Numero 03, 31 marzo 2021

PILLOLE

 Mitologie interessate e Terzo Valico

Nella Prima Repubblica travolta da Tangentopoli venne diffusa la semplificazione che i privati potessero fare meglio, in modo più onesto ed efficiente del settore pubblico. Tesi ideologica che oggi giunge nelle aule di giustizia. Come le indagini sui lavori del Terzo Valico. Per l’accusa, dietro all’Alta velocità c’è il solito campionario di altre vicende italiane: appalti truccati, mazzette, serate con escort, commistioni di alto livello tra politica e imprenditoria, costi gonfiati. Il giudice per le indagini preliminari di Genova, Filippo Pisaturo, ha rinviato a giudizio oltre trenta persone. Nella loro richiesta, i pm Paola Calleri e Francesco Cardona Albini descrivono così il sistema: “Le gare venivano aggiudicate non applicando o distorcendo le norme del codice degli appalti”.

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Le scuole in Liguria: preoccupante fotografia di Legambiente

Almeno sei scuole su dieci non hanno ancora il certificato di agibilità, la metà degli istituti dispone di giardini e impianti sportivi ma solo il 27% li usa in orari extrascolastici, mentre raggiungere la scuola a piedi o in bici resta un miraggio. La fotografia di “Ecosistema scuola — Se non riparte la scuola non riparte il Paese”, 20° rapporto di Legambiente sulla sicurezza, l’efficientamento energetico, la mobilità sostenibile e i servizi dei 285 istituti liguri, con una popolazione di 57.357 persone. I dati si riferiscono al 2019 e non tengono ancora conto dei contributi straordinari arrivati dal Governo anche per gli interventi di edilizia scolastica. Uno stimolo per capire come spendere al meglio i fondi e quanto ci sia ancora da lavorare sulla riqualificazione degli spazi nelle scuole.

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Le devastazioni proseguono. E la giunta regionale tace

La Regione Liguria ha concesso a una società privata di effettuare ricerche minerarie nel parco del Beigua, aprendo una miniera di titanio a cielo aperto. Ora arriva un altro caso: la richiesta della società australiana Alta Zinc Ltd di autorizzare ricerche minerarie di oro in dieci siti nel levante ligure; tra la Val Graveglia, la Val Petronio e la Val di Vara. Compreso il Parco Regionale dell’Aveto.

Una realtà unica, di forte attrazione turistica come la miniera di Gambatesa nel comune di Ne, trasformata in un museo minerario, unico nel suo genere. Il sito nel comune di Maissana (SP) si trova a breve distanza dal sito archeologico della Valle delle punte di freccia. Solo luogo in Europa con tracce di una cava preistorica dove si lavorava il diaspro per ricavarne punte di freccia.

 EDITORIALI

 Liguria, terra di mafie

Lo sapevate che Wikipedia ha una serie di voci ‘’Ndrangheta in…’, dedicate a ogni singola regione italiana? La criminalità organizzata non è più da tempo, nel nostro Paese, un fenomeno banalmente ‘criminale’, diffuso ma sostanzialmente isolato e ben individuabile. Le mafie si sono intrecciate alla storia stessa del Paese, adattandosi perversamente alle caratteristiche delle varie regioni; operazione che non si può dire essere riuscita alla politica nazionale.

Quanto alla Liguria, niente di più vero.

La ‘ndrangheta – ancor più della mafia – ha svolto da noi, con successo, una vera e propria funzione pionieristica nel processo di integrazione-sfruttamento  in base alle caratteristiche socio-economico-geografiche della Liguria; di quella di Ponente in particolare.

“La Liguria rappresenta una regione storicamente appetibile per le principali organizzazioni criminali di tipo mafioso in ragione di molteplici fattori, taluni di natura prettamente geografica. Terra di confine, costituisce tuttora una base logistica per la gestione di latitanti che passando per Ventimiglia trovano rifugio nelle contigue località francesi; terra di mare, offre strategici snodi portuali in cui far confluire partite illecite di droga; terra di immigrazione, dalla seconda metà degli anni ’40, diviene residenza di esponenti criminali che si mimetizzano all’interno dei flussi migratori provenienti soprattutto da Sicilia e Calabria(…); infine terra del gioco d’azzardo, col casinò di Sanremo, da decenni rappresenta una tra le principali sedi del riciclaggio di denaro di illecita provenienza” (fonte: ‘Osservatorio sulla Criminalità Organizzata, CROSS, Rapporto per la Presidenza della Commissione Parlamentare Antimafia’, 2015).

La politica, nelle sue espressioni partitiche locali e nazionali, non solo non si è mostrata capace di contrapporsi a questo fenomeno potenzialmente devastante, ma ha volenterosamente accettato di farsene complice  e vettore; a volte addirittura partecipe.

A partire proprio dalla Liguria e da un caso risalente al 1983, che anticipava  e segnalava a livello locale la gravità di un degenerare della politica in senso esplicitamente e diffusamente criminale.

Il caso Teardo precede ‘Mani Pulite’ , ma già ne indica spietatamente le caratteristiche : il ricorso alla violenza  e all’intimidazione; la scelta delle opere e dei lavori pubblici, effettuata non in base alle effettive necessità, ma in base alla redditività in termini di tangenti e potere di controllo elettorale sul territorio.

In Liguria – come in seguito in Italia – si è riusciti a volte, grazie all’azione e al sacrificio di polizia e magistratura, a smantellare specifiche strutture criminali di stampo mafioso, camorristico o ‘ndranghetoso. Ma , in Liguria come in Italia, non si è mai riusciti a incidere e portare allo scoperto l’intreccio perverso che lega la politica alla criminalità organizzata. Ora il primo ‘vero’ processo alla ‘ndrangheta si svolge a Catanzaro nel silenzio quasi assoluto dei ‘media’, così presi dalla pandemia del Covid, da trascurare l’altra pandemia, quella della criminalità organizzata.

Si arresta, si confisca, si condanna (a volte definitivamente ), si ‘taglia’, se si è coraggiosi e fortunati, un tentacolo della piovra. Ma cento altri ne sorgono , spinti dalla forza apparentemente irresistibile della corruzione, dell’intimidazione, dello scorrere apparentemente illimitato di denaro sporco, favoriti da una classe politica supina e a volte complice.

In questo senso la Liguria – in particolare la Liguria del Ponente – può a tutti gli effetti  riconoscersi come ‘terra di mafia’.

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Il Sindaco seppellisce la baia di Lerici nel calcestruzzo

Il progetto che l’Amministrazione lericina vuole portare a termine sulla rada di Lerici sarebbe dirompente per uno dei borghi più famosi al Mondo, nel Golfo dei Poeti. Un progetto impattante e irreversibile che cambierebbe completamente Lerici per come è conosciuta. “Pontili galleggianti” ha scritto il Sindaco sul suo programma elettorale (poche righe senza spiegare il vero progetto), in realtà un vero e proprio porticciolo con centinaia di metri di pontili in calcestruzzo che si intersecano tra loro e che occuperebbero metà (metà) della baia, sotto al borgo e al Castello medievale. Per 430 persone.

