PILLOLE
Il lamento dei signori della sanità genovese
Introducendo il numero monografico sulla sanità di Genova Impresa, l’house organ degli industriali, il presidente della Sezione Sanità della locale Confindustria – Francesco Berti Riboli – ci ha fornito un perfetto esempio di vittimismo ricattatorio, nella regione in cui la sanità pubblica è stata sistematicamente saccheggiata per decenni, mentre giungevano gli echi dei traffici della politica con il business. Scrive l’illustre personaggio: «Confindustria rappresenta le imprese private del settore: imprese che alcuni anni fa avevo definito con un gioco di parole private spesso del diritto di esistere». Un gioco di parole che a Napoli si chiama “chiagne e fotte”. Dalle nostre parti, “chi nu cianze nu tetta”.
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Operai in mensa e operai con la gamella, a Fincantieri
Il cantiere del Muggiano, insieme al gemello di Riva Trigoso, costituisce la divisione militare di Fincantieri. Ad oggi ha un carico di lavoro importante, che garantirà lavoro alle maestranze per i prossimi anni, con un aumento di circa 500 posti di lavoro. Fa clamore la notizia degli operai che mangiano per strada, in piedi e senza riparo. Situazione paradossale: il cantiere dispone di un ampio parcheggio e una mensa aziendale per i dipendenti; mentre i lavoratori delle ditte d’appalto devono rischiare la multa per divieto di sosta o viaggiare in autobus. Alla mensa non hanno diritto. Questa è la nuova logica imprenditoriale: dividere i lavoratori tra i garantiti, percentualmente in diminuzione, e quelli non. Come a Riva Trigoso. Si sa: i lavoratori si governano meglio divisi.
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Il ritorno del sciur padrun da li beli braghi bianchi
Dal Secolo XIX del 4 marzo: «Genova, i portuali confermano lo sciopero. Confindustria: “Ricordino che oggi il lavoro è un privilegio”». Prendiamone nota. In attesa che l’organizzazione guidata dal falco Carlo Bonomi (teorico del principio che gli interessi dell’impresa durante la pandemia comprendono il diritto a infettare) ci prepari il ritorno alla giornata di dodici ore e al lavoro minorile. A quando il ripristino del regime “coltello e bicchiere” ad opera dei “confidenti”? Le squadracce di vigilantes che alla fine dell’Ottocento imponevano un regime del terrore nel porto di Genova: i camalli dovevano spendere il magro salario nelle osterie di questi prezzolati, per tenerli a bada e boicottare il regime della chiamata autogestita dai lavoratori. E sbudellare chi protestava.
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Alisa, o dell’arte di gettare fumo negli occhi (dei liguri)
Da la Repubblica del 6 marzo: «Un disavanzo complessivo di 64 milioni di euro. Con queste cifre la Regione Liguria ha chiuso il 2019. E per la Procura Regionale della Corte dei Conti “è il peggiore disavanzo d’Italia, secondo soltanto a quello del Molise”. Un buco per buona parte determinato dal “fallimento del sistema sanitario della Liguria”. Se per la Regione “il punto di forza del piano era rappresentato dalla istituzione dell’Agenzia Ligure Sanitaria (ALISA)”, la Procura della Corte dei Conti afferma: “Alisa non è riuscita a conseguire gli obiettivi”. “Ed i risultati consolidati del servizio regionale per gli anni 2017-2019 sono stati tutti con il segno negativo: 56 milioni nel 2017, nel 2018 ben 56 milioni e 64 milioni di euro nel 2019”.
EDITORIALI
La minaccia dell’amianto e del titanio sul Parco del Beigua
Riceviamo dal Comitato spontaneo Amici del Tariné
Bric Tariné. Il nome di un monte situato al confine dei comuni di Sassello e Urbe in provincia di Savona. Potrebbe essere una montagna qualsiasi, in mezzo a tante altre cime liguri racchiuse nel Parco Naturale Regionale del Beigua. E allora – vi chiederete – dove sta il problema?
Questo monte nasconde nelle sue profonde viscere un materiale prezioso, il titanio. Per questo motivo è nelle mire da quasi cinquant’anni di compagnie che vorrebbero estrarlo e trarne profitto.
