Numero 26, 15 aprile 2022

LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI

uno strumento di contro-informazione per il dibattito pubblico ligure

PILLOLE

San Remo: la battaglia per il verde pubblico continua

Come la Voce dCP aveva anticipato, i militanti del Pat di Sanremo (Comitato spontaneo paesaggio, alberi territorio) non intendono fermarsi nella loro lotta contro lo scempio del patrimonio arboreo della città dei fiori come di altre località dell’estremo Ponente, tra cui Bordighera. Grazie a una serie di segnalazioni dei cittadini, tra cui l’abbattimento nel febbraio 2021 del maestoso pino di via Cavallotti per cui era in itinere il riconoscimento del titolo di albero monumentale cittadino. Empio dei 1.200 silenziosi amici verdi che hanno subito la stessa sorte, oggetto di esposto alla procura e dell’indagine in corso dei Carabinieri Forestali. Alla magistratura accertare eventuali illeciti compiuti dagli amministratori. Alla Politica portare comunque a discussione pubblica una tale insensatezza.

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Toti e Bucci: invoca l’ordine e crea disordine

Gli amministratori regionali e genovesi propugnano legge&ordine e contemporaneamente diminuiscono i fondi per le forze di polizia locale. Ovvero: crea il disordine per invocare l’ordine, vecchie e attuali teorie di stampo fascista. Così un paio di settimane fa due carabinieri si sono trovati di notte ad affrontare da soli una cinquantina di pusher nei vicoli di Genova. Per fortuna, a evitare il peggio, sono arrivati i rinforzi dell’Arma, ma la polizia municipale era assente. Forse sono pochi, impegnati a fare le multe alle moto che non trovano un buco dove posteggiare? Per le giunte di destra ripulire la città significa dare “calci in culo agli accattoni”, disse l’assessore Stefano Garassino. Una bella ripulita sarebbe invece quella di mandare a casa proprio loro: l’occasione è prossima.

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La tournée di Toti in Dubai: i conti della spesa

L’Indagine di Corte dei Conti ci fornisce ulteriori dettagli sulla missione a Dubai di Giovanni Toti, con delegazione di 21 persone al seguito; oggetto già di precedenti “pillole”: 13 collaboratori e 8 cronisti. I giudici hanno delegato la Finanza per valutare l’eventuale danno erariale. Una parte di approfondimenti riguarda la congruità delle spese: dai quasi 5 mila euro del solo biglietto di Toti ai 1.400 euro di hotel per tre giorni; sette giornalisti su otto hanno avuto hotel e aereo pagati dalla Regione (18 mila euro); per tutti è stata affittata una navetta privata per Malpensa costata 1.580 euro. Cui si aggiungono i 53 mila euro messi a bilancio dalla Regione per fare pubblicità all’evento sui media liguri. Incoscienza o scelta mirata per ungere le ruote dell’informazione locale?

EDITORIALI

Le fumisterie di Toti per nascondere alleati fascisti e putiniani

Nella maggioranza che sostiene il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti il primo partito è La Lega per Salvini. Salvini è stato, di recente, sbugiardato dal sindaco polacco di Przemysl, che non lo ha voluto ricevere in comune e neppure stringergli la mano, mostrandogli invece la maglietta pro Putin che il leader leghista ha indossato in più occasioni. In quella maggioranza c’è anche Forza Italia, molti ricordano quando il decrepito leader Berlusconi diceva “garantisco io per l’amico Putin”, o quando si faceva ritrarre in colbacco di pelliccia nella dacia di Putin. Lo stesso Berlusconi che voleva abolire la festa del 25 Aprile, lo “sdoganatore” dei fascisti. C’è poi Fratelli d’Italia, un partito che non si fa problemi a rivendicare l’eredità storico-politica del fascismo, con la Meloni che si è più volte spesa in sperticati elogi a Putin.

Oggi, Toti “fa fumo”, sparge cortine nebbiogene per confondere le idee ai cittadini e per nascondere i “peccatori” di casa sua. Lo fa attaccando l’ANPI. Addirittura arriva a dire “Stop al pacifismo peloso”, chi non vuole aiutare Zelensky, allora non festeggi il 25 Aprile.A quale titolo Toti, giornalista massese, già al servizio di Berlusconi, si può permettere di rivolgersi in questo modo a una delle più grandi associazioni italiane, rappresentante dell’antifascismo e della resistenza? A quale titolo è stato insignito del potere di decidere chi può e chi non può partecipare alle manifestazioni del 25 Aprile? Tanto più che l’ANPI è stata molto chiara nelle dichiarazioni del presidente Pagliarulo “La condanna dell’invasione è irrevocabile”, esprimendo semmai riserve sull’invio di armi all’Ucraina. Riserve che non condivido, ma, visto che esiste una libertà di pensiero, sono discutibili, ma legittime e anche molto diffuse.Le dichiarazioni di Pagliarulo hanno incontrato riserve anche da parte di Carlo Smuraglia, insigne giurista, partigiano ed ex presidente nazionale della stessa ANPI, che ha paragonato l’invio di armi all’Ucraina ai lanci di armi che gli alleati facevano al movimento partigiano, durante la resistenza, senza le quali la resistenza non sarebbe stata possibile. Posizioni simili le ha manifestate anche Luciana Segre, senatrice a vita, anche lei esponente dell’ANPI.

Toti non ha detto una parola sull’assenza di oltre 40 parlamentari leghisti in Parlamento in occasione del discorso di Zelensky, non ha trovato modo di dire nulla sulle dichiarazioni allucinanti del senatore leghista Pillon, che ha salutato Putin come difensore dei valori cristiani. Non ha neppure parlato degli affari di Savoini in Russia o dei fondi russi per finanziare parti politiche in Italia. Non ha neppure parlato degli affari di Savoini in Russia o dei fondi russi per finanziare parti politiche in Italia. Per quanti sforzi faccia Toti per “sporcare” la festa della liberazione dal fascismo e per scagionare i suoi alleati di governo, i veri amici di Putin in Italia, i cittadini liguri non sono così sprovveduti e sciocchi e non si lasciano incantare dai suoi trucchetti da prestigiatore della comunicazione.

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Le carestie energetiche prossime future: uno sguardo dalla Liguria – 1

Le pressioni dell’Europa sulla Russia per la fine della guerra in Ucraina e per il negoziato di pace sarebbero molto più incisive se il nostro continente non dipendesse così pesantemente dal punto di vista energetico dalla Russia. La verità è che se trent’anni fa avessimo preso coscienza della crisi climatica e avessimo sviluppato l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, oggi avremmo la sovranità energetica. Ma ora non possiamo continuare nell’ipocrisia: lamentarci per la dipendenza dalla Russia e non fare nulla per ridurre gli oltre 70 miliardi di metri cubi di gas che consumiamo ogni anno. Il governo italiano ha deciso di utilizzare sette centrali a carbone o a olio combustibile. La centrale di Spezia non è compresa, perché attualmente spenta e non autorizzata. Ma si tratta di una scelta irrilevante: se pure ripartissero 1.000 MW di potenza installata potremmo risparmiare poco più di un miliardo di metri cubi di gas.