Sott’acqua 320 “corpi morti” del peso tra i 12 e le 14 tonnellate cad. per un totale sott’acqua di oltre 4-300 tonnellate in cemento. Parlano di “razionalizzazione” e di “riordino”, quando in realtà è tutto ordinato e in sicurezza. Certo, le barche sono tante (1.200), ma né abusive né disordinate. In teoria si tratterebbe di mero trasferimento di una parte (430) da gavitello a pontile, per “una razionalizzazione”, che non si capisce in cosa costituirebbe.

Il 70% delle barche sono sotto i sei metri, di residenti, gestite da associazioni sportive (chiamate “catenarie”), attuali concessionarie, formate da volontari, le maggiori formate in gran parte da lericini. Una vera “nautica sociale” che non vuol dire che i titolari siano poveri pensionati che non possono permettersi di più -anche quello e sono tanti- ma vuol dire identità culturale di liguri che utilizzano la barca per piacere.

Il Sindaco, che ha vinto le recenti elezioni con una percentuale di voti alta, dice che il progetto è nel suo programma, che l’hanno votato e che quindi lui va avanti. Non è proprio così. Tanto per cominciare non è un monarca assoluto, ha preso 3.200 voti su oltre 7.500 aventi diritto, e sul programma sono indicate poche righe con indicazione generica “pontili galleggianti” quasi fossero quattro pontili in legno, non quel progetto impattante che è. Inoltre tanti suoi elettori sono contrari. In ogni caso, non trattandosi di scegliere la tipologia dei lampioni, o l’apertura o meno della ZTL, ma di un’opera che cambierebbe per sempre il paese, un’opera da sempre divisiva, deve stare a sentire tutti, anche e maggiormente i cittadini che non hanno la barca. In maniera sdegnosa (sui media e in TV) il Sindaco ha addirittura detto che è l’ora di finirla con quelle barchette in plastica, sbeffeggiando la maggioranza dei suoi concittadini che hanno piccole barche appunto in vetroresina/plastica.

Gli impatti sono davvero molti.

Impatto ambientale e sulla qualità del mare: una mole così alta di pontili sarebbe oltremodo dirompente per la qualità delle acque, con minor circolazione.

Impatto paesaggistico: una massa esagerata di imbarcazioni raccolte dentro la baia, nella parte più preziosa, a ridosso del Castello medievale, altererebbe le proporzioni e la naturalezza del paesaggio, trasformando Lerici in uno dei tanti luoghi finti in giro per il mondo

Impatto sociale e crisi dell’identità locale e culturale.

Impatto sul turismo: sono visioni fuori dal tempo, il viaggiatore moderno oggi vuole la bellezza, la particolarità, la caratterizzazione, la “ligusticità”, i servizi certo, ma non un “non luogo” come diventerebbe.

Senza contare gli impatti sulla sicurezza e le difficoltà tecniche (che ci sono) dovute alle condizioni meteo marine. Lerici è esposta al libeccio e ogni anno arrivano mareggiate medie e forti e, ogni tot, fortissime come quella del 2018 che ha spaccato muri, banchine, pontili dei vaporetti, con onde verso la Calata superiori ai due metri. Come si può anche solo immaginare un’opera del genere, con le condizioni meteo che ogni anno si fanno sempre più critiche?

Oltretutto ci sono delle grosse incongruenze nel progetto circa il moto ondoso e l’insabbiamento.

E poi per un anno almeno Lerici sarebbe per aria: in mare (levare i gavitelli, togliere corpi morti e catene vecchie, far spostare centinaia di barche -messe dove e chi paga?-, posizionare i pontili e le centinaia di corpi morti, bonificare da ordigni, ecc.) e a terra (cantieri, mezzi, camion….). Ma perché? Perché?

Sarebbe meglio utilizzare risorse e tempo per la qualità delle acque, per il sistema fognario, per il dissabbiamento della baia, fenomeno che in poco più di 20 anni ha causato un cambiamento dei fondali.

Lerici si sta muovendo, i cittadini stanno iniziando a capire, io sto facendo da collettore. Alla tradizionale resistenza della Società Marittima di Mutuo Soccorso, una delle società più antiche d’Italia, che ha guidato negli anni il dissenso, si sono unite le associazioni ambientaliste, in primis Legambiente, si è formato il “Comitato per la tutela della rada di Lerici contro l’installazione dei pontili galleggianti”, di cui fanno parte cittadini di ogni estrazione ed età, si stanno raccogliendo firme, (ormai verso il migliaio e tanti gli elettori del Sindaco) e ci si muoverà anche a livello istituzionale. C’è stata una presa di posizione forte e decisa anche delle minoranze in Consiglio Comunale che si sono espresse chiaramente in Consiglio e sui media.

E’ in gioco il futuro di Lerici. Auspichiamo che il Sindaco torni sui suoi passi anche perché non si capisce il perché -solo per un mero trasferimento di imbarcazioni e per una parvenza di “riordino”?- si voglia fare una cosa del genere. Lerici non ha bisogno di questi progetti, solo di servizi, qualità del mare, sviluppo serio per i giovani e le attività commerciali, una visione moderna in linea con i dettami europei, ripresi anche da Draghi nel suo discorso d’insediamento, dal Papa stesso sull’ambiente.

Bernardo Ratti

Presidente della Società Marittima di Mutuo Soccorso di Lerici

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti

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FATTI DI LIGURIA

Elezioni comunali Savona 2021: comprensorialità e transizione energetica

Riceviamo dal Gruppo di impegno civico savonese “Il Rosso non è Nero”

Nella previsione di elaborare un progetto compiuto in vista delle elezioni savonesi del 2021 facciamo notare come il tema della comprensorialità assuma una valenza decisiva. Ribadiamo: la questione centrale per Savona e il suo comprensorio sarà quella di risultare all’altezza della situazione che si aprirà sul piano della capacità di rapporto con i possibili flussi di spesa derivanti proprio dalla stesura e poi dall’applicazione del Recovery Plan. Beninteso l’applicazione di questo strumento risulterà contraddittoria, graduale, di difficile valutazione e applicazione immediata, ma costituirà, nel medio periodo, un punto ineludibile di riferimento per il lavoro degli Enti Locali. Nella necessaria interlocuzione con Regione e Governo dovrà risultare necessario costruire un soggetto unitario di coordinamento, confronto, pianificazione che tenga assieme l’area savonese costiera e la Val Bormida.