E allora vi chiederete dove sia il problema? Avere sotto ai piedi una tale ricchezza e non usufruirne? La risposta non è così scontata e semplice. Questo giacimento contiene una piccola percentuale di titanio racchiuso nella roccia, che andrebbe spaccata e lavorata, in cui sono state riscontrate presenze di amianto blu e altri minerali, che se smossi avrebbero impatto negativo sulla salute. Per estrarlo sarebbe necessario sventrare la montagna con una gigantesca cava a cielo aperto che devasterebbe tutto il territorio circostante e causerebbe danni irreversibili alla zona, al paesaggio, alla flora, alla fauna e alla popolazione. Infatti la cava sorgerebbe vicino a numerosi centri abitati e nei pressi dei rivi che danno vita al fiume Orba.
L’elemento che di certo si contrappone maggiormente a questa operazione mineraria è che la zona in questione è un’area protetta. Siamo nel Parco del Beigua, sito Unesco, European Global Geopark. E le aree circostanti sono anch’esse sotto tutela, Zone a Protezione Speciale.
Questi sono i motivi per cui un’azione del genere non dovrebbe nemmeno essere presa in considerazione. Negli anni le richieste sono state più volte respinte. Si pensava che con la risposta negativa arrivata dal TAR della Regione pochi mesi fa la questione potesse considerarsi definitivamente chiusa e invece a distanza di brevissimo tempo la ditta incaricata ci riprova chiedendo sondaggi non invasivi per tre anni spostando di qualche centinaio di metri le zone “interessanti”. E la Regione, con un atto dirigenziale fatto con leggerezza, li ha concessi.
Da questo è iniziata la battaglia, l’ennesima, di abitanti, villeggianti, frequentatori e amanti di questi luoghi, appoggiati dagli enti comunali, comitati e associazioni di ogni genere e colore politico per impedire che si arrivi un giorno a quello che, è palese, sia il fine ultimo.
Comitato spontaneo Amici del Tariné
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Da che parte sta il nostro “Governatore”
Secondo Agatha Christie tre indizi diventano una prova. Il criterio per appurare da che parte stia effettivamente Giovanni Toti; il nostro ilare presidente di Regione Liguria, prestato alla politica da Mediaset. Che se la ride mentre l’ente da lui presieduto indossa la maglia nera per come affronta la catastrofe mortale del Coronavirus.
Primo indizio: dopo essere stato fervido sostenitore del nuovo governo (fino a quando non ha ricevuto in cambio poltrone ministeriali), ora arriva alla blasfemia di inveire contro sua Santità Mario Draghi, reo di non “cambiare passo” (alla stregua di un Giuseppe Conte qualunque) in materia di chiusure di luoghi pubblici; calpestando gli interessi di quanti – sulla scia della Confindustria di Bonomi e Guzzini (il presidente degli industriali di Macerata che esortava ad aprire tutto infischiandosene se ci scappano i morti) – pretenderebbe di anteporre il sacro diritto economico al divieto di contagiare. Un attacco – in quanto vice presidente di Conferenza delle Regioni – che lo ha perfino portato in rotta di collisione con il suo alleato Stefano Bonaccini, renziano sotto mentite spoglie e presidente della Conferenza. Secondo indizio: si chiudano a piacere le scuole ma non si tocchi un focolaio di infezioni come il festival di San Remo, lisciando il pelo a chi rifiuta qualsivoglia disciplinamento che antepone il bene comune al capriccio individuale. Ma suscitando lo sdegno di uno studente spezzino diciottenne, che gli ha indirizzato una lettera aperta apparsa sul Secolo XIX e Il Fatto Quotidiano: chiudere la scuola “è andare alla ricerca di un capro espiatorio per i propri fallimenti”. Ultimo, ma non certo ultimo, l’attacco permanente a quanto sopravvive – di un paesaggio che fu straordinario – all’azione distruttiva di speculatori e di politici reggicoda; creando ulteriori opportunità di cementificazione: dal parco di Portofino all’isola di Palmaria, dall’Aveto al Beigua. Spie della volontà di cavalcare la condiscendenza ipocrita; il più spudorato lassismo.