Anche la scelta delle esplorazioni e delle coltivazioni del gas sul territorio nazionale, con l’obiettivo di raddoppiare la produzione da gas da circa 3,5 a 6-7 miliardi di metri cubi l’anno è sostanzialmente ininfluente. La produzione nazionale di gas, anche nella ipotesi di studio di poterla realizzare completamente subito, sarebbe in grado di far funzionare appena un terzo delle centrali termoelettriche esistenti caratterizzate da una potenza complessiva pari a 120 GW, e questo con costi non trascurabili. E avverrebbe solo per meno di dieci anni, alla fine dei quali la risorsa sarebbe esaurita. In entrambi i casi si danneggia l’ambiente e si resta nell’ambito delle piccole quantità: quasi nulla al confronto del contributo, rispettoso degli obiettivi climatici e di lotta all’inquinamento atmosferico, che garantirebbero l’efficienza energetica, lo sviluppo delle fonti rinnovabili, del sistema di pompaggi e accumuli e della rete di trasmissione e distribuzione (il punto debole delle rinnovabili è la loro discontinuità, per questo sono indispensabili sistemi di accumulo a batterie).

Dobbiamo quindi cambiare scenario, perché possediamo tecnologie che possono portarci nel giro di dieci anni fuori da questa situazione: diminuzione dei consumi di gas delle imprese e di quelli civili e sviluppo delle rinnovabili, solare fotovoltaico in primis.

Su quest’ultimo punto va recuperato il tempo perduto dal 2014 ad oggi. La decisione politica presa dai governi Monti, Letta e Renzi -un sostanziale stop alle rinnovabili- fu davvero assai poco lungimirante. Se a ciò uniamo frammentazione decisionale e burocrazia, capiamo il patatrac. Occorre quindi svoltare e scegliere.

L’area della centrale Enel in dismissione a Spezia potrebbe assumere un ruolo chiave. Vi si potrebbe sviluppare una catena produttiva per liberarci dal gas che creerebbe molti posti di lavoro. La Liguria dovrebbe diventare come la California, dove lo Stato ha annunciato che investirà solo in sistemi di accumulo delle rinnovabili e chiuderà le centrali a turbogas.

Due recenti interviste di Giovanni Toti e di Claudio Burlando ci fanno capire quanto questa strada sia impervia: l’unico pensiero di entrambi è sostituire il gas russo con altro gas. Sempre e soltanto combustibili fossili. Ma avranno letto, i nostri due, l’ultimo rapporto dell’IPCC sugli effetti devastanti del riscaldamento climatico nella regione mediterranea? Certamente no. Ne scriveremo nel prossimo numero.

INCHIESTA

Nello scorso numero de la Voce dCP avevamo pubblicato le seguenti domande agli amici di Legambiente:

  1. Recentemente il circolo “Nuova Ecologia” di Genova, fondato da Andrea Agostini, è stato escluso da Legambiente su decisione della direzione regionale della stessa.

La decisione è stata attribuita alla mancanza di comunicazione e di rapporti tra il circolo stesso e la direzione di Legambiente, a prescindere da un giudizio di merito sulla validità o meno delle manifestazioni in sé. Qual è il vostro pensiero su questa vicenda?

  • La piena acquisizione dell’autonomia politica è stata una grande conquista delle associazioni. Legambiente si è sempre battuta su temi di vitale importanza per l’ambiente e per la salute dei cittadini. In una fase nella quale la politica scade sempre più in comportamenti mercantilisti esiste, a vostro modo di vedere, il rischio che una spregiudicata destra al governo degli enti pubblici locali possa tentare di ottenere l’acquiescenza di grandi organizzazioni di massa con le armi del ricatto economico?
  • La trasparenza dei bilanci sia delle amministrazioni pubbliche sia delle associazioni che partecipano a bandi pubblici, ottenendo finanziamenti rivolti a iniziative di interesse collettivo, deve essere un principio inderogabile per ogni associazione, in particolare per un’associazione come Legambiente che, giustamente, fa della trasparenza dei bilanci una delle sue battaglie caratterizzanti. Cosa ne pensate?

Pubblicheremo le risposte pervenute nelle prossime uscite de La Voce.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo

Hanno scritto per noi:

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Enzo Barnabà, Maddalena Bartolini, Giorgio Beretta, Marco Bersani, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Battistina Dellepiane, Egildo Derchi, Marco De Silva, Monica Faridone, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Santo Grammatico, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Maurizio Michelini, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Stefano Sarti, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi.

POSTA

Riceviamo dal Professor Alessandro Cavalli

Non sono d’accordo sul nucleare

Caro Pierfranco, grazie per la “Voce del Circolo” che leggo sempre (in buona parte) con interesse. Questa volta però non ho apprezzato il pezzo (credo di tua penna) sul tema “nucleare”. Non conosco Cingolani e non mi interessa, ma il problema della fusione nucleare non si può affrontare con leggerezza. È vero che il costo delle rinnovabili è destinato probabilmente a ridursi, ma la combinazione eolico-fotovoltaico sembra insufficiente a coprire l’abbandono delle fonti fossili e quindi in un’ottica di medio-lungo periodo, appunto 30 anni, la fusione è comunque una pista da non abbandonare. Perché non collaborare con la Francia in un progetto europeo?Un caro saluto. Alessandro

Caro Alessandro, è probabile che la Commissione europea sulla Tassonomia Verde arrivi a considerare sostenibile l’energia prodotta dal gas e dalle centrali nucleari, nonostante gli esperti dell’Ue abbiano pubblicamente definito la bozza “una legge truffa”. Smentita perfino dalla tempistica: i 35 anni necessari per andare a regime con le (ipotetiche) centrali di 4a generazione (20 per la ricerca e 15 per implementare il primo progetto) scavallano di gran lunga la data di non ritorno del disastro climatico. Certamente nella transizione si dovrà fare ricorso alle centrali esistenti (compresa quella di La Spezia), ma non a scapito della priorità di investimenti nelle rinnovabili. Del resto sono Sabel e Piore, nel loro celebre “Industrial Divide”, a insegnarci che la scelta di una filiera tecnologica va a detrimento di tutte le altre. PFP

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Riceviamo da Marco Bersani – Società della Cura

Appello ai Comuni (e alle istituzioni decentrate all’interno dei Comuni)

Il Comune è l’ente locale che rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo e la coesione sociale. Per le sue caratteristiche di centro abitativo nel quale si svolge la vita pubblica dei suoi abitanti, viene definito come il luogo della democrazia di prossimità.