Abbiamo già ricordato come le condizioni politiche, economiche e sociali siano molto diverse da quelle nelle quali, qualche decennio or sono, si costruì il PRIS, ma il tentativo di costruzione di una diversa soggettività istituzionale e progettuale andrà comunque svolto: per prima cosa Savona deve assumere la guida di questo processo sostituendo il principio che ha portato all’area di crisi industriale complessa proprio sul piano del “limitarsi alla crisi” da mutare in “pensare al progetto”.

Al posto dell’area industriale di crisi complessa va costruito un soggetto di coordinamento capace di porsi in grado di intercettare i già più volte citati flussi di spesa. Ci siamo già cimentati nell’indicazione di alcune priorità da sottolineare da questo punto di vista: centralità territoriale della sanità pubblica; infrastrutture per l’uscita dall’isolamento; bonifica aree industriali dismesse.

Adesso va aggiunto un altro capitolo, perché sarà a livello comprensoriale che Savona dovrà essere presente nel progetto di transizione che dovrebbe essere previsto nel completamento della stesura del PNRR.

Siamo in ballo con la questione della proposta del raddoppio a gas della centrale Tirreno Power di Vado Ligure (proprio mentre sono in corso le deposizioni dei tecnici nel processo riguardante i passati fenomeni di inquinamento derivanti dall’uso del carbone).

Non possiamo permetterci il lusso di tornare a un conflitto tra lavoro e ambiente che ha caratterizzato per decenni la storia della nostra provincia (non è il caso di ricordare la tragedia dell’ACNA) ma egualmente abbiamo necessità di una strategia di sviluppo industriale.

Sarà soltanto al livello di una struttura di comprensorialità che comprenda Savona, la sua area costiera e la Val Bormida che si potrà costruire una proposta di ingresso nel PNNR e nel PNIEC (Piano Nazionale Energia e Clima) attraverso una elaborazione che preveda nuovi impianti produttivi alimentati da fonti rinnovabili: impianti destinati a intensificare interventi sull’efficacia dell’efficienza energetica.

Savona e il suo comprensorio non possono rimanere tagliati fuori da questo livello di progettualità che non potrà però rimanere isolato nel suo contesto specifico: trasporti, edifici, portualità, l’insieme del territorio dovranno risultare progressivamente adeguati a questo tipo di sfida.

Ad esempio: le ferrovie devono rappresentare un pezzo di questa transizione ma la mobilità interna al comprensorio reclama attenzione e investimenti ed emerge la necessità di un’elaborazione comune che tenga conto di entrambi gli elementi.

Il tema della transizione energetica deve allora essere pensato a livello di area vasta (appunto il comprensorio) e riguardare diversi specifici aspetti complementari in modo da produrre una svolta possibile nella qualità della vita e nella stessa prospettiva di crescita economica necessaria per farci uscire dall’isolamento e dal declino.

Franco Astengo per “Il Rosso non è Nero”

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FATTI DI LIGURIA

 Le povertà sono di due tipi. Il caso Liguria

Secondo i dati Istat 2020, gli occupati in Liguria si riducono a 601.258 (-10.509:-1,71% sul 2019), con la maglia nera che va ai servizi: il sett  ore che presenta il maggiore calo occupazionale, perdendo 11.659 post di lavoro (-2,42%). In percentuale, il trend più negativo è quello del comparto commercio-turismo, con meno 5.482 posti di lavoro (-3,9%); mentre a valore assoluto le altre attività dei servizi calano di 6.179 unità (-1,81%). Dunque, un dato gravissimo; che richiede di essere urgentemente affrontato mediante ammortizzatori sociali. Ma che – secondo lo scrivente – è sbagliato ricondurre allo schema-modello del reddito di cittadinanza attualmente in vigore. Ossia l’equivoco che continua a perdurare nel dibattito pubblico italiano riguardo all’istituto; largamente influenzato dal clima ideologico degli scorsi decenni, in cui l’impresa diventa il criterio regolatore, l’occupabilità l’unica legittimazione (e uno come Matteo Renzi, in piena pandemia, può pretendere “investimenti e non sussidi”). Ecco – dunque – quanto qui si reputa un grave errore: legare all’esercizio di un ruolo produttivo il diritto alle condizioni minime di vita degna. Per cui il principio, proprio delle democrazie avanzate, di un diritto civile, sociale e politico alla dignità economica, è stato trasformato dal legislatore Cinquestelle in nient’altro che un sussidio alla disoccupazione. Non certo l’abolizione della miseria. Equivoco che nasce dalla confusione analitica tra povertà assoluta e relativa. Quando la scienza socio-demografica distingue nettamente tra le due povertà: per cui è indigenza assoluta quella “di chi non riesce a provvedere ad alcune funzioni vitali che gli assicurino la sopravvivenza” (in Italia 5,6 milioni di persone), quella relativa riguarda “chi si trova ad avere meno (o molto meno) di altri che vivono nella stessa comunità” (attualmente 9 milioni). Con un’ulteriore differenza: se quest’ultima forma di vulnerabilità può essere temporanea e dipende in larga misura dalla disoccupazione del soggetto, ovviabile mediante adeguate politiche attive del lavoro e supportata nel frattempo con puntuali sussidi di sopravvivenza (alla faccia di Matteo Renzi!), la povertà assoluta corrisponde – in linea generale – a una condizione permanente e non modificabile: anziani soli e a ridotta mobilità, disabili, portatori di handicap, ecc. Dunque, una parte della popolazione strutturalmente indisponibile a svolgere quei ruoli lavorativi che le odierne ideologie (work-line) pretenderebbero come irrinunciabile contropartita al riconoscimento dei diritti sociali. E – per quanto riguarda la Liguria – si tratta di una popolazione oscillante tra i 140 e i 150 mila soggetti (qualcosa come il 10% degli abitanti; mentre la povertà relativa era data al 12,9% nel 2019). Dati che sono segnalati in forte crescita nell’attuale biennio pandemico.

Questa la premessa per un riposizionamento su scala regionale delle politiche di contrasto della disuguaglianza e della miseria. Nella consapevolezza degli attuali limiti concettuali degli approcci a questo tema drammatico, che vanno dalla sottostima dello stato comatoso che affligge il mercato del lavoro alla sovrastima delle potenzialità messe in campo dalle politiche di attivazione del workfare, l’occupabilità. Per quanto concerne lo specifico della povertà assoluta, il deprezzamento della funzione distributiva, della protezione sociale e dell’assistenza ai più vulnerabili.

PFP

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FATTI DI LIGURIA

 Toti distribuisce euro dei cittadini ai fedelissimi

La Regione Liguria, oltre al presidente, il massese Giovanni Toti, ha ben 7 assessori, la cui utilità per i cittadini liguri è tutta da verificare, ma il cui costo a 12.000 euro netti al mese è invece una certezza.

Toti alla ricerca del miracolo della “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, modernizzato in Euro, ha, dapprima, fatto dimettere 5 assessori da consigliere regionale, consentendo in questo modo a 5 suoi “peones” di divenire consiglieri regionali. Cinque stipendi in più, sempre a 12.000 euro netti, bastano ad assicurare la fedeltà dei postulanti.

