, da cui si riesce a capire con nettezza sia il primitivo aspetto della chiesa che l’estensione del podere di San Giacomo, fino a giungere alla possibile definizione delle opere d’arte tuttora esistenti.

Vi sono poi notevoli disegni e interventi dell’arch. Venturino, che ha supportato dal punto di vista professionale gli organizzatori.

Qui va reso merito al Rotary Club; soprattutto alla vasta e importante ricerca che ha portato pure alla definizione di un possibile futuro utilizzo della struttura come sala polivalente, a cui aggiungere percorsi di visita di ciò che è rimasto dopo il saccheggio compiuto a suo tempo dalle truppe francesi.

Bisogna fare a tale riguardo almeno tre considerazioni:

a) rammentare la preziosa attività del Comitato Amici del San Giacomo, che cura e interviene con impegno a organizzare e risanare l’area;

b) l’impegno di porre al centro dell’attenzione una struttura culturale di prim’ordine, su cui il Comune dovrà intervenire con azioni di consolidamento ma che ora, a fronte della proposta espressa in mostra, non può più consentirsi alibi sul futuro della struttura. E a tale proposito bisogna anche considerare il capolavoro liberty del Miramare, che potrebbe costituire un intervento di social housing o cohousing, viste le dimensioni della struttura. Allo scopo di impedire l’ennesima privatizzazione di strutture pubbliche;

c) utilizzare l’attuale ex stazione dei vagonetti, autentico lascito di archeologia industriale, come sede di start up per attività culturali, performances ma anche come residenze di artisti, di nuove imprese culturali giovanili, in modo da poter ospitare anche alle attività di arte contemporanea.

Evidenziando il dato significativo della partecipazione civica, dal Rotary Club al Comitato Amici del San Giacomo, in tema di beni culturali. Ovvero, avviare una lettura filologica dei monumenti in modo da comprenderne il passato, per poi elaborare progetti di un futuro utilizzo; tale da mettere in sintonia le principali esigenze cittadine con la possibilità di fruire dei monumenti, rispettandone spirito e struttura.

DB

P 06

FATTI DI LIGURIA

Sintesi del “Rapporto civico sulla salute 2022” di Cittadinanzattiva

Quasi due anni di attesa per una mammografia, circa un anno per una ecografia, una tac, o un intervento ortopedico. E a rinunciare alle cure è stato più di un cittadino su dieci. Screening oncologici in ritardo in oltre la metà dei territori regionali e coperture in calo per i vaccini ordinari. È il lascito della pandemia, un’emergenza che ancora non abbiamo superato.

Il Rapporto di quest’anno fornisce una fotografia della sanità vista dai cittadini, unendo due analisi: una afferente alle 13.748 segnalazioni giunte al servizio PiT Salute e alle 330 sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato; l’altra finalizzata ad esaminare, da un punto di vista civico, il federalismo sanitario per descrivere i servizi regionali dal punto di vista della articolazione organizzativa, della capacità di amministrare e di fornire risposte ai cittadini.

“Durante la pandemia abbiamo fatto i conti con una assistenza sanitaria che, depauperata di risorse umane ed economiche, si è dovuta concentrare sull’emergenza, costringendo nel contempo a “rinunciare” a programmi di prevenzione e di accesso alle cure ordinarie. Ancora oggi abbiamo la necessità di recuperare milioni di prestazioni e i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi” – dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva – “Allo stesso tempo la pandemia ha evidenziato alcune priorità di intervento, prima fra tutte quella relativa alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oggetto di riforma con il PNRR. Tuttavia, occorrerà una lettura attenta dei contesti territoriali, individuando percorsi e non solo luoghi che favoriscano servizi più accessibili e prossimi ai cittadini, puntando molto sulla domiciliarità. La carenza di servizi, la distanza dai luoghi di cura, come pure la complessità delle aree urbane e metropolitane impongono un’innovazione dei modelli organizzativi sanitari territoriali”.