Negli ultimi tre decenni, questo ruolo dei Comuni è stato messo pesantemente in discussione; è infatti su di essi che sono state scaricate la gran parte delle misure di austerità previste dai vincoli finanziari messi in campo dall’Unione Europea: dal patto di stabilità al pareggio di bilancio, dai tagli dei trasferimenti alle cosiddette “spending review”. In seguito a queste misure, i Comuni si sono progressivamente trovati con sempre meno risorse per svolgere la propria funzione: il personale è stato pesantemente ridotto, gli investimenti sono stati praticamente azzerati, i servizi erogati sono stati drasticamente tagliati e in gran parte esternalizzati e/o privatizzati. Tutto questo ha portato a un enorme aumento delle persone in situazione di povertà e di vulnerabilità, compromettendo in maniera significativa la coesione sociale all’interno delle comunità locali di riferimento.

Come se tutto questo non fosse sufficiente per rivedere le politiche sin qui portate avanti e come se pandemia, crisi climatica e crisi sociale non avessero chiarito a sufficienza la necessità di ripartire proprio dai Comuni per ripensare un altro modello sociale, il governo Draghi si appresta, con due gravissimi provvedimenti normativi, a dare il colpo di grazia alla storica funzione pubblica e sociale dei Comuni.

Il primo di questi provvedimenti è il disegno di legge sull’Autonomia Regionale Differenziata, che, nel prospettare il trasferimento di potestà legislativa esclusiva dal livello statuale a quello regionale su un numero impressionante di materie fondamentali per la vita delle persone –istruzione, sanità, ambiente, sicurezza sul lavoro, beni culturali, ricerca, infrastrutture etc.-, avrà l’effetto di amplificare a dismisura la diseguaglianza fra i territori, smembrare la scuola della Repubblica, aprire la porta all’eliminazione dei contratti nazionali, disarticolare settori fondamentali che necessitano di politiche nazionali (ambiente, infrastrutture) e infine portare a termine il processo di privatizzazione/liquidazione della sanità pubblica, aprendo la strada a pericolose derive di concorrenza e scontro tra le zone del Paese. A farne le spese sarebbero anche i Comuni, sottomessi ad un nuovo centralismo regionale, definitivamente schiacciati tra i pochi provvedimenti che resterebbero allo Stato e quelli crescenti assegnati alle Regioni.

Il secondo di questi provvedimenti è il disegno di legge sulla Concorrenza e il Mercato, che, nel predisporre l’obbligo sostanziale alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico, dalla sanità ai servizi sociali e culturali, avrà l’effetto di amplificare a dismisura la diseguaglianza fra le persone all’interno del medesimo territorio, con aumenti delle tariffe e  peggioramento della qualità dei servizi che pregiudicheranno l’accesso alle fasce povere e vulnerabili.

Entrambi questi provvedimenti minano la storica funzione pubblica e sociale dei Comuni: il primo recidendo la solidarietà territoriale e mettendoli in competizione fra loro, il secondo stravolgendone direttamente il ruolo e trasformandoli in enti il cui compito è la messa sul mercato di beni comuni e diritti.

Di fronte a questo quadro, lanciamo un appello alle Sindache e ai Sindaci, alle amministratrici e agli amministratori locali: aldilà delle diverse sensibilità politico-amministrative,è giunto il momento di prendere una netta posizione contraria all’approvazione di questi provvedimenti,il cui combinato disposto minerebbe alle basi l’esistenza stessa dei Comuni, per come sin qui li abbiamo conosciuti.

Ed è necessario che di queste prese di posizione sia investital’Anci –Associazione Nazionale Comuni Italiani- chiedendo che si faccia portavoce di tutte queste istanze territoriali.

Senza un’azione decisa e coordinata per fermare questi provvedimenti, la democrazia di prossimità, già oggi molto compromessa, rischia di divenire una formula vuota e priva di significato.

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FATTI DI LIGURIA

Rigassificatore a Portovenere. Che fa Regione Liguria?

La difficoltà di approvvigionamento di metano dalla Russia e la necessità di diminuire la dipendenza italiana e non solo dalle forniture russe, che arrivano in Italia tramite metanodotto, hanno costretto a cercare fornitori alternativi.

In Italia abbiamo tre impianti di rigassificazione, per la riportare il Gas Naturale Liquefatto allo stato gassoso. Di questi impianti due sono in mare, e uno solo è a terra. Si tratta del rigassificatore di Panigaglia, frazione del comune di Portovenere, a poca distanza dalla famosa punta di San Pietro, patrimonio universale dell’Unesco, e dal delizioso paese di Portovenere, nel Golfo dei poeti.

La località era stata scelta negli anni ’60 dalla ESSO, proprietaria di impianti in Libia, che aveva ceduto il progetto alla Snam del gruppo ENI. L’impianto è operativo dal 1970. Si tratta quindi di un impianto vecchio, che ha superato il mezzo secolo di attività, quando non esistevano le normative attuali sulla sicurezza, l’inquinamento e la stessa collocazione dell’impianto, che non dimentichiamolo è al centro di un’area fittamente popolata e ad altissima frequentazione turistica.

In passato, i comuni che affacciano sul Golfo dei Poeti, Portovenere, La Spezia e Lerici si erano opposti a qualsiasi ipotesi di ampliamento delle capacità produttive del sito.

L’impianto è definito, ai sensi della normativa Seveso “a rischio di incidente rilevante”. I piani territoriali di coordinamento paesistico della Regione Liguria prevedono interventi che non comportino aumento di attività. Ora, grazie al decreto Cingolani, stanno per arrivare al terminal di Panigaglia 90 navi l’anno, contro le 12 attuali. Il tutto in un Golfo ristretto, che se da un lato offre un ridosso totale alle navi, dall’altro prevede una sommatoria di attività in spazi ristretti, che potrebbero rivelarsi pericolose, tra la presenza di navi militari, porto commerciale, terminal container, nuovo terminal crociere con un forte incremento dell’arrivo di queste navi mastodontiche, attività diportistiche, la cosa si fa preoccupante.

Il prof. Centi, consigliere regionale del gruppo Sansa ha presentato un’interrogazione urgente sulla mancanza di un piano di sicurezza da parte della Regione Liguria al presidente Toti e all’assessore al ramo Giampedrone.  Risposta insoddisfacente ed evasiva. Come sempre.

NC

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FATTI DI LIGURIA

Ultime su Cingolani

Per Cingolani il nucleare è il futuro, quello di quarta generazione, cioè piccoli reattori a fissione. Ma riconosce lui stesso: “sono in fase di studio in vari paesi, ci vorranno ancora diversi anni. Se si dovesse studiare una tecnologia del genere, credo che sarebbe saggio, io lo farei. Poi sono assolutamente certo che la fusione nucleare sarà la soluzione di tutto”.  Quindi la soluzione non è per l’oggi, ma sarà disponibile tra anni, ma per l’emergenza climatica dobbiamo agire ora, non tra anni. In ogni caso dove troviamo il combustibile? Non in Italia. E le scorie dove le mettiamo? Problemi irrisolti. Dopodiché assolutamente d’accordo sullo studio della fusione, la ricerca va sempre fatta, ma qui gli anni da attendere sono ancora di più.