Non contento Toti ha, poi, moltiplicato il numero dei portaborse, portandoli da 8 (OTTO) a 22 (VENTIDUE) con un incremento di spesa a carico delle tasche dei cittadini liguri di 863.000 euro l’anno.

Ha poi concesso l’auto blu personale con autista al segretario generale della Regione, il suo fido P.P. Giampellegrini, importato anche lui da Massa e, per non fare ingiustizia, all’inutile sindaco di Portovenere, promosso consulente ben retribuito della Regione.

Oggi ne ha inventata un’altra per sfamare i suoi “clientes”. Propone di creare “I SOTTOSEGRETARI REGIONALI”, praticamente una sorta di vice-assessori, ovviamente già ripartiti con rigoroso manuale clientelare tra i vari manipoli della sua maggioranza. Uno alla Lega, uno a Fratelli d’Italia, uno a Forza Italia, uno a Liguria Popolare e uno in ballo. Il costo per le tasche dei Liguri: CINQUECENTOMILA (500.000) EURO L’ANNO.

Siamo la regione messa peggio in Italia con le vaccinazioni, ma, Toti, è pronto a dire “il governo non ci aiuta”. Come è ben noto, la colpa è sempre degli altri.

NC

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FATTI DI LIGURIA

Giustizia e reputazione, a proposito della vicenda ‘spese pazze’
Riflessioni di un magistrato che ne ha viste di tutti i colori

La parola ‘reputazione’ (intesa come immagine percepita e propagandata) ha subito nel nostro Paese una strana declinazione, una curvatura negativa in gran parte determinata da decisioni assunte dalla magistratura e dalla risonanza attribuita a quelle decisioni dai cosiddetti ‘media’. A fronte di una devastante corruzione ambientale, determinata soprattutto dalla complicità tra politica e affari. L’opinione che il pubblico nutre – specie quando si tratti di persone ‘pubbliche’ e politicamente impegnate – è sempre più spesso determinata e condizionata da pronunce o iniziative della magistratura: dei pubblici ministeri in particolare.

Atti assolutamente preliminari all’eventuale affermazione di una responsabilità penale (avvisi cosiddetti ‘di garanzia’, sequestri, perquisizioni, arresti per lo più ‘domiciliari’) determinano in modo spesso irreversibile il pendere della bilancia della reputazione personale verso il lato negativo, quello di una ‘cattiva reputazione’. Difficile – in seguito – riassestare quella bilancia.

Molti elementi contribuiscono a questo effetto, spesso perverso.

Si chiama in causa la durata dei processi, ma – forse – è la farraginosità soi disant garantista del processo a determinarne gli effetti ingiustamente dannosi per l’immagine pubblica oltre che per la vita privata di una persona. Come dimostrato dal caso delle ‘spese pazze’ e da altre vicende analoghe. La pluralità dei gradi di giudizio, con la possibilità concreta di decisioni opposte sugli stessi fatti, disorienta il pubblico e lo ‘fissa’ sulle prime impressioni circa la ‘reputazione’ di chi viene preso nel meccanismo impassibile della giustizia penale. Così, il pur discusso e politicamente assai discutibile Rixi, condannato a tre anni e cinque mesi in primo grado (pena superiore a quelle richiesta dal PM), viene sgravato in appello da ogni addebito ‘perché il fatto non sussiste’. E la vicenda non finisce qua: la Procura già minaccia il ricorso in Cassazione.

La Giustizia è raffigurata con la benda sugli occhi non perché non possa vedere all’esterno, ma perché non si lasci influenzare – al proprio interno – da simpatie o antipatie. I magistrati – agenti istituzionali della Giustizia – sono soliti difendersi invocando ormai  ritualmente l’obbligatorietà dell’azione penale, stabilita dalla nostra Costituzione. Purtroppo questa obbligatorietà (comprensibilmente voluta dai Padri Costituenti in un’epoca che recava le ferite recenti della dittatura e del controllo sulla magistratura) si è tradotta col tempo in una sostanziale assenza di responsabilità dei magistrati per iniziative penali dettate da leggerezza, o protagonismo, personali idiosincrasie. A questo si aggiunge non di rado la scarsa considerazione per chi diventa l’oggetto della loro attenzione, la sua vita personale e sociale, la sua reputazione; addirittura la sua dignità.

Negli Stati Uniti, nessuna iniziativa penale viene portata avanti dalle procure, se non vi sia la quasi certezza di un successo processuale. E – comunque – il procuratore può sempre negoziare con l’imputato la propria eventuale rinunzia alle accuse più gravi.

In Italia questo non è possibile. Almeno non lo è ‘alla luce del sole’.

Resta, ineludibile, la necessità di difendere le persone –anche, forse a maggior ragione, quelle che meno ci piacciono – dalle conseguenze non necessarie di quanto Calamandrei definì ‘il processo come pena’. A questo risultato ci si potrà avvicinare, vuoi riducendo la complessità e l’implicita contraddittorietà del percorso processuale, valorizzando quello di primo grado come ‘il’ giudizio davvero decisivo, e gli ulteriori gradi come delle rarissime ‘eccezioni’; vuoi – ma questo rischia di apparire un pericoloso colpo inferto all’indipendenza della magistratura – provando a limitare la portata del principio di obbligatorietà dell’azione penale, a tutto vantaggio della responsabilità e della accountability dei titolari dell’azione penale.

Tutto questo per fare sì che la parola ‘legalità’ sia, e si dimostri, una parola ‘vera’.

MM

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FATTI DI LIGURIA

 Un quiz: indovinate il personaggio misterioso

L’uomo del fare s’è presentato a Genova parlando in inglese, più precisamente americano, con un lieve accento del Minnesota, terra di vacche e di pascoli immensi. Aveva anche uno strano modo di fare – tipo “ghe pensi mi” – che ai genovesi suonava un po’ strano , ma ragionandoci sopra hanno pensato: forse vorrà dire  “è l’uovo di Colombo”, e l’hanno accolto credendo fosse un parente del trisavolo che si era perso nelle praterie americane, quando lui era tornato in Europa. Certo i parenti dei siciliani parlano in dialetto siculo, i parenti dei napoletani sembrano usciti ieri da Mergellina, un parente del trisavolo che parlava mezzo italiano e mezzo minnesotiano faceva strano, ma si sa come vanno le cose dopo venti anni di governo di un venditore di tappeti e, grazie alla presentazione del padano dell’Appennino ligure, hanno creduto al ghe pensi mi – uovo di Colombo e dopo una legislatura del marchesino e del presidente in fuga a Montebruno a giocare a tresette coi pensionati hanno pensato: questo è nuovo, promette di risolvere i problemi , che vuole una Genova bella, quasi quasi… tanto, peggio del predecessore….. almeno ride quando promette….. e fu così che l’uomo del Minnesota fu votato.