La prova ricavata è lo smascheramento del costante lavorio – fatto di favori indebiti e strizzatine d’occhi ammiccanti – per aggregare quanto una Sinistra d’altri tempi avrebbe definito “un blocco sociale”. Allora si trattava di alleanze strategiche tra aristocrazie del lavoro e borghesie imprenditoriali, di operai del Nord e braccianti al Sud. Ora è soltanto un aggregato di avidità e menefreghismo che, nelle intenzione del pericoloso giuggiolone alla presidenza ligure, dovrebbe garantirgli l’ingombrante e incongrua posizione di country-boss per i tempi a venire. E saccheggi da legittimare.
La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti
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FATTI DI LIGURIA
Rigenerazione urbana: fatta la legge trovato l’inganno (per speculare)
Il consumo di suolo avviene, in Liguria, anche grazie a leggi regionali che, stando al loro enunciato, dovrebbero combatterlo. Lo dimostra l’approvazione, da parte del Comune della Spezia, del progetto presentato dai privati per la demolizione delle casupole e degli orti del Borgo Baceo, nella parte terminale del Parco della Maggiolina, e per la realizzazione al loro posto di due palazzoni di otto piani e di una di cinque. L’area è degradata, ma è comunque l’ultima testimonianza del passato agricolo della piana di Migliarina, nel cuore della città: un’area di pregio che andrebbe recuperata, non cancellata. Un moderato completamento edilizio, per esempio, potrebbe essere di supporto al suo recupero, connesso al tema della ruralità urbana e a quello del completamento del Parco.
Il progetto immobiliare è stato approvato in quanto opera in attuazione della legge regionale di “rigenerazione urbana e recupero del territorio agricolo” (n. 23, 2018). La legge, votata da tutti tranne il M5S, prevede la possibilità per i Comuni di individuare aree di degrado da rigenerare e apre al contributo del privato nella formulazione delle proposte. Astrattamente questi enunciati sembrano un passo in avanti verso il miglioramento delle condizioni delle parti di città abbandonate. Tuttavia nella legge si nasconde un vero e proprio “cavallo di troia”, che la trasforma, nella realtà, in un ulteriore strumento di delegittimazione della pianificazione e del ruolo del pubblico e di deroga alle regole. Il privato può infatti proporre interventi anche in variante al Piano Urbanistico Comunale: come è accaduto alla Spezia, dove il privato ha proposto, e ottenuto, il raddoppio dell’indice di edificabilità.
La legge consente che i Comuni meno virtuosi possano scivolare facilmente nella logica del “caso per caso” lasciando fare all’ iniziativa privata, per giunta in deroga ai Piani. In questo indebolimento del ruolo del pubblico si nasconde l’ennesimo assalto della deregolazione contro la pianificazione: non essendoci che principi astratti a cui fare riferimento, chiunque può proporre un intervento speculativo per rimuovere sì condizioni di degrado, con il solo “filtro” dell’esercizio della discrezionalità da parte del Comune.
Lo stesso spirito caratterizza la legge in materia della Regione Lombardia (n. 18, 2019). Ma il TAR lombardo, con la sentenza 371/2021, si è rivolto alla Corte Costituzionale: perché la legge impedisce ai Comuni una coerente pianificazione e perché contrasta con le stesse prescrizioni regionali sulla riduzione del consumo di suolo. La pronuncia della Corte sarà dunque utile anche per noi liguri.
Intanto alla Spezia molti cittadini si sono mobilitati a difesa del Borgo Baceo. Non solo: la Soprintendenza ha annunciato che attiverà la procedura di Verifica di interesse culturale e ha criticato il progetto per la mancanza della necessaria ricognizione del patrimonio culturale, storico, paesaggistico, archeologico e per le sue “molteplici criticità”, che dovranno essere analizzate “al fine di sviluppare una soluzione progettuale adeguata alla necessità di tutela culturale e paesaggistica dei luoghi”. Ora è ineludibile la Valutazione Ambientale Strategica (VAS): sarà la sede in cui tutti gli enti e i soggetti interessati dovranno ricercare la “soluzione progettuale adeguata”.
Grazie ai movimenti dal basso e all’apporto di alcuni livelli istituzionali la speculazione e la deregolazione potrebbero, per una volta, non averla vinta.