A fronte della crisi Ucraina infatti Cingolani non ha parlato di nucleare ma di 4 azioni:

 semplificazione per le autorizzazioni alle rinnovabili, soprattutto impianti fotovoltaici; aumento produzione gas nazionale; aumento stoccaggi; biocarburanti e non esclude la riapertura delle centrali a carbone e la necessità di nuovi rigassificatori

Che dire? Una buona e una mezza buona. La buona è la semplificazione per l’installazione di impianti fotovoltaici, personalmente sarei per l’obbligo di installazione con opportuni forti incentivi, al di fuori dei centri storici, di zone vincolate, ecc. dove valutare caso per caso.  Sul biocarburante bisogna capire: se ricavato dalla frazione umida dei rifiuti o da scarti alimentari bene, ma se come è successo ad esempio in Brasile dove i campi coltivati sono stati dedicati alla produzione di biocarburanti anziché all’alimentazione umana, no grazie. Per quanto riguarda l’aumento della produzione nazionale considerando le nostre scarse riserve stimate ha senso deturpare il nostro mare perdendo in utili dal turismo? E ancora il gas liquefatto oltre allo spreco energetico, costa molto di più di quello da gasdotti, allora perché puntare ai rigassificatori?

Alla crisi energetica che si profila con la guerra in Ucraina bisogna rispondere accelerando il green deal europeo, quindi più fotovoltaico e eolico off-shore, che tra l’altro sarebbe un ottimo affare per la cantieristica ligure. Finanziamo la ricerca, ma soprattutto nei sistemi di accumulo energia come batterie e supercondensatori, per evitare l’utilizzo di materie rare d’importazione. Si all’idrogeno verde da elettrolizzatore, oggi più caro del gas, ma che diventerà competitivo sia per la riduzione dei costi degli elettrolizzatori nel caso di un loro impiego diffuso, sia per l’aumento del prezzo del gas. E da domani costringiamo l’Enel ha praticare i pompaggi per accumulare acqua nei bacini montani nei momenti di surplus di produzione di energia elettrica. In Italia nel 2002 venivano generati circa 8 Twh di energia idroelettrica da pompaggi, nel 2020 si è scesi a 1,8 Twh. Ricordo che nel 2019 il 40% dell’energia elettrica è da fonti rinnovabili, mentre solo il 20% dell’energia per riscaldamento è da fonte rinnovabile.

Mauro Solari

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FATTI DI LIGURIA

Abboffate turistiche a spese dei contribuenti. Ma Toti le chiama marketing d’impresa

Quando la finiranno Toti & C. di godersela con i nostri soldi? Lo scorso mese ha speso 140 mila euro

dei contribuenti per portare la sua banda, per tre soli giorni, in Dubai. Come riporta Il Fatto Quotidiano (non smentito) sono andati 7 membri del suo staff, tra donne e uomini, altri sei di Liguria Int.l-Filse e una bella manciata di giornalisti, spesati in toto da lui, in vacanza a nostre spese. Poi uno si chiede da dove derivi il rapporto di servilismo tra i nostri media locali/giornalisti e il loro ex collega Giovanni Toti che si fa bello con i soldi nostri. Tra l’altro in molti non hanno nemmeno fatto cenno alla visita dubaiana del loro satrapo, forse troppo impegnati a fare la sauna negli alberghi di lusso. I dati (sempre a cura del Fatto Quotidiano (non smentito): 15.000 euro a Primo Canale, 4.000 a Telenord e a Genova24. E 30.000 euro alla Manzoni, la concessionaria della pubblicità del gruppo Gedi, ovvero La Stampa, Repubblica e Secolo XIX. E poi si parla di libertà di stampa…Poveracci, imbavagliati dai soldi. Come stampa libera, incazzata, senza padroni o legami, siamo davvero rimasti in pochi. Tanto per sapere, il solo biglietto aereo di Toti è costato 4.582 euro: capisco che per le dimensioni non poteva usare l’economy, ma se prenoto io con 600 euro faccio A/R con vista dal finestrino. Ma non è finita, perché, oltre a quella spaventosamente cara porcata inutile della pubblicità della Liguria con l’ex di George Clooney, sono stati stanziati altri 53.000 euro (sempre tirati fuori dalle nostre tasche) per pubblicizzare l’evento. Ma non nell’emirato, dove avrebbe un se pure assurdo senso, ma in Liguria, dove non è altro che campagna elettorale. Possibile che la Corte dei Conti non intervenga? Che un Prefetto non subodori del marcio e che non riferisca? Mah. Dimenticavo che cosa è andato a fare tutta la banda a Dubai. Semplicemente a vendere yacht di società private. Ma perché allora questa non hanno pagato il viaggio, se era a vantaggio loro? La risposta se la può dare anche un bambino. D’altra parte è costume italico da parte dei politici occuparsi di business: docet l’ex esponente della sinistra Massimo D’Alema con la faccenda degli aerei colombiani. Un polverone sollevato da Striscia la Notizia: possibile che dobbiamo scoprire certe cose da quella trasmissione e non dalle autorità? Mi faccio troppe domande di cui, come idiota, so già la risposta. Comunque Toti mi fa venire in simpatia perfino Renzi: lui almeno i soldi se li fa dare. È vero, proclamando che l’Arabia Saudita è il Nuovo Rinascimento. La notte gli tireranno i piedi Pico della Mirandola, Lorenzo de’ Medici, Nicolò Machiavelli, Francesco Guicciardini e Pietro Vasari. A Toti dovrebbero tirarglieli gli abitanti di Sampierdarena, visto che con il sodale Signorini – anche lui andato in vacanza con i soldi (nostri) dell’Autorità Portuale – continuano a voler mettere in quella zona popolare e popolata la bomba dei depositi chimici, nonostante l’esistenza di diverse soluzioni meno costose e più sicure.

CAM

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FATTI DI LIGURIA

Per un liceo in Val Polcevera

L’associazione ‘Genova che osa’ ha osato proporre – nel novembre dello scorso anno – un piano per la realizzazione di un liceo in Val Polcevera. Il piano torna a proporsi, nell’imminenza delle elezioni amministrative, ma non sembra ricevere particolare attenzione da parte delle forze politiche in competizione.

Eppure, riteniamo che la proposta di ‘Genova che osa’ presenti aspetti innovativi e addirittura rivoluzionari, che vanno bel al di là della dimensione propriamente ‘scolastica’, per toccare una condizione di abbandono e degrado, solo aggravata dal crollo del ponte Morandi. Ricostruito il viadotto, la politica è passata a riscuotere, tornando a quanto pare a disinteressarsi di una valle che include circa 80.000 abitanti. Sul piano dell’istruzione, tuttavia, è già significativo che in Val Polcevera non esista nessun liceo, mentre ne esistono almeno quattro, per tutte le esigenze, nell’area compresa tra Castelletto e la Foce.

La valle sconta in realtà due secoli abbondanti di disinteresse culturale, sociale, ambientale da parte delle amministrazioni succedutesi al governo del territorio genovese.