E allora vediamo quel che ha fatto l’uomo venuto dai grandi pascoli a risolverci i problemi con l’uovo di Colombo. E partiamo dalla realizzazione più importante, quella che per prima ha dimostrato coi risultati inequivocabili il valore del METODO GENOVA: Il ponte. E qui la diversità culturale s’è vista subito. Anziché spendere 170 milioni di euro e rimettere a posto le cose in pochi mesi ne ha speso 500 e ci ha messo due anni. Sarà la cultura del Minnesota però 330 milioni di differenza sono una bella cifra e – si sa – i genovesi tendono alla parsimonia. Poi l’uomo del fare ha affidato tutto a un triestino ( Fincantieri ) e a un romano ( Salini ) come se a Genova con tutti i quei soldi non ci fosse un imprenditore capace di costruire un ponte. Ma almeno il progetto a un genovese verace? Eh, anche qui se dai del genovese a uno di Pegli rischi grosso e poi pegliese sì ma domiciliato con famiglia a Parigi, è vero lì c’è vissuta la marchesa , duchessa e altro, che ha fatto tanto bene a Genova. E poi, se affidi a un pegliese il progetto per fare un ponte a Genova, non puoi non aspettarti che il progetto sia sbagliato. Eh sì, pensato a Parigi, progettato a Vesima, non poteva che venir fuori così. O meglio, non in regola con le leggi italiane. Sarà un Senatore a vita, sarà un architetto celebrato in tutto il mondo,, ma il ponte è bello sbagliato non è dritto come il Morandi, per farlo arrivare alla galleria di Coronata hanno dovuto fare un curvone della madonna , che se uno va veloce finisce al Santuario, però col METODO GENOVA tutto è diventato perfettamente in regola, solo con una limitazione di velocità a 70 km orari che per le autostrade non ci aveva pensato nemmeno il Ministro Ferri, quello della limitazione a 110 km che già così in Italia tutti ovviamente rispettano. Tu prova ad attraversare il ponte a 110 km orari e ti ritrovi in paradiso a conversare con la duchessa e marchesa. Comunque il ponte è fatto, non c’è alcun dubbio. (continua)

Andrea Agostini

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FATTI DI LIGURIA

 Treni in Liguria: grazie a Toti i disservizi li pagano i pendolari

Nel 2018 la giunta Toti stipula un nuovo Contratto di Servizio tra la Regione e Trenitalia.

Ogni disservizio (e che chi prende un treno in Liguria può ben immaginare di cosa si tratti) viene così gestito a seconda di quel contratto e di quanto stipulato.

Il 23 dicembre 2020 la Giunta quantifica le penali relative al 2019 per un totale di € 3.9973.130,60, tra ritardi, pulizia, confort e servizi d’informazione.

TRENITALIA però pagherà solo 2.471.814,94 euro, con uno sconto di ben 1.525.315,12 in meno del totale delle penali quantificate per il 2019.

Perché in quel contratto, fortemente contestato dall’opposizione consiliare, c’è una norma (il comma 3 dell’articolo 22) che recita “il montante complessivo per l’erogazione delle penalità e per le misure di riduzione/mitigazione delle medesime non potrà superare tra il 2018 e il 2021 l’1,5%, dal 2022 al 2023 l’1,75% e dal 2024 il 2* dei ricavi operativi annuali indicati nel PEF”

Tradotto, significa che Trenitalia si fa lo sconto, e che, indipendentemente da quanti penali accumula, non potrà avere più di 2,5 milioni di euro di multe. E qui c’è la beffa. Le penali sono utilizzate in gran parte per indennizzare i pendolari. E così, alla fine, i disagi sulla linea ferroviaria i pendolari li pagheranno due volte: sia per i ritardi, sia per il fatto che non verranno nemmeno rimborsati in maniera adeguata.

Ci sono Regioni che hanno contratti di servizio ben più vantaggiosi per i viaggiatori sul tema delle penalità: la Toscana non prevede un montante massimo. Speriamo che l’assessore Berrino, con delega ai trasporti NON PERDA IL TRENO della modifica del contratto che danneggia i pendolari.

NC

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FATTI DI LIGURIA

 La catastrofica gestione ligure del Covid-19

Estrapoliamo alcuni dati significativi dal discorso di Ferruccio Sansa in Consiglio Regionale del 18.3

«Signor Presidente, lei è riuscito a nascondere all’opinione pubblica che la Liguria è al secondo posto per letalità del virus, cioè per rapporto tra persone malate e persone decedute, anche grazie a un’informazione ampiamente finanziata dalla Regione. Un’informazione che ha rinunciato spesso al proprio compito di critica e di denuncia. Un’informazione che dovrà fare un esame di coscienza. […] Nelle nostre città si sono registrate proporzioni doppie, talora triple rispetto ad altre regioni italiane. Insomma, i liguri sono stati curati peggio di altri. Sono morti di più. Questi sono fatti, non basta colonizzare gli studi televisivi con qualche epidemiologo ligure per cancellarli. Nella seconda ondata è stata al primo posto per numero di malati in rapporto alla popolazione. Lei sa che la Liguria per molti mesi è stata ben sotto la media nazionale per tamponi effettuati. È un disastro che ha radici lontane, certo, anche precedenti la sua amministrazione. È un disastro che non dipende soltanto dalla Regione, non c’è dubbio. Ma la sua scelta di mantenere la delega di assessore alla Sanità le attribuisce un doppio potere. E una doppia, tragica, responsabilità. […] Noi abbiamo pensato a lungo che questa sua scelta sancisse un suo ruolo di regista. Invece, strada facendo, ci stiamo convincendo che lei sia strumento di una strategia ben precisa: la strategia di smantellare e privatizzare la sanità della nostra Regione.

Gli ultimi tasselli si stanno componendo in questi giorni: la decisione di coinvolgere i privati nella campagna vaccinale, la scelta di affidare la gestione di alcuni ospedali, come il Felettino di La Spezia, anche ai privati. […] Il rischio che si corre è che in nome dell’emergenza vengano definitivamente sancite scelte strategiche che cambieranno la sanità ligure per decenni. E che dureranno molto più del suo mandato. Scelte che noi e i nostri figli subiremo anche quando lei avrà abbandonato la Liguria per dedicarsi ai suoi progetti romani. […] Siamo agli ultimi posti nel Nord Italia per la mobilità sanitaria con un debito di 71 milioni. Siamo tra le poche regioni del Nord in cui i numeri della fuga dei pazienti non sono migliorati. Abbiamo i maggiori costi per abitante e il peggior rapporto tra crediti e debiti con un saldo di meno 76 milioni nel 2019. Siamo nei posti di coda al Nord per i Lea, i livelli essenziali di assistenza. Siamo tra le regioni peggiori per le informazioni fornite sulle liste d’attesa. Siamo tra le peggiori regioni per l’informatizzazione del sistema sanitario. Questa situazione ha creato le premesse perché nascessero e sopravvivessero clientele, nicchie di potere. […] La premessa della disastrosa situazione che si è creata in Liguria con il Covid. E la campagna vaccinale è soltanto l’ultimo tassello. La politica non c’entra. La propaganda non c’entra. Qui parlano i dati forniti dal Governo, di cui anche lei oggi fa parte. Ieri sera la Liguria era penultima in Italia per vaccini somministrati in rapporto a quelli ricevuti: appena il 70,4 per cento del totale. Sta peggio di noi soltanto la Sardegna che, però, era in zona bianca. In Puglia invece siamo all’85 per cento, in Valle d’Aosta all’89,5 e in provincia di Bolzano all’89,6.