GP
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FATTI DI LIGURIA
Difendiamo le pubbliche assistenze e il mutualismo dal basso
Le Pubbliche Assistenze svolgono da sempre un importante ruolo di assistenza mutualistica dal basso. Lo svolgono oggi più che mai, in un’epoca di aumento delle povertà e di tagli al welfare pubblico. Consideriamo, per esempio, le attività svolte dalla Pubblica Assistenza alla Spezia nel 2020. Ecco alcuni dati: acquisto e consegna di 2.200 spese a famiglie in stato di necessità; consegna di venti cene al giorno a persone anziane in difficoltà; consegna ad anziani in stato di bisogno di 400 forniture di medicinali; 400 servizi di assistenza a persone senza fissa dimora con consegna di pasti caldi e coperte; consegna quotidiana di generi alimentari alle mense dei poveri; una volta al mese somministrazione in sede di un pranzo a venti persone in difficoltà; realizzazione di doposcuola per agevolare l’integrazione di bambini in età scolare primaria; 4.300 trasporti sanitari urgenti e 4.500 non urgenti; 700 funerali. Conosco bene l’analoga attività della Pubblica Assistenza di Lerici, e so di quella delle altre Pubbliche Assistenze liguri.
Ebbene, tutto ciò è a forte rischio, a causa di una sciagurata legge della Regione Liguria, la n. 15/2020 del 10 luglio, che ha abrogato la normativa precedente, risalente al 2007.
L’articolo 6 della nuova legge ha stabilito che “l’attività funebre è consentita unicamente a ditte individuali o società di persone o di capitali che abbiano la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività)”. Le Aziende per i Servizi alla Persona come le Pubbliche Assistenze sono pertanto escluse dalla possibilità di esercitare le onoranze funebri, che hanno svolto con serietà e a condizioni di mercato fin dalla fondazione (alla Spezia dal 1889). E’ evidente che senza gli utili derivanti dai funerali le Pubbliche Assistenze non possono svolgere le altre attività di solidarietà sociale, con pesanti ricadute sui cittadini.
Lo scopo della legge è stato ben evidenziato in un parere di Alisa: favorire l’imprenditoria privata funebre ed “evitare la concorrenza di soggetti non profit che godono di trattamenti fiscali e normative particolarmente favorevoli”. Peccato che questi “trattamenti” e “normative” non esistano: le Pubbliche Assistenze versano le tasse nella loro completezza, non scaricano l’IVA e hanno maggiore difficoltà negli acquisti dovendo sempre svolgere gare; e non beneficiano di alcun finanziamento pubblico.
La Liguria è un caso unico: è la sola Regione che ha emanato una legge di tal fatta. Tra l’altro la Corte Costituzionale ha ritenuto la materia di competenza nazionale, non regionale. In attesa di una nuova normativa nazionale, è bene che la nostra Regione modifichi la sua legge. Lo hanno proposto le opposizioni, lo chiede un ampio fronte sociale che si batte per la solidarietà.
La crisi sociale, acuita dalla pandemia, ci richiede di reimmaginare tutto.
La società si sta ulteriormente disarticolando, la distanza tra primi e ultimi sta aumentando, e c’è un grande rimescolamento sociale. Il Censis parla di cinque milioni di precari, che “hanno finito per inabissarsi senza rumore” (l’espressione mette i brividi). I primi sono sempre più esclusivi e chiusi, gli ultimi sono sempre più numerosi e dimenticati. Gli anziani soffrono sempre più di solitudine e di isolamento sociale.
Serve un grande progetto che ripensi il welfare, basato anche sulla riscoperta e la valorizzazione delle esperienze e degli esempi del mutualismo e dell’organizzazione del movimento operaio ai suoi albori nell’Ottocento. Non si tratta di ferrivecchi, ma di strumenti utili da mettere a verifica nella pratica solidale dell’oggi.
GP
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FATTI DI LIGURIA
Del “modello Genova”
Più si allontana nel tempo l’immagine del nuovo ponte sul Polcevera, più si affievolisce la giustificata emozione che si è accompagnata alla sua inaugurazione; tanto più sbiadito, opaco, se non addirittura imbarazzante è divenuto il richiamo al ‘modello Genova’, elevato al rango di mito.
Ogni mito – è noto – serve soprattutto a rassicurare circa la non ripetibilità di quanto da esso rappresentato, nel bene come nel male.
Il mito del ‘modello Genova’ serve ormai a richiamare l’attesa di un evento miracoloso e irripetibile: la palingenesi dell’altro, quanto diverso, sistema. Quello dei pubblici appalti.