La tesi di laurea di un giovane genovese, Aldo Coppa, redatta nell’anno accademico 2003-2004 sotto la guida del professor Marco Doria, si intitola, molto opportunamente ‘La Val Polcevera industriale: sviluppo e declino (1880-1980)’. La tesi di Coppa – implicita nel titolo – è che la valle sia stata sfruttata senza limiti nell’età d’oro dello sviluppo industriale di Genova e del suo porto, senza che a questo sfruttamento si accompagnasse una precisa attività mirata al miglioramento-adeguamento delle condizioni socio-culturale delle popolazioni. Inerzia pubblica cui ha fatto seguito il pressoché completo abbandono nella fase del declino industriale della città. Come per la Val di Susa, anche quello della Val Polcevera è stato un territorio ideale per la collocazione di attività industriali poco compatibili con l’ambiente (le ferriere, la meccanica, il tessile, la chimica, il petrolio), nonché quale snodo fondamentale per i collegamenti stradali e ferroviari col Nord Italia e con l’Europa. Risultato di questo fenomeno, completamente squilibrato rispetto alle esigenze della popolazione, è stata la mancata integrazione tra insediamenti industriali e tessuto urbano. Non solo, la gente della valle è stata progressivamente privata di facili e rapidi collegamenti con la città di Genova, da cui è rimasta sempre più isolata, in una condizione che il crollo del ponte ha solo reso più drammatica ed evidente. La stessa possibilità per i giovani, figli di operai, contadini, piccoli artigiani o commercianti di accedere a un’educazione ‘superiore’ è stata resa difficile da questa condizione di sostanziale isolamento. La sola opportunità era rappresentata – sino a qualche decennio fa – dalle scuole professionali o ‘di avviamento ‘.

La creazione di un liceo (tecnico-scientifico, classico o linguistico) costituirebbe dunque una svolta importante in questo processo di ineluttabile degrado, un risarcimento – anche – per lo stato di abbandono in cui è stata lasciata la Val Polcevera: un contributo, infine, per il rifiorire di una vita sociale e culturale che aspetta solo di essere incoraggiata.

A costo – magari –  di un ragionevole sacrificio degli stanziamenti di bilancio dedicati alla sicurezza e al mantenimento di condizioni di vita civile e urbana ormai intollerabilmente diseguali nella nostra città.

MM

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FATTI DI LIGURIA

Spese pazze o marchette?

Quindici giorni fa avevamo accennato al viaggio di Toti & company a Dubai, una missione volta a pubblicizzare la cantieristica navale vacanziera, yacht e affini, per intenderci. Ci siamo chiesti per quale motivo noi cittadini dovremmo pagare per un’attività economica a vantaggio di aziende private. E questo è il primo mistero, a proposito del contenuto della missione stessa. Il secondo mistero riguarda il fatto che dietro a Toti si è mosso un mezzo esercito, sempre a spese nostre. Ma oltre alle otto persone di staff il terzo mistero riguarda la presenza di imbucati (si fa per dire) a spese nostre, come il sindaco di La Spezia Matteo Cozzani (quello che vende il “paradiso” di Porto venere ai privati per un pugno di mosche). Il quarto mistero, anche questo doloroso per i contribuenti) riguarda le spese generali: oltre 148.000 mila euro a cui vanno aggiunti, altri 50.000 euro circa per spese pubblicitarie a favore di Manzoni & C. (gruppo Gedi, ovvero Agnelli), Primocanale, Telenord e via dicendo. Ora, si può al limite capire di pubblicizzare le aziende private all’estero, ma pubblicizzarle da noi, che senso ha? Il quinto mistero, vicino al quarto, è la presenza di giornalisti sempre a spese de noantri, a parte uno del Secolo XIX. Il buon Ferruccio Sansa, che ha sicuramente una voce superiore alla nostra e mezzi adeguati, ha pubblicizzato il tutto e questo, guarda caso, è il sesto mistero, ma stavolta davvero gaudioso: la Corte dei Conti ha deciso di indagare tutto questo pateracchio che profuma di marchette elettorali e captatio benevolentiae (eufemismo) nei confronti della stampa. Alla buon’ora. Quello che tuttavia non comprendo è il genere di attacco da parte dell’ufficio stampa della regione nei confronti di chi ha denunciato, con verve e ironia, nel gioco delle parti tra potere e opposizione, che altrimenti non ha senso di esistere. Infatti non è stato contestato quanto detto con tanto di spese per ciascuno, ma perché la denuncia aveva un “piglio evidentemente discriminatorio e misogino”. Se l’ufficio stampa fosse stato composto da uomini avrebbero scritto di misandrico (è la misoginia nei confronti dell’uomo, come maschio, anèr-andròs in greco)? Insomma noi avevamo detto che ci poteva essere del marcio in Danimarca, ma francamente a un giornalista che porta fatti, è corretto rispondere che manca di “deontologia professionale”? È vero, Sansa ha parlato di “allegra brigata”, e forse è questo che ha fatto infuriare le giornaliste. Ma, ripeto, evviva l’ironia e pure il sarcasmo che si basa su fatti, come fa spesso il nostro Crozza nazionale. Sui fatti avvenga la contestazione non sulle modalità che non mi sembrano, leggendo i comunicati, abbiano offeso la dignità di nessuno, donna o uomo. Gli unici veri offesi siamo noi cittadini per queste spese pazze.

CAM

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FATTI DI LIGURIA

Grimaldi a Ventimiglia: ennesima cementificazione da oltre 30mila metri cubi

Il 29 marzo il Consiglio regionale ha dato il via libera alle varianti al PTCP Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico e al PUC Piano Urbanistico Comunale del progetto promosso dal Principato di Monaco, proprietario di un’area molto panoramica a Grimaldi, frazione di Ventimiglia, stretta tra il confine di Ponte San Luigi, i Balzi Rossi, La Mortola, i Giardini Hanbury.

Prima a livello locale con le Associazioni ambientaliste e forze politiche locali come Alternativa Intemelia, poi a livello regionale con parte dell’opposizione, si è fatta sentire la voce dei tanti cittadini contrari all’operazione, assai invasiva: sono oltre 30 mila cubi di appartamenti (oltre 100 appartamenti), una strada di accesso molto impattante, parco privato, garage, parcheggio per pullman, un volume destinato a scuola (non meglio identificato).

La Voce del Circolo Pertini aveva già sollevato la questione a settembre scorso parlando chiaramente di speculazione: si va incontro allo snaturamento di un contesto di grande valore paesaggistico, culturale, archeologico, naturalistico, marino. Uno dei più bei scorci di Liguria, purtroppo interessato ancora negli ultimi tempi da incendi misteriosi.

E aggiungiamo anche la già consistente presenza di seconde case nel nostro Ponente come l’eccessivo consumo di suolo in tutta la Liguria!

“L’Assemblea regionale ha dato il via libera all’ennesima cementificazione della costa ligure, dando il ‘nulla osta’ all’operazione del Principato di Monaco all’ex Cava Grimaldi di Ventimiglia”. Così il consigliere regionale Ferruccio Sansa, capogruppo dell’omonima lista, al momento dell’approvazione a maggioranza del Consiglio.