Siamo sotto la media nazionale anche per ultraottantenni che hanno ricevuto almeno la prima dose di vaccino, appena il 42,4 per cento, nonostante la Liguria abbia la popolazione più anziana d’Italia. E siamo agli ultimi posti, sedicesimi, per numero di insegnanti vaccinati: eravamo al 2 per cento quando in Toscana già si toccava il 70 per cento».

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FATTI DI LIGURIA

 

Didattica a Distanza (DAD), inferno (temporaneo?) per docenti e studenti

La DAD, strumento necessario ma devastante dal punto di vista didattico.

La DAD ha evidenziato e moltiplicato in maniera esponenziale i problemi che la scuola si portava avanti da anni; uno su tutti il numero importante di alunni per classe: 27-30. Nulla è stato fatto durante l’estate per cambiare lo stato delle cose, l’unica soluzione è stata spendere 119 milioni di euro per acquistare i banchi a rotelle. Se lo scoppio della pandemia ha colto tutti impreparati, ora la mancanza di interventi non è più giustificata. Dei problemi degli alunni ho già parlato la volta scorsa. Tanto è vero che in Liguria i nostri ragazzi e ragazze stanno manifestando per tornare alla scuola in presenza. Vediamo ora di affrontare il problema dal punto di vista dei docenti, emersi da una raccolta di opinioni sul campo.

La mancanza di risorse della scuola fa si che gli insegnanti debbano usare il loro computer personale. Gli istituti hanno a disposizione solo alcuni PC, non sufficienti per tutti. I docenti  sprovvisti hanno potuto acquistarli per mezzo del bonus a loro dedicato, ma sono comunque di loro proprietà . Si recano a scuola e svolgono le lezioni in aula con al massimo uno o due studenti che necessitano della presenza. Questo implica che la rete internet della scuola a volte non riesca a sopportare il carico dei computer collegati, con i conseguenti problemi dovuti alla caduta della linea. Gli insegnanti hanno dovuto reinventarsi e cercare di adeguarsi al nuovo strumento di insegnamento. Solo ora sono stati istituiti dei corsi per il personale docente al fine di aiutarlo a gestire e affrontare al meglio le lezioni on line. Mancando il contatto, gli insegnanti devono coinvolgere gli studenti cercando di rendere le lezioni interessanti per catturare l’attenzione dei ragazzi. Questo implica un grande lavoro di preparazione che non deve lasciare nulla al caso per evitare distrazioni. Altro problema della DAD sono le verifiche. Gli studenti possono avvalersi di supporti e aiuti che nella didattica in presenza non avrebbero e che ne falsano il risultato. Insomma, la DAD è piombata sulle nostre teste con la velocità di un fulmine e la violenza di una ghigliottina Un cambiamento talmente veloce e repentino che facciamo fatica a gestire. Partendo dal presupposto che l’Italia non era e non è pronta per questo cambiamento epocale, speriamo che la Didattica a Distanza rimanga soltanto un tampone per l’emergenza.

MF

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FATTI DI LIGURIA

 Non solo cemento. Costruiamo la Liguria del futuro con il Next Generation Eu

Chissà se Mario Draghi, impegnato nella predisposizione dei piani da presentare in Europa per accedere ai miliardi di Next Generation Eu, sarà capace di compiere il salto di paradigma politico oggi necessario: la riscoperta del valore dei processi trasformativi dal basso, la scelta come unità di azione degli ecosistemi locali, nel quadro di un disegno nazionale. Per tenere unite economia e società. Altrettanto importante è che, nei territori, si mobilitino intelligenze e sensibilità all’altezza delle sfide che ci pone l’Unione europea. Non pare che ciò stia accadendo in Liguria. E’ certamente positivo che sia stata costituita, nell’ambito del Consiglio Regionale, una Commissione permanente in materia. Un soggetto istituzionale che dovrà coinvolgere non solo l’opposizione ma anche le forze sociali e la società civile.

Non convince, però, l’approccio della Giunta Regionale. Da quanto si è letto, la Regione Liguria intende chiedere 23 miliardi su 209 disponibili: l’11% del totale! Troppi, decisamente. E senza priorità. O meglio, con un’unica priorità: le infrastrutture (77,7%). Ovviamente anche le infrastrutture servono. Ma non tutte, come ha osservato Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria: “Nella lista delle opere approvate in Giunta Regionale ci sono aspetti positivi, in particolare per il raddoppio ferroviario Genova Ventimiglia, la Pontremolese, la ciclovia tirrenica, altre opere infrastrutturali stradali risultano invece invasive e potenzialmente dannose e impattanti per il dissesto idrogeologico ed il consumo di suolo e sottosuolo”.

Soprattutto non si vive di sole infrastrutture. Non lo sostengono solo le associazioni ambientaliste, ma anche i sindacati. Affermano i segretari regionali di CGIL-CISL-UIL: “L’unica cosa certa è che ci sono cinque linee di finanziamento (digitalizzazione e innovazione, sanità e salute, infrastrutture per la mobilità, istruzione, formazione e ricerca e green economy) e la Giunta Regionale scommette tutto solo sulle infrastrutture, tema per noi fondamentale ma non esaustivo, non lasciando intravedere un’idea complessiva di sviluppo per il nostro territorio”.

Ecco il punto: manca un’idea complessiva. Una strategia per la Liguria del futuro.

Di transizione ecologica del nostro modello di sviluppo non c’è traccia. A fronte di un 37% minimo richiesto dall’Unione europea, nella lista della spesa del Presidente Toti il “green” quasi scompare: nel capitolo “rivoluzione verde e transizione ecologica” ci sono progetti per appena 1,3 miliardi (tra cui quello di un inceneritore dei rifiuti!).

Nel capitolo della sanità, non c’è quasi nulla su quella di prossimità, o territoriale: per rimediare alla vera, grande lacuna emersa con l’emergenza Covid-19.

La musica non cambia se guardiamo al capitolo “istruzione”: solo edilizia. Tra l’altro colpisce non ci sia nulla per gli asili nido, indispensabili sia per consentire alle madri un lavoro sia per migliorare le opportunità di chi nasce in famiglie non benestanti.