Infatti il ‘sistema’ degli appalti pubblici si contrappone radicalmente a quello che ha assunto il nome della nostra città, in genere legato a eventi luttuosi o deprimenti.
Il primo, il sistema degli appalti pubblici, si rivela soprattutto per la propria paradossale a-sistematicità. Farraginoso e burocratico accumularsi di provvedimenti presi sulla spinta di esigenze ‘politiche’ contingenti, quel complesso normativo è il frutto – malato – di un’esigenza reale: contrastare la criminalità organizzata che negli appalti pubblici, grazie alla corruzione, ha visto e continua a vedere la principale fonte di guadagni illeciti. L’idea è che lo strumento normativo valga di per sé a combattere quel fenomeno.
Accade in realtà che proprio dalla complessità formale e farraginosa di quell’insieme eterogeneo di norme, destinate a combatterla, la criminalità organizzata riesca a trarre paradossali vantaggi.
L’ANAC, che sotto la guida del buon Raffaele Cantone sembrava indirizzata a mettere al sicuro gli appalti dagli attacchi famelici delle mafie e della corruzione, è oggi in manifesto stato di crisi; se non sul punto di gettare la spugna.
La politica, come noto, ha le sue gatte da pelare, mentre la PA rimane in perenne attesa di una riforma che nessuno sembra in grado di immaginare.
Rispetto a questa situazione, la realizzazione in tempi brevissimi del Ponte di Genova sembra non solo un miracolo tecnologico, ma – soprattutto – un miracolo del ‘saper fare‘ italiano , i cui successi all’estero non sono in genere riscontrabili in patria.
Il ‘miracolo’ genovese è stato – lo sappiamo – il convergere irripetibile di alcune circostanze: una situazione altamente drammatica e senza precedenti; il ‘saper fare’ italiano messosi a disposizione per intervenire nelle sue forme private come in quelle pubbliche; la disponibilità di una tecnologia d’avanguardia e di mezzi finanziari apparentemente illimitati; la assoluta prevalenza accordata alla necessità di realizzare l’opera nei tempi più brevi; la scelta – imposta da circostanze straordinarie – di scavalcare senza esitazione la normativa ordinaria in favore della più agile normativa europea.
Questo complesso di circostanze non può divenire ‘sistema’ o modello da replicare nell’ordinario.
I miracoli , proprio perché tali, non fanno ‘sistema’, anche se molti in Italia sembrano convinti del contrario.
L’ordinario è molto più complicato e difficile da affrontare.
Un insieme di norme, anche il più perfetto, non può supplire all’azione – o all’inerzia – di chi deve applicarle, farle rispettare e soprattutto rispettarle. La legge non offre mai un rifugio a chi sfugge dalla responsabilità e da quella che gli anglosassoni chiamano accountability; con un termine non a caso intraducibile nella nostra lingua.
La responsabilità riguarda i risultati che una comunità richiede vengano realizzati da chi è investito di funzioni pubbliche o comunque di interesse generale. L’accountability richiede che i processi o i procedimenti attuati per il conseguimento di quei fini o di quei risultati siano – in ogni momento – trasparenti, accessibili , verificabili.
La strada della responsabilità, come quella dell’accountability è difficile, impervia, spesso avara di soddisfazioni, ma deve a tutti i costi essere percorsa , se si vuole evitare di affidarsi ai miracoli.
O alle tragedie.
MM
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FATTI DI LIGURIA
Nuova diga foranea per il porto di Genova: un progetto sbagliato (seconda parte)
Saldo del documento redatto da Andrea Agostini e Giovanni Spalla, presentato il 25.01.2021:
«Circa la viabilità cittadina va realizzato il raddoppio della A7 e il completamento della strada a mare da Multedo alla Foce con il tunnel Multedo-Guido Rossa e il tunnel sub-portuale. Questo porterà a una riduzione del traffico significativa. Inutile, anzi deleteria, la Gronda di Ponente che concentrando il traffico pesante al casello di Ge-Ovest renderà sottoutilizzato il costruendo ingresso di Ponente del porto; la cui realizzazione si dà per scontata nel Dossier Diga, nel quale tale infrastruttura viene assunta come giustificazione trasportistica della nuova diga foranea. Quando non c’è ancora ad oggi su questa infrastruttura impattante e devastante del paesaggio collinare un’approvazione formale da parte dei ministeri competenti e del governo. Né un’attendibile valutazione ambientale strategica. Contrariamente alle affermazioni del Dossier Diga, affermiamo che detto progetto di mega-diga, cosi come proposto nella sua nuda struttura edilizia lineare, è funzionale agli interessi di un ristretto gruppo economico, non solo di imprenditori e terminalisti locali e nazionali, ma in larga prevalenza di imprese internazionali ben distanti dagli interessi economici, occupazionali ed ambientali della città.