In questo momento storico, sconvolto da crisi sanitarie e climatiche è ben chiaro a (quasi) tutti quanto il nostro territorio così fragile e vulnerabile vada protetto e difeso con una azione imprescindibile di cura e risanamento, occasione unica con gli investimenti del PNRR: creare sviluppo, lavoro e ricerca proprio dalla tutela del nostro territorio e delle nostre bellezze.

 Nel Ponente come nel resto della nostra regione.

Non ci resta altro che ribadire e rilanciare la valutazione ed il monito già espressi.

Sta prevalendo una visione di sviluppo turistico predatorio, senza un serio ragionamento d’insieme sulla prioritaria esigenza di protezione, tutela e conservazione dell’ambiente, unica vera risorsa ed eccellenza di questo prezioso lembo di Riviera ligure!

DC

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FATTI DI LIGURIA

Una donna sindaco per La Spezia. Ma quanta fatica!

Quando ormai si stavano spegnendo le ultime speranze che l’opposizione di centrosinistra allargata ai 5 Stelle riuscisse a trovare una candidatura unitaria, autorevole e innovativa, è emersa la candidatura di Piera Sommovigo, avvocatessa con studio a Genova e alla Spezia, indipendente, molto conosciuta nel movimento ambientalista per le sue battaglie. Citiamo le ultime, per ora vinte, su cui la nostra newsletter si è già soffermata: quella contro la cementificazione nell’uliveto storico di Salita Canata a Lerici e quella contro l’impianto di biodigestione dei rifiuti a Saliceti (Santo Stefano Magra), proprio sopra le falde acquifere che riforniscono l’intera provincia, in un sito non previsto dal piano regionale dei rifiuti. Se eletta, sarebbe la prima Sindaca nella storia della città: una novità rilevantissima.Le trattative tra le parti non sono state facili. Sono stati fatti molti nomi di possibili candidati, che, sistematicamente, uno dopo l’altro venivano “bruciati”. Qualcuno insinuava persino il sospetto che il PD spezzino fosse eterodiretto dall’esterno, da chi dettava condizioni e calendario degli incontri. La vicenda, in ogni caso, è stata gestita interamente da forze politiche frantumate e “cetizzate”, ridotte cioè a ceto politico autoreferenziale, senza alcuna riflessione progettuale sulla città del futuro e senza alcun rapporto con la società civile.Alla fine la candidatura di Piera Sommovigo ha ottenuto l’adesione di PD, Art. 1, Sinistra Italiana, Linea Condivisa, Le Ali-lista Sansa, M5S, Rifondazione Comunista e Verdi.Se si considera che il candidato del centrodestra unito e compatto, nel 2017, era arrivato al primo turno al 33,95%, mentre i candidati riferibili al centrosinistra, più quelli del M5S, divisi in ben 6 coalizioni, avevano sommati insieme un ipotetico 57,63%, si può pensare a una partita aperta.A questo si devono aggiungere una serie di malumori nel centrodestra, che è stato più volte sul punto di spaccarsi e ha ritrovato l’unità solo in extremis, a prezzo di imporre una serie di condizioni abbastanza umilianti al sindaco uscente Peracchini, uomo di Toti, che però non potrà usare in campagna elettorale né il nome di Toti, né il simbolo di Cambiamo. Peracchini si è dimostrato un sindaco timoroso, portato a grandi proclami, regolarmente non realizzati e subalterno a Toti, tanto da non aver mai speso una voce in difesa della sanità spezzina, fortemente discriminata dalla Regione, totalmente sotto organico e con strutture che cadono a pezzi, oppure aver perso tempo, a seguire Toti, nella delicata vicenda ENEL. Nella città si percepisce una sfiducia latente nei suoi confronti.Al momento sono fuori della coalizione una serie di forze che si autodefiniscono “area riformista”, anche se questo nobile aggettivo è usato in maniera distorta come sinonimo di moderato o centrista.  Si tratta di Italia Viva, capitanata localmente dalla fedelissima renziana Raffaella Paita, di Più Europa, del PSI, di “Avanti Insieme”, formazione creata, a suo tempo, dall’ex senatore PD Forcieri, già presidente dell’Autorità portuale spezzina.Piera Sommovigo ha dichiarato di non aver preclusioni e sta tenendo incontri con gli esponenti di questa area. La loro presenza rischierebbe di inficiare l’elemento di novità e di freschezza rappresentato dalla candidata in campo: un’autorevole personalità, fuori dai vecchi giochi di partito, scevra delle politiche di vicinanza alle lobbies, delle pratiche clientelari e dei personalismi, che hanno intaccato anche l’area del centrosinistra locale. In ogni caso queste trattative ulteriori appaiono una sorta di bolla politica distante dalle persone come dalle reali questioni in campo. Meglio chiuderle al più presto, con scelte innovativa e nette.Deve cominciare un nuovo corso: la coalizione elettorale come momento di partecipazione collettiva, come possibilità di ritrovare rappresentanza sociale e territoriale, come occasione per far tornare a tante persone la voglia di votare.

GP

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FATTI DI LIGURIA

Così disse il vecchio partigiano della brigata Coduri

Fu per prima mia madre a parlarmi di cosa era stata la guerra partigiana in Liguria. Sposata a mio padre nel 1946, ricordava come il giovane marito si svegliasse nel mezzo della notte madido di sudore ancora per l’incubo del febbraio 1943, quando ci fu l’ultimo tentativo tedesco di stroncare la Resistenza asserragliata alle falde dell’Antola scatenando l’assalto finale e sguinzagliando, oltre ai cani lupo addestrati al combattimento, quelli che i nostri chiamavano “i mongoli”; in effetti efferati mercenari reclutati tra le etnie del mar Nero e del Caspio, forse ceceni come i contractors di Putin in Ucraina. Così seppi della terribile ritirata in mezzo alla neve fino a Bobbio, sempre con il timore di finire nelle mani dei massacratori che li inseguivano. Era la divisione partigiana Coduri, la cui “Squadra Matta” era comandata da due ragazzi terribili: Scoglio e Riccio. E Scoglio era mio zio. Un combattente, altro che pacifista. Sono sicuro che si sta rivoltando nella tomba se gli giunge la notizia dei partigiani (dunque, uomini che parteggiano) ridotti a immaginette dall’odierna narrazione alla Tomaso Montanari intenzionata a disarmare dell’aura di liberatori quanti, con le armi in pugno, a primavera scesero dalla montagna e cacciarono i nazi-fascisti dai borghi e dalle città del nostro Ponente. Quegli ex partigiani che, quando accompagnavo mio zio a incontrare i suoi vecchi commilitoni a Cavi di Lavagna, li sentivo ripetere frasi di cui allora non riuscivo a cogliere il senso: “ci hanno disarmato una volta, non ci riusciranno la prossima”. Ossia, la guerra di liberazione nazionale, a cui sarebbe dovuta seguire l’insurrezione sociale. Quel Vento del Nord che venne spento dal tatticismo della politica romana.