Liste di attesa per le cure ordinarie, ritardi nella erogazione degli screening e dei vaccini, carenze nell’assistenza territoriale sono i primi tre ambiti nei quali si sono concentrate, nel corso del 2021, le segnalazioni dei cittadini. Nello specifico questo il dettaglio degli ambiti maggiormente segnalati: l’accesso alle prestazioni(23,8%),la prevenzione (19,7%), l’assistenza territoriale (17,4%), l’assistenza ospedaliera e mobilità sanitaria (11,4%).

Prima dell’emergenza il livello di utilizzo della telemedicina superava di poco il 10%, durante l’emergenza ha superato il 30% per molte applicazioni. Il servizio più utilizzato è il Tele-consulto con medici specialisti (47% degli specialisti e 39% dei MMG), che raccoglie l’interesse per il futuro di 8 medici su 10. Seguono, in termini di utilizzo durante l’emergenza, la Tele-visita (39% degli specialisti e dei MMG) e il Tele-monitoraggio (28% e 43%).

I servizi di Telemedicina sono, invece, ancora poco utilizzati dai pazienti, non tanto per la mancanza di interesse, ma a causa dell’offerta ancora limitata. I pazienti dichiarano che la modalità più utilizzata per monitorare a distanza il loro stato di salute è una semplice telefonata oppure una videochiamata di controllo (23%). Molto meno utilizzati i vari servizi strutturati, come la Tele-visita con lo specialista (8%), la Tele-riabilitazione (6%) o il Tele-monitoraggio dei parametri clinici (4%).

Sul sito web www.cittadinanzattiva.it è possibile scaricare il Rapporto civico sulla salute 2022 e il relativo abstract.

Cittadinanzattiva (associazione “holding” che raggruppa diverse associazioni tematiche locali (Manifesto per la sanità locale; Palamria SI, Masterplan NO; No al Biodigestore di Saliceti, comitato contro centrale ENEL)

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FATTI DI LIGURIA

Le elezioni comunali a Ponente e l’attacco del DDL Concorrenza

Il 12 giugno anche quattro comuni della Provincia di Imperia andranno al voto per rinnovare il Sindaco e il Consiglio comunale. Le campagne elettorali sono già nel vivo da diverse settimane, gli spazi espositivi sono tappezzati dai volti dei candidati e come consuetudine si susseguono impegni, promesse e programmi. Non ce ne vogliano i comuni dell’entroterra di Bajardo, Perinaldo e Pornassio, ma l’attenzione maggiore è rivolta soprattutto su Taggia, dove la Giunta e il Sindaco uscente, ricandidato e vicino al Governo regionale, stanno puntando molto sull’Ospedale unico provinciale. Un’opera pensata in un’area a rischio esondazione, la piana del torrente Argentina, la cui costruzione ha raggiunto il costo – al momento attuale – di 372 mln di euro, e che prevede la chiusura degli attuali due ospedali del ponente, la riduzione del numero di posti letto, di reparti, e di operatori sanitari. Tutto ciò come se la pandemia fosse solo un incidente di percorso e non avesse smascherato i tagli attuati alle politiche sanitarie regionali, anche dalle precedenti amministrazioni di colore differente, a favore della sanità privata. Ma c’è di più. È attualmente in discussione al Senato un provvedimento che rappresenta un vero e proprio attacco alla storica funzione pubblica e sociale dei Comuni. Con il disegno di legge sulla Concorrenza e il Mercato che, nel predisporre l’obbligo sostanziale alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico, dalla sanità ai servizi sociali e culturali, avrà l’effetto di amplificare a dismisura la diseguaglianza fra le persone all’interno del medesimo territorio, con aumenti delle tariffe e peggioramento della qualità dei servizi che pregiudicheranno l’accesso alle fasce povere e vulnerabili. L’Ente locale rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e la coesione. Per le sue caratteristiche di centro abitativo viene definito come il luogo della democrazia di prossimità. Negli ultimi tre decenni, questo ruolo è stato messo pesantemente in discussione; è infatti su di esso che sono state scaricate gran parte delle misure di austerità previste dai vincoli finanziari imposti dall’Unione Europea: dal patto di stabilità al pareggio di bilancio, dai tagli dei trasferimenti alle cosiddette “spending reviews”. Non sono giorni semplici per chi amministra i territori locali e per chi si appresta a farlo, per questo non attendiamo promesse o grandi opere; per questo va chiesto ai Sindaci e ai nuovi candidati di prendere posizione e di esprimersi, aldilà delle diverse sensibilità politico-amministrative, contro questo provvedimento. Si sono già impegnate a farlo, deliberando la richiesta di stralcio dell’art. 6 per gli Enti locali, le città metropolitane di Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, molte altre e tre Consigli regionali. Evidentemente l’ambito locale, dove è più tenace la resistenza alle privatizzazioni, è quello nel quale vi è la possibilità per i cittadini di influire maggiormente sui processi decisionali.