Dovremmo, secondo l’Unione europea, trasformare il nostro sistema economico e sociale. Ma Toti punta ancora tutto sullo schema visto troppe volte: sul cemento. Spera che i liguri, sfiniti dall’attesa e silenziati dalla pandemia, non abbiano più la forza di dire nulla. Ma non rassegniamoci. Può non finire così. Un solo esempio: un gruppo di giovani, dell’associazione “Genova che osa”, ha presentato una proposta di piano in sette punti, cinque miliardi da utilizzare contro le diseguaglianze. Come sempre, dipende anche e soprattutto da ognuno di noi. A redimere la Liguria e la politica tocca a ognuno di noi, con spirito eretico e capacità di re-immaginare.

GP

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FATTI DI LIGURIA

Nuova diga foranea per il porto di Genova: un progetto sbagliato (seconda parte)

Saldo del documento redatto da Andrea Agostini e Giovanni Spalla, presentato il 25.01.2021:

«Circa la viabilità cittadina va realizzato il raddoppio della A7 e il completamento della strada a mare da Multedo alla Foce con il tunnel Multedo-Guido Rossa e il tunnel sub-portuale. Questo porterà a una riduzione del traffico significativa. Inutile, anzi deleteria, la Gronda di Ponente che concentrando il traffico pesante al casello di Ge-Ovest renderà sottoutilizzato il costruendo ingresso di Ponente del porto; la cui realizzazione si dà per scontata nel Dossier Diga, nel quale tale infrastruttura viene assunta come giustificazione trasportistica della nuova diga foranea. Quando non c’è ancora ad oggi su questa infrastruttura impattante e devastante del paesaggio collinare un’approvazione formale da parte dei ministeri competenti e del governo. Né un’attendibile valutazione ambientale strategica. Contrariamente alle affermazioni del Dossier Diga, affermiamo che detto progetto di mega-diga, cosi come proposto nella sua nuda struttura edilizia lineare, è funzionale agli interessi di un ristretto gruppo economico, non solo di imprenditori e terminalisti locali e nazionali, ma in larga prevalenza di imprese internazionali ben distanti dagli interessi economici, occupazionali ed ambientali della città.

Infatti, l’intervento della nuova diga, pur prevedendo anche un imbocco di 150 metri alla foce del Polcevera, serve per ora soprattutto il terminal di Bettolo e non arriva a coprire più del 60% dei bacini di Sampierdarena. Le grandi navi alte 60 metri e oltre possono accedere solo alle banchine che vanno da calata Bettolo a calata Massaua, che dovrebbero essere dotate di gru semoventi di carico e scarico dei contenitori. Anche queste sono compatibili con il cono aereo? Come parrebbe dal Dossier Diga e come hanno affermato gli specialisti nel corso del Dibattito Pubblico.

Inoltre, tutte le darsene di tali bacini tendono ad essere tombate, essendo stati previsti accosti alle banchine disposte in parallelo all’asse del nuovo canale centrale, come risulta dal vigente Piano Regolatore Portuale del 2015; e come viene visualizzato nel Dossier Diga. Questa visione politico-tecnologica è protesa verso priorità di tipo commerciale ed economico-finanziarie, non cancellando la possibile ri-localizzazione di numerosi insediamenti a rischio per la città (vedi le riparazioni navali, i depositi petroliferi, i depositi GPL, il depuratore della città, l’aeroporto, il porto petroli, i depositi petroliferi costieri, la Superba, la Carmagnani, calata Oli Minerali). Tutte strutture a rischio incidenti rilevanti e ambientali , che potrebbero trovare posto in sicurezza sui possibili spazi a ridosso della nuova diga. Per esempio gli impianti di riparazione navale, in quanto producono inquinamento da metalli pesanti, sono collocati in tutta Europa a circa 1500 metri dalle prime abitazioni e ad almeno 5000 metri dai centri densamente abitati ( in base al RE 1257/2013 e alle LG/IMO recepite dal nostro ordinamento 2019).

E’ nostra convinzione che un progetto di diga così ampio e costoso possa essere occasione per restituire alla città spazi sul mare e allontanare gli insediamenti a rischio incidenti e/o ambientale che ancora oggi insistono su spazi troppo vicini alle case o in luoghi inopportuni. Ciò è possibile anche sulla base dei risultati di ricerche progettuali universitarie prodotte dal Dipartimento di Idraulica (Facoltà di Ingegneria di Genova) a cominciare dal Contratto di Ricerca tra DICAT e l’Autorità Portuale di Genova 2006 /2011. Tale ricerca ha destinato aree urbane e portuali per l’istituzione, a titolo d’esempio, del Parco della Lanterna, di una Nuova Stazione Marittima a Calata Sanità, del Parco delle Mura delle Grazie esteso da piazza Cavour a punta Vagno, il Nuovo Quartiere Nautico della Fiera, del Parco di Villa Bombrini esteso alla sua dimensione storica, del parco del litorale di Voltri, della pedonalizzazione dell’ arco del Centro Storico da Palazzo del Principe a piazza Cavour e a Porta della Marina, rimessa in luce la parte rimasta interrata. Con la previsione di demolire la sopraelevata, il cui traffico di attraversamento sarà deviato dal tunnel sottomarino, come previsto dal PUC vigente.

Il modello che proponiamo è quello di localizzare una diga/piattaforma, costituita da una piastra di 400 metri di larghezza addossata alla diga dalla parte verso terra, in una prima fase, davanti al bacino di Sampierdarena e Bettolo, in una seconda e terza fase davanti all’aeroporto e al porto di Voltri. L’intento è quello di avere un sistema lineare di dighe/ piattaforma che definisca uno spazio acqueo continuo protetto, da Voltri al porto di Levante. Un sistema di aree destinate alla ricollocazione di insediamenti a rischio o incompatibili con quelli urbani, tra cui l’attuale area aeroportuale. La nostra finalità è ottenere un vantaggio evidente per tutta la città, non solo per poche imprese, che convinca il governo a finanziarla a vantaggio di tutta la popolazione.

Per cui riteniamo che la proposta della Autorità Portuale vada riformulata secondo il metodo del confronto tra alternative, soprattutto lo studio prodotto dalla nostra Università, con obiettivi multipli che non siano solo ridotti a manovra e accesso allo scalo. Obiettivi tecnici che sono una doverosa premessa, ma non devono limitarsi alla sola movimentazione delle grandi navi. In una prospettiva di sostenibilità della Città/Porto».