Ora queste generose e battagliere teste calde, i cui fratelli maggiori erano andati a combattere in Spagna con i repubblicani contro la reazione franchista nelle brigate Giustizia e Libertà, dovrebbero diventare i santini di una pretestuosa campagna che mescola papismo e pacifismo. Nell’ambiguo pensiero desiderante di una pace a prescindere in Ucraina che mette sullo stesso piano invasi e invasori senza tener conto che il tiranno assassino Putin (il nome Politkovskaja dice qualcosa?) si rifiuta di trattare e che l’unico modo per fermarlo è dimostrargli sul campo che la sua aggressione è perdente. Ma chi aveva sostenuto che i fatti d’Ungheria erano “opera di agenti capitalistici”, che “Praga libera è Praga rossa”, non vuol sentirselo dire. Non vuol intendere che il pacifismo a prescindere è un’invenzione della dottrina ecclesiastica per disarmare i riottosi e sottometterli al potere, almeno dal patto stipulato tra spada e altare che risale al concilio di Nicea. Tesi riprese durante la Guerra Fredda dal Cominform e satelliti nella propaganda dell’URSS che armava di bombe i suoi arsenali quanto gli americani.

PFP

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FATTI DI LIGURIA

Palazzo Ducale, da Luca a Luca

Palazzo Ducale, il più importante contenitore culturale ligure, a partire dal 2007 e per dieci anni era stato presieduto da Luca Borzani, noto esponente genovese della tradizione laica e progressista; in corrispondenza con i cicli amministrativi di due sindaci di centro-sinistra (Marta Vincenzi e Marco Doria). Ma nel fatidico 2017 la Destra conquistava Tursi con il mayor Marco Bucci, due anni dopo l’insediamento alla presidenza della Regione di Giovanni Toti, della stessa “parrocchia”. Il cambio di maggioranza scatenò l’immediata applicazione dello spoils system a tutte le ramificazioni del potere comunale da parte delle nuove entrate. Spartizione del bottino che ovviamente riguardò anche l’istituzione culturale; scatenando gli appetiti imperiali della zarina ligure – l’assessore regionale alla cultura Ilaria Cavo – con l’ovvia preminenza data all’appropriazione della sede di piazza De Ferrari. Così Borzani venne liquidato con molti ringraziamenti e al suo posto fu insediato un altro Luca, il cabarettista Bizzarri. Sostituzione motivata dalla Cavo affermando che in questo modo il Ducale sarebbe diventato “più glamour”. Cosa ciò significasse ancora non è stato possibile capire. Probabilmente, stante il curriculum professionale della Cavo, “americanismo alla brianzola” nella vulgata Mediaset o look “culi&tette” versione Fininvest. C’è da dire che il Ducale nel decennio Borzani aveva acquisito un’identità forte, ispirata da una filosofia che potremmo definire “di sinistra istituzionale” (i valori della Costituzione repubblicana, il lascito della Resistenza antifascista) ma declinati all’insegna del pluralismo. Sicché, magari nonostante qualche mostra d’arte in outsourcing un po’ farlocca, si era venuto costituendo uno zoccolo duro di aficionados che assicurava adeguate presenze di pubblico a ogni iniziativa. La condivisione civica senza la quale un’istituzione culturale si riduce a un museo delle cere privo di effetti vitalizzanti.

L’arrivo del nuovo presidente non ha comportato le annunciate innovazioni ma si è limitato a una politica di manutenzione del lascito borzaniano – a partire da iniziative originali come “La Storia in piazza” – grazie all’impegno dei quadri interni sopravvissuti al repulisti del vertice. Il tutto anche perché il nuovo presidente è immediatamente risultato un desaparecido in altre faccende affaccendato (comparsate TV in primis) e la nuova direttrice Serena Bertolucci, che sostituiva il gentiluomo Pietro da Passano e già conservatrice di Palazzo Reale, può farsi carico della gestione amministrativa quotidiana, non certo surrogare la presidenza nella messa a punto di una politica culturale innovativa. E nonostante che la solita Ilaria Cavo la buttasse sul trionfalistico: «un grande in bocca al lupo a Serena Bertolucci scelta come nuova direttrice di Palazzo Ducale. Siamo certi che saprà svolgere al meglio il suo compito e affrontare le nuove sfide per far crescere l’offerta culturale ligure». Eppure di un rinnovamento strategico il Ducale avrebbe bisogno come il pane, tanto per superare le sfide lasciate in eredità dalla precedente gestione (gap generazionale e decentramento) quanto gli effetti devastanti del biennio pandemia. Ma tutto tace, a partire dal simpatico Bizzarri. E la Cavo è soddisfatta dell’aver fatto un deserto chiamato glamour o comincia a rendersi conto che il binomio cultura e QUESTA Destra è soltanto un ossimoro?