MG

P 08

FATTI DI LIGURIA

Dopo gli interventi di Antonella Marras, Maura Galli, Carla Scarsi e Monica Lanfranco sul tema “una politica civica al femminile”, pubblichiamo la lettera rivolta a tutte le donne spezzine da parte delle candidate della coalizione progressista che sostiene Piera Sommovigo, la futura prima donna sindaca di Spezia.

Da donna a donna

Scrivo a te, perché tra donne ci si capisce meglio.

Ognuna di noi, nella propria quotidianità, nel lavoro, nello studio, in famiglia, sa quanto deve sgomitare per raggiungere l’obiettivo.

Si dice fare due volte meglio per essere giudicate brave la metà.

Una sensazione che noi donne conosciamo bene.

Nella mia vita mi sono sempre messa in gioco e ho raggiunto i miei traguardi professionali e famigliari dovendo spesso adeguarmi a modi e tempi costruiti su schemi maschili.

Pensare che nel 2022 si parli ancora di rivendicazioni di genere, rammarica e rattrista.

Ma la strada da fare è ancora lunga e io, come penso anche tu, non mi arrendo e vado avanti con determinazione e coraggio: nel mio piccolo, dentro le mura di casa, tra le pareti del mio ufficio, con gli amici, i parenti, i colleghi.

Mi batto perché nella nostra città avvenga un cambiamento prima di tutto culturale.

E allora mi chiedo perché non abbiamo mai avuto una donna al gradino più alto, quello di Sindaca, e non trovo risposte convincenti, ma una soluzione sì: voglio che quel momento sia ora.

Con la prima donna Sindaca so che la mia città si prenderà maggiormente cura delle persone e dei luoghi, come solo noi donne sappiamo fare.

Avremo una città più sicura, ma non perché reprime, ma perché sa educare.

Avremo una città che fa proprio il senso di comunità, come in una grande famiglia dove ognuno occupa il suo posto e rispetta quello altrui.

Avremo una città più partecipata, in cui fioriscono le occasioni di incontro e confronto.

Avremo una città generosa, dove ogni donna può sviluppare le proprie ambizioni grazie a nuovi servizi a sostegno dei più piccoli e dei più anziani.

Avremo una città in ascolto, come solo le donne sanno ascoltare.

Avremo una città che aiuta le ragazze, potenziando i servizi legati alla loro formazione, ma anche all’educazione sessuale e le tante problematiche legate ai disturbi alimentari.

Avremo una città che non giudica e non pregiudica l’orientamento sessuale o religioso ma che garantisce i diritti di tutte coloro che vogliono vivere all’interno di una comunità rispettandone i doveri fondamentali.

Avremo una città senza barriere, né mentali né architettoniche, perché uscire con un passeggino o una carrozzina non diventi l’impresa della vita, ma un semplice giro in centro.