Andrea Agostini e Giovanni Spalla

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FATTI DI LIGURIA

 Difendiamo le pubbliche assistenze e il mutualismo dal basso

Le Pubbliche Assistenze svolgono da sempre un importante ruolo di assistenza mutualistica dal basso. Lo svolgono oggi più che mai, in un’epoca di aumento delle povertà e di tagli al welfare pubblico. Consideriamo, per esempio, le attività svolte dalla Pubblica Assistenza alla Spezia nel 2020. Ecco alcuni dati: acquisto e consegna di 2.200 spese a famiglie in stato di necessità; consegna di venti cene al giorno a persone anziane in difficoltà; consegna ad anziani in stato di bisogno di 400 forniture di medicinali; 400 servizi di assistenza a persone senza fissa dimora con consegna di pasti caldi e coperte; consegna quotidiana di generi alimentari alle mense dei poveri; una volta al mese somministrazione in sede di un pranzo a venti persone in difficoltà; realizzazione di doposcuola per agevolare l’integrazione di bambini in età scolare primaria; 4.300 trasporti sanitari urgenti e 4.500 non urgenti; 700 funerali. Conosco bene l’analoga attività della Pubblica Assistenza di Lerici, e so di quella delle altre Pubbliche Assistenze liguri.

Ebbene, tutto ciò è a forte rischio, a causa di una sciagurata legge della Regione Liguria, la n. 15/2020 del 10 luglio, che ha abrogato la normativa precedente, risalente al 2007.

L’articolo 6 della nuova legge ha stabilito che “l’attività funebre è consentita unicamente a ditte individuali o società di persone o di capitali che abbiano la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività)”. Le Aziende per i Servizi alla Persona come le Pubbliche Assistenze sono pertanto escluse dalla possibilità di esercitare le onoranze funebri, che hanno svolto con serietà e a condizioni di mercato fin dalla fondazione (alla Spezia dal 1889). E’ evidente che senza gli utili derivanti dai funerali le Pubbliche Assistenze non possono svolgere le altre attività di solidarietà sociale, con pesanti ricadute sui cittadini.

Lo scopo della legge è stato ben evidenziato in un parere di Alisa: favorire l’imprenditoria privata funebre ed “evitare la concorrenza di soggetti non profit che godono di trattamenti fiscali e normative particolarmente favorevoli”. Peccato che questi “trattamenti” e “normative” non esistano: le Pubbliche Assistenze versano le tasse nella loro completezza, non scaricano l’IVA e hanno maggiore difficoltà negli acquisti dovendo sempre svolgere gare; e non beneficiano di alcun finanziamento pubblico.

La Liguria è un caso unico: è la sola Regione che ha emanato una legge di tal fatta. Tra l’altro la Corte Costituzionale ha ritenuto la materia di competenza nazionale, non regionale. In attesa di una nuova normativa nazionale, è bene che la nostra Regione modifichi la sua legge. Lo hanno proposto le opposizioni, lo chiede un ampio fronte sociale che si batte per la solidarietà.

La crisi sociale, acuita dalla pandemia, ci richiede di reimmaginare tutto.

La società si sta ulteriormente disarticolando, la distanza tra primi e ultimi sta aumentando, e c’è un grande rimescolamento sociale. Il Censis parla di cinque milioni di precari, che “hanno finito per inabissarsi senza rumore” (l’espressione mette i brividi). I primi sono sempre più esclusivi e chiusi, gli ultimi sono sempre più numerosi e dimenticati. Gli anziani soffrono sempre più di solitudine e di isolamento sociale.

Serve un grande progetto che ripensi il welfare, basato anche sulla riscoperta e la valorizzazione delle esperienze e degli esempi del mutualismo e dell’organizzazione del movimento operaio ai suoi albori nell’Ottocento. Non si tratta di ferrivecchi, ma di strumenti utili da mettere a verifica nella pratica solidale dell’oggi.

GP

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FATTI DI LIGURIA

Guerra e cultura 

A volte ci sono notizie che dovrebbero rallegrare e che invece producono l’effetto opposto, come d’altronde altre, di cronaca nera, che fanno invece divertire. La prima riguarda la commessa che ha da poco ricevuto la MBDA di La Spezia, un acronimo che sta per Matra Bae Dynamics Alenia. Produrrà occupazione, e sembrerebbe un bene. Ma questo consorzio europeo di cui Leonardo (Finmeccanica) ha il 25%, è – fuori dai denti – un consorzio a fini di guerra. La commessa arriva infatti dal Ministero della Difesa e riguarda la fornitura di nuovi missili anti nave, chiamati Teseo. Con capacità offensive superiori ad altri missili in quanto, come riporta l’autorevole Rivista della Difesa possiede “anche una capacità land attack strategica per l’attacco di bersagli a terra”. Avrebbe risvolti positivi sull’occupazione anche un consorzio internazionale che creasse Eros Center per uomini e donne, in par condicio. Si tratterebbe tuttavia di uno sfruttamento della prostituzione, vietato dalla legge 20/2/58 n° 85, la c.d. Merlin, dal nome della senatrice socialista e prima firmataria. Ma nella gradazione delle fonti del diritto, la Costituzione, fonte primaria e superiore alle leggi ordinarie, compresa la Merlin, recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. Analizzando soltanto questa parte testo, se il ripudio della guerra ha qualche senso si dovrebbe smettere di produrre gli strumenti atti a favorirla. E’ logica. Molti anni fa un deputato socialista, un nenniano, scrisse su Panorama un articolo nel quale plaudeva alle varie aziende italiane che producevano armi, l’Oto Melara (carri armati e sistemi di puntamento), la Whitehead Motofides (siluri) e altre. Fece marcia indietro quando un oscuro segretario di sezione di Livorno del PSI lo deferì ai probi viri. Altri tempi. L’Italia è al quinto posto nel mondo dopo Usa, Russia, Inghilterra e Francia come produttore di armi belliche. E’ questa la strada che dobbiamo percorrere, dobbiamo gioire di questo primato, dobbiamo creare occupazione attraverso la promozione della guerra? Credo esista solo la strada di una lenta riconversione industriale, e come improbabile presidente del consiglio di un altrettanto improbabile governo, trasferirei intanto al Ministero della Cultura i fondi di quello della Difesa, e viceversa. Alla fine, avremo anche più occupazione, fra tesori d’arte, paesaggi e città uniche al mondo. Oggi un’utopia (che pure è un sogno che ancora non si è realizzato). Ma mi piace ricordare che durante la II Guerra Mondiale il ministro della Cultura inglese offrì a Churchill di trasferire i pochi fondi che disponeva a favore del ministero della Guerra. Il primo ministro rispose: “no, perché altrimenti, per che cosa combattiamo a fare?”. Stavo per dimenticare la cronaca nera: a Genova un finto tecnico dell’acquedotto è riuscito nei giorni scorsi a introdursi in una casa di due anziani con la scusa di un controllo al fine di derubarli. Quando gli hanno chiesto il tesserino ne ha mostrato uno con la scritta “aquedotto”, senza la necessaria “c”. Così i due pensionati lo hanno cacciato di casa e chiamato la polizia. Anche per il crimine la cultura pagherebbe.

CAM