PFP

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FATTI DI LIGURIA

Parliamo della vecchia sede della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Genova. Non perché lo stabile rivesta particolare importanza storico architettonica ma perché rappresenta l’occasione per ribadire alcuni concetti importanti, come il tenere viva l’attenzione sui beni pubblici.L’edificio, costruito ai primi del 900, consta di 5 piani fuori terra di circa 6.000 metri quadri oltre a terrazzo e giardino carrabile con 10 posti auto; ancora di proprietà comunale, fu sede fino al 1996 dalla Facoltà di Economia e Commercio della Università di Genova, che in quell’anno traslocò in Darsena presso il Museo del Mare Galata.Prima di proseguire occorre evidenziare il motivo per cui una proprietà pubblica resta per molti anni inutilizzata e soprattutto “invenduta”. La causa è l’insana abitudine “cosmetica” degli enti pubblici, per cui iscrivono le proprietà immobiliari in bilancio a valori assolutamente fuori mercato. Sicché le vendite diventano impossibili perché l’ente che vendesse a prezzi realistici aprirebbe una voragine nei propri conti. Meglio lasciare marcire le proprietà cosiddette pubbliche, cioè nostre.Infatti, dal 1996 al 2004 (ben 8 anni), iniziò il degrado dello stabile; nel 2004, anche a seguito di accordi tra Pubblico e Centri Sociali, nell’edificio si stabilì il Buridda, sul cui agire si può concordare o meno ma che, almeno, tenne viva gran parte dei metri quadri, tenne chiuse le finestre per non fare piovere dentro, rappresentò una aggregazione di giovani e svolse anche azioni sociali come scuola di italiano, scuola di fotografia, scuola di arti grafiche dedicate agli immigrati.Nel frattempo Sviluppo Genova (entità che fa capo al Comune e che si occupa per suo conto di progettazione e project management di interventi di opere civili) sviluppò numerosi progetti, alcuni decisamente interessati, per l’utilizzo dello stabile che, per altro, presentava e presenta anche alcuni vincoli da Sovraintendenza non trascurabili e quindi influenzanti i progetti stessi che, viste appunto dette limitazioni, risultarono di scarso interesse per soggetti immobiliaristi terzi.Nel 2014 il Comune emise comunque, non senza sollevare proteste in parte giustificate, l’istanza di sgombero nei confronti del Buridda. L’azione fu giustificata dalla esigenza di fare cassa con la vendita. Per i motivi sopra esposti la vendita andò invece per le lunghe concretizzandosi solo nel maggio del 2017. E qui inizia il balletto dei numeri. A cespite pare che l’edificio fosse stato messo, anni addietro, con valore di 12 M€, c’è chi dice che la vendita sia stata conclusa a circa 3 M€, c’è chi dice a molto meno, poco più di 1 M€. In effetti hanno ragione entrambi. Infatti, il prezzo pattuito di poco più di 3 M€ venne pagato con 1 M€ cash (valuta buona) e per il resto in obbligazioni non negoziabili dell’acquirente (valuta del Monopoli). Un vero affarone. L’acquirente fu la INVITIM (Investimenti Immobiliari Italiani Sgr. S.p.A.) società del Ministero dell’Economia (quindi nostra) fondata nel 2013 per la gestione collettiva del risparmio attraverso le proprietà pubbliche (vedi sito INVITIM per maggiori informazioni).Del contratto di vendita faceva parte l’impegno per INVITIM di sviluppare un progetto per le mitiche “Residenze Universitarie”, ovvero piccoli alloggi ad affitto calmierato da affidare agli studenti universitari che avrebbero dovuto precipitarsi a Genova per prepararsi al loro radioso futuro.Purtroppo la popolazione studentesca non ebbe l’incremento sperato ed INVITIM ha fatto presto a verificare che il progetto sarebbe stato un flop, infatti il 28 novembre 2017 (solo 6 mesi dopo l’acquisto), l’edificio fu rimesso in vendita (vedi sito INVITIM) suscitando ovviamente zero manifestazioni di interesse visto i dieci anni precedenti di gare del Comune andate deserte.L’erba sul terrazzo di via Bertani 1 è alta un metro, le finestre spalancate, le persiane cadenti, il giardino una giungla, il muro di contenimento del giardino stava crollando (sarebbe interessante sapere chi ha pagato i lavori di consolidamento: INVITIM quale proprietario o il Comune per garantire la pubblica incolumità?), cancello sprangato da catene, eccetera, in una parola massimo degrado a 100 metri da piazza Corvetto e 300 da Tursi.Concludendo: ogni lettore metabolizzi le informazioni e si faccia una propria opinione al riguardo.Pensierino della sera: in molti Paesi il pubblico è proprietà di tutti, in Italia il pubblico è di nessuno. Quindi non meritevole di tutela.

Civic Journalism

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FATTI DI LIGURIA

La nostra rubrica Civic Journalism prosegue con un altro caso di bene pubblico dissipato, nella totale indifferenza del civismo e dell’interesse collettivo. Tra l’altro, l’articolo di Guarino accenna a un fatto cruciale per il sistema socio-economico ligure abbondantemente rimosso nei suoi effetti catastrofici: la svendita nel 1994 di Iritecna-Italimpianti, la prima impresa della conoscenza italiana, che avrebbe potuto costituire la base industriale per il rinnovamento strategico dell’intero sistema della Partecipazioni Industriali. Prima del suo collasso. Ci ritorneremo.

Dopo l’abbandono, il saccheggio: il caso del Palazzo ex INAIL di Genova

Qui si parla del civico numero 7 di Corso Aldo Gastaldi a Genova, il palazzo ex INAIL che per moltissimi anni fu punto di riferimento del quartiere ospitando, oltre gli uffici INAIL, anche numerosi ambulatori al servizio delle persone.La vicenda iniziò nel 2008, dopo che INAIL aveva abbandonato lo stabile. In quell’anno la Regione Liguria (Presidente Burlando dal 2005 al 2015), per evitare il commissariamento della Sanità Ligure oberata da una voragine di debiti, mise in atto la cartolarizzazione monstre di ben 394 cespiti di proprietà delle ASL; il cui valore fu fissato in 160 milioni di euro. Due i partecipanti all’asta: Malacalza Scenari Immobiliari e Fintecna Immobiliare. All’epoca Fintecna era detenuta al 100% dal Ministero dell’Economia (nel 2012 passò a Cassa Depositi e Prestiti). Da qui i dubbi (compresi alcuni ricorsi) sulla regolarità dell’appianamento debiti di un soggetto pubblico (Regione Liguria) per l’intervento di altro soggetto pubblico (il Ministero).Anche la genesi di Fintecna Immobiliare è abbastanza curiosa. A valle della fallimentare esperienza Iritecna, che avrebbe dovuto creare la cosiddetta “massa critica” fondendo nel sistema partecipato dallo Stato esperienze e know how di Italimpianti (siderurgia e meccanica) e Italstat (costruzioni civili), Fintecna venne creata a metà anni novanta dall’IRI per “assorbire e liquidare” (con la benedizione di Prodi) alcune realtà industriali (tra cui Italimpianti) assumendo in proprio commesse in sofferenza e debiti che avrebbero altrimenti reso poco appetibile l’acquisizione di dette realtà industriali. La breve esistenza di Iritecna fu talmente fallimentare da fare sospettare deliberate colpe gestionali oltre a manovre interessate di alcuni boiardi di Stato per favorire le mitiche privatizzazioni; che portarono qualche spicciolo nelle casse dello stato mentre impoverivano drammaticamente il Paese dal punto di vista industriale a vantaggio dei privati. Nelle intenzioni dei decisori di allora, il braccio Fintecna Immobiliare avrebbe dovuto “salvare” il know how immobiliare di Italstat.Tornando alla cartolarizzazione, la gara assegnò la vittoria a Fintecna Immobiliare grazie a un’offerta al rialzo di 203 Milioni di Euro; cifra che giudicata da esperti terzi (Il Sole–24 Ore) eccessiva dato il momento di mercato, lo stato dei cespiti e i vincoli gravanti su di essi.Ma per Burlando l’operazione fu un vero successo, perché di quei 203 milioni di euro ne rimasero nelle casse della Regine Liguria ben 70, appianati i debiti della Sanità. Insomma, un debito passato dalla tasca a destra alla tasca sinistra dei contribuenti, Mentre dei milioni di euro sborsati da Fintecna Immobiliare ne sono stati recuperati con le vendite solo qualche decina. Corso Gastaldi 7 fa parte delle centinaia di cespiti nella pancia di Fintecna Immobiliare lasciati lì a marcire “in attesa di ripresa di mercato e di manifestazione di interesse di parte di qualche privato”. L’edificio è abbandonato da quasi 20 anni e ormai in uno stato di abbandono per cui il costo del cui recupero non potrà che lievitare sempre di più. Infine, è curioso trovare in rete, nel sito www.Immobiliare.it, l’annuncio datato novembre 2021 della messa in vendita dell’intero edificio: 9 piani per circa 6.000 metri quadri a 3.100.000 di euro. Altrettando curioso che detto annuncio sia stato pubblicato quale venditore da Intesa San Paolo Casa (braccio immobiliare di Intesa San Paolo). A che titolo non è dato di sapere.

Roberto Guarino