Ecco cara amica, perché è così che ti sento, non ho la pretesa di fare una rivoluzione culturale in pochi giorni, ma di stimolare in te una riflessione: ogni lungo viaggio inizia con un primo passo. Avere la prima Sindaca nella nostra amata città è il primo passo che abbiamo scelto di fare, insieme a te.

Le donne spezzine per Piera Sommovigo

P 09

FATTI DI LIGURIA

La Finanza indaga sui centri massaggio in Liguria

Da occidente a oriente, da Finale Ligure a La Spezia. Nell’ultimo mese sono stati individuati e sequestrati tre centri massaggi cinesi dalla Guardia di Finanza. Tali notizie sono riportate dalla nostra stampa cartacea e on line, con motivazioni che hanno del comico, involontariamente presumo. Si dice infatti che in un caso i militari hanno atteso che un cliente uscisse, gli hanno chiesto lo scontrino fiscale, e dalla mancanza di quest’ultimo hanno supposto che all’interno si svolgesse di fatto un’attività diversa dai massaggi terapeutici, o meglio di una terapia particolare. Straordinario il fiuto deduttivo (così come riportato dai media). In realtà, e qui sta l’effetto comico, basta andare sulle pagine degli stessi giornali o su qualsiasi sito internet per vedere pubblicizzati tali genere di massaggi, con tanto di telefono e di indirizzo. Non solo, con foto inequivocabili, perché non ritengo che il mostrare più o meno parti intime o atteggiamenti seduttori faccia parte del bagaglio professionale di una seria massaggiatrice. E ci voleva la mancanza dello scontrino per sapere che in quelli, come in tutti i centri coram populo che si possono vedere per le strade, si svolgevano attività particolari? Come è altrettanto chiaro che, dopo la chiusura delle case di tolleranza sessantacinque anni fa, in queste questioni, proprio la tolleranza (calembour) è regina. In Europa le prestazioni sessuali a pagamento sono regolate in tre modi diversi. A) Secondo il principio proibizionista, dove sono illegali e punite le prostitute ma non il cliente e dove invece è punito il cliente ma non la prostituta. O il prostituto, per par condicio. Chiaro, no? B) Secondo il principio regolamentarista, dove tutto è legale (come in Germania, Austria, Svizzera etc etc), vi sono norme comportamentali e mediche stabilite per legge e vi è un’imposizione fiscale. E infine C) c’è il modello abolizionista, come quello italiano, un vero bordello, se mi è consentita la battuta. Infatti non è proibita la prostituzione, ma sono proibite le case di tolleranza, non è punito il cliente né la prestatrice (o il prestatore) d’opera. È però proibito e punito lo sfruttamento: in legalese una cooperativa di escort (lungi da me dare suggerimenti) potrebbe funzionare. Così possono liberamente funzionare i centri massaggi, e anche in questo caso la legge di riferimento è un bordello (ormai ci ho preso gusto), perché si possono aprire anche senza nessuna professionalità, basta che il massaggio non abbia alcun fine né medico né estetico né curativo. E quindi le forze dell’ordine devono fare i salti mortali per giustificare in qualche modo la chiusura di un centro, magari con la scusa dello scontrino. D’altra parte anche Al Capone fu arrestato e condannato per frode fiscale, non per i suoi crimini. Insomma basta lo scontrino, e la tolleranza (senza la casa di riferimento) potrà restare in piedi. Che poi ci voglia una legge per chiarire il tutto e uscire dal bordello è un altro discorso.

CAM

P 11

FATTI DI LIGURIA

Una riflessione sullo specifico ligure della nostra collaboratrice Carla Scarsi, candidata alle prossime amministrative nella lista Linea Condivisa per Dello Strologo sindaco

Rio e Genova, Radici e simmetrie (P 11)

La Voce del Pertini me lo ha chiesto. Sarebbe stato bello rispondere che fin dai tempi più remoti nel carattere genovese vi fosse un legame etimologico, antropologico e caratteriale con la Saudade – portoghese prima e brasiliana poi. I Romani lo chiamavano “ius murmurandi”, (conferendogli legittimità di un diritto) e al tempo dei velieri i nostri marinai potevano scegliere se navigare senza o con mugugno: meno paga ma brontolio libero.

Purtroppo niente da fare, non c’è storia. Il mugugno nasce da una genetica depressione dovuta alla fatica, all’asprezza del territorio, alla difficoltà di vivere in una striscia di terra amara. Nasce dalla nostra propensione asociale.

Invece la Saudade, tradotta erroneamente con nostalgia, non è solo questo; bensì un crogiolarsi struggente, la tristezza di un ricordo felice e una “felicità di essere tristi”.

Victor Hugo scriveva che “la malinconia è la gioia di essere tristi”. Il ricordo che ci manca qualcosa di un tempo passato, che ci faceva sentire bene, ma che non possiamo più recuperare. Perfino Luca Carboni canta che la malinconia “sembra quasi la felicità”.

Ma allora cos’è che accomuna alcuni dei nostri sentimenti a quelli del (in apparenza) allegrissimo Paese del Sud America? Abbiamo una Saudade genovese?

E certo che l’abbiamo! E magari è stato il mugugno a dare origine alla scuola dei cantautori tristi, i nostri nostalgici meravigliosi Tenco, Paoli, Lauzi, e tutta la scuola genovese dei primi vent’anni del dopoguerra.

Vinicius De Moraes diceva “A que saudade eu tenho da Bahia” cioè “ah, che nostalgia ho di Bahia, ho voluto seguire il denaro ma non dovevo andare via”. E proseguiva: “La felicità è un intervallo fra due momenti tristi”. Il nostro Tenco era d’accordo.

Se pensiamo a melodie (e a testi) come “Vedrai vedrai”, “Un giorno dopo l’altro”, “Sassi”… e li confrontiamo soprattutto con la bossa nova, potremmo sovrapporre i temi e perfino gli accordi di queste due scuole così meste. La prima canzone brasiliana che conquistò il mondo fu proprio Chega de saudade” (Basta con la “nostalgia“, di Tom Jobim e Vinícius de Moraes 1958, che pure ci ravanava dentro). Per Chico Buarque di Hollanda “La saudade è mettere in ordine la camera del figlio morto”, quando Luigi Tenco si strugge “Vedrai, vedrai non son finito sai” e “Preferirei sapere che piangi, che mi rimproveri di averti delusa”

In realtà era stato Natalino Otto, ben prima del “Frigideiro” di Bruno Lauzi, a lanciare un amo ammiccante alle melodie Brasileire, sia nella “Bossa Figgeu”, sia nella languida e struggente “Baexinna”: “Baexinna da un ce ciu triste che mi, E i sogni se perdan in cerca de ti, O tempo cu passa delava a xaiugie, Baexinna in sci veddri serrè, Baexinna e t’aspetu ma nu ti vegniae”, (pioviggina da un cielo più triste di me che ti aspetto, ma tu non vieni…). La saudade non manca in “ARRIU”; che inizia a ritmo di Samba indiavolata, ma “ARRIU” non vuol dire “A RIO” (de Janeiro), bensì “ARRIVO”. Il canto di un emigrante che torna più spiantato di prima. Contraltare del “Ma se ghe pensu”, in cui lo stesso ha fatto i soldi ma ha nostalgia di casa.

Infine una curiosità: Pino Daniele aveva inserito “Appocundrìa” nel suo terzo album, “Nero a metà”, che può davvero essere accomunata alla Saudade. E da qui potremmo lanciarci verso il Blues, e il sentimento Blue delle origini.

È possibile collegare questo discorso con l’oggi? Altroché…

I Liguri vantano la loro Saudade, e pure il loro mugugno. Ma la malinconia può essere il modo per non accettare il presente e nutrire scontentezza senza mettersi in gioco. Malinconici come se guardassimo foto dell’infanzia: non è che siamo un popolo in depressione? E ci siamo ritirati nel vecchio LP, affacciati alla finestra, mentre qualcun altro sta vivendo al posto nostro, là fuori?

Intendo dire, se non si fosse capito: andate a votare!

Carla Scarsi

P 12

FATTI DI LIGURIA

Per gentile concessione di Piazza Levante 12 maggio, pubblichiamo l’ampio stralcio dell’intervento di Tonino Gozzi, il Braveheart del Tigullio

Nuovi ecomostri crescono, a Levante

La vicenda del depuratore in area di Colmata, con tutte le ripercussioni gravi che avrà su Chiavari, è stata gestita con superficialità e incompetenza da tutti gli enti che se ne sono occupati; in primis dal Comune di Chiavari ì, ma anche da Città metropolitana, Regione e Iren.

La Civica Amministrazione dei ‘fatti non parole’ in 5 anni di mandato non è neanche riuscita ad arrivare a un progetto definitivo e a una valutazione complessiva dell’impatto previsto. Gli altri Enti sovraordinati, registrata la disponibilità di Chiavari a mettere a disposizione l’area di Colmata, sono andati avanti senza troppe remore. Tra l’altro un conflitto di interessi di Iren, contemporaneamente soggetto coordinatore dell’ambito ma anche realizzatore e gestore dell’opera.

Si parla di un investimento complessivo di oltre 100 milioni di euro, pagato dai cittadini nella tariffa dell’acqua, che creerà una significativa servitù per Chiavari a favore degli altri comuni coinvolti (Lavagna, Carasco, Cogorno, Leivie Zoagli) in un depuratore comprensoriale.

Di quanto succederà si sa poco, forse per far passare senza rogne l’appuntamento elettorale.

Le questioni legate ai grandi impianti ambientali in tutta Europa si affrontano con approfondimenti tecnico-scientifici e il massimo dell’informazione pubblica.

In Francia progetti di questo tipo sono sottoposti a débat publique: terminata la fase autorizzativa tecnica (nel nostro caso la Conferenza dei Servizi) si apre quella pubblica di informazione e discussione con i cittadini, che può anche terminare con una modifica o addirittura uno stop.

Quali sono le grandi questioni su cui è bene che ci sia il massimo della chiarezza?

In primo luogo è giusto accettare l’idea di un depuratore comprensoriale a Chiavari? Le moderne tecnologie consentono impianti efficienti anche su scala più piccola. Perché costruire un unico impianto comprensoriale mastodontico, costosissimo, che va a occupare l’area più pregiata della città, invece che piccoli impianti comunali così da distribuire il sacrificio su tutti gli interessati? In secondo luogo, anche accettando l’idea dell’impianto comprensoriale, l’area di Colmata è davvero la location giusta? Tutte le città di mare fanno del waterfront la loro area di pregio; e con il contributo dei migliori architetti e progettisti la fanno diventare un luogo attrattivo per attività turistiche, commerciali, culturali, congressuali e sportive. È giusto che Chiavari rinunci alla sua area più pregiata per metterci un depuratore? Si è riflettuto sulla possibilità di altre location? Pare di no.

In terzo luogo, anche accettando la collocazione del depuratore sull’area di Colmata, si è analizzata la possibilità di rendere compatibile l’impianto stesso con altro che non sia un parcheggio; altro volume assai ingombrante in altezza dal momento che andare in profondità costa tantissimo? Qualcosa che avrebbe potuto valorizzare l’area? Pare di no. E così, nella totale assenza di una visione del futuro della città e dell’indirizzo a fini di sviluppo e occupazione della sua area più pregiata, sorgerà un manufatto lungo più di 300 metri e di un’altezza superiore agli 8, che essendo realizzato a fil di banchina impedirà qualunque vista mare per tutto il fronte. Un muraglione senza senso.

La Soprintendenza non ha nulla da dire sul piano paesaggistico?

Antonio Gozzi

P 14

FATTI DI LIGURIA

Per la rubrica Civic Jurnalism, ecco una segnalazione dal nostro Ponente di un altro caso di messa a rischio del nostro patrimonio di beni pubblici, minacciati dall’incuria e questa volta salvati dallo spirito civico

Salvata Villa Angerer a Sanremo

Per la Settimana del Patrimonio culturale 2022 di Italia Nostra, dedicata all’Italia Salvata, con la finalità di mettere in risalto i risultati positivi ottenuti in questi ultimi anni grazie alle azioni di tutela e valorizzazione, si segnala ancora il caso di Villa Agerer, dall’estremo ponente ligure.

Villa Angerer a Sanremo è un gioiello storico artistico tra fine Ottocento e inizio Novecento che si stava aprendo all’Art Nouveau: dall’architettura, alla pittura, alle decorazioni, ai ferri battuti, ai marmi intagliati, legni intagliati, mosaici, le ceramiche, i vetri, affreschi, alle testimonianze da tutto il mondo portate dal proprietario austriaco, l’avvocato viaggiatore, bibliofilo e botanico Leopold Angerer. Ora è proprietà del Comune ed era già stato avviato un restauro. La cornice del Parco è altrettanto preziosa, un giardino centenario, a cui si giunge dall’interno attraverso uno scalone di marmo e ringhiere in ferro lavorato, un vero e fantastico labirinto con grotte, caverne, torrette, statue, ricco di rare piante esotiche, una serra sperimentale curata da Mario Calvino, illustre botanico padre di Italo, che qui abitò con la famiglia. Il Comune di Sanremo ad inizio 2021 ha messo sul mercato privato Villa Angerer e Parco annesso, prevedendone la trasformazione ad albergo, con un semplice avvito all’Albo pretorio. Dopo un primo immediato intervento dell’Associazione locale Ponente Ambiente Cultura, il Presidente Regionale di Italia Nostra Roberto Cuneo ed il Responsabile della costituenda sezione del Ponente ligure nel luglio 2021 hanno scritto all’Amministrazione Comunale di Sanremo chiedendo di fermare l’iter della procedura di concessione poiché per tale bene storico sarebbe stata doverosa un’indagine di mercato internazionale con ampia pubblicità attraverso agenzie specializzate per cercare soluzioni di alto profilo e avere la garanzia della più ampia progettualità nel rispetto del valore dell’immobile e la sua più adeguata utilizzazione dal punto di vista culturale e turistico. Nei mesi successivi la procedura si è interrotta e successivamente si è appreso dagli organi di stampa dell’intenzione del Comune di avviare un recupero del Parco con i fondi del PNRR (marzo 2022).

Come già avvenuto a Sanremo per il recupero del Forte di Santa Tecla e per Palazzo Nota con il Museo Civico, questi immobili, testimonianza della grande storia della città e di un intero territorio, devono rimanere fruibili per la collettività e per un’offerta turistico-culturale di qualità.

Nello specifico Villa Angerer è di per sé già un Museo e un racconto di un’importante epoca cittadina. Il completamento del restauro della Villa e del Parco può partecipare a canali di finanziamenti pubblici per riqualificazione urbana a destinazione museale, spazi per piccoli eventi, mostre, convegni, parco urbano, testimonianze cittadine e spazi ricreativi e di intrattenimento, nel rispetto delle caratteristiche originarie e in una gestione sostenibile. Tutto il nostro Ponente è un territorio conosciuto per le bellezze naturali, paesaggistiche e per le testimonianze storico architettoniche della grande storia e delle comunità internazionali che vi soggiornarono, che ne fanno un esempio invidiabile se valorizzate appieno in ambito turistico-culturale.

Associazione Italia Nostra ponente ligure/Associazione Ponente Ambiente Cultura