Infatti, l’intervento della nuova diga, pur prevedendo anche un imbocco di 150 metri alla foce del Polcevera, serve per ora soprattutto il terminal di Bettolo e non arriva a coprire più del 60% dei bacini di Sampierdarena. Le grandi navi alte 60 metri e oltre possono accedere solo alle banchine che vanno da calata Bettolo a calata Massaua, che dovrebbero essere dotate di gru semoventi di carico e scarico dei contenitori. Anche queste sono compatibili con il cono aereo? Come parrebbe dal Dossier Diga e come hanno affermato gli specialisti nel corso del Dibattito Pubblico.
Inoltre, tutte le darsene di tali bacini tendono ad essere tombate, essendo stati previsti accosti alle banchine disposte in parallelo all’asse del nuovo canale centrale, come risulta dal vigente Piano Regolatore Portuale del 2015; e come viene visualizzato nel Dossier Diga. Questa visione politico-tecnologica è protesa verso priorità di tipo commerciale ed economico-finanziarie, non cancellando la possibile rilocalizazzazione di numerosi insediamenti a rischio per la città (vedi le riparazioni navali, i depositi petroliferi, i depositi GPL, il depuratore della città, l’aeroporto, il porto petroli, i depositi petroliferi costieri, la Superba, la Carmagnani, calata Oli Minerali). Tutte strutture a rischio incidenti rilevanti e ambientali , che potrebbero trovare posto in sicurezza sui possibili spazi a ridosso della nuova diga. Per esempio gli impianti di riparazione navale, in quanto producono inquinamento da metalli pesanti, sono collocati in tutta Europa a circa 1500 metri dalle prime abitazioni e ad almeno 5000 metri dai centri densamente abitati ( in base al RE 1257/2013 e alle LG/IMO recepite dal nostro ordinamento 2019).
E’ nostra convinzione che un progetto di diga così ampio e costoso possa essere occasione per restituire alla città spazi sul mare e allontanare gli insediamenti a rischio incidenti e/o ambientale che ancora oggi insistono su spazi troppo vicini alle case o in luoghi inopportuni. Ciò è possibile anche sulla base dei risultati di ricerche progettuali universitarie prodotte dal Dipartimento di Idraulica (Facoltà di Ingegneria di Genova) a cominciare dal Contratto di Ricerca tra DICAT e l’Autorità Portuale di Genova 2006 /2011. Tale ricerca ha destinato aree urbane e portuali per l’istituzione, a titolo d’esempio, del Parco della Lanterna, di una Nuova Stazione Marittima a Calata Sanità, del Parco delle Mura delle Grazie esteso da piazza Cavour a punta Vagno, il Nuovo Quartiere Nautico della Fiera, del Parco di Villa Bombrini esteso alla sua dimensione storica, del parco del litorale di Voltri, della pedonalizzazione dell’ arco del Centro Storico da Palazzo del Principe a piazza Cavour e a Porta della Marina, rimessa in luce la parte rimasta interrata. Con la previsione di demolire la sopraelevata, il cui traffico di attraversamento sarà deviato dal tunnel sottomarino, come previsto dal PUC vigente.
Il modello che proponiamo è quello di localizzare una diga/piattaforma, costituita da una piastra di 400 metri di larghezza addossata alla diga dalla parte verso terra, in una prima fase, davanti al bacino di Sampierdarena e Bettolo, in una seconda e terza fase davanti all’aeroporto e al porto di Voltri. L’intento è quello di avere un sistema lineare di dighe/ piattaforma che definisca uno spazio acqueo continuo protetto, da Voltri al porto di Levante. Un sistema di aree destinate alla ricollocazione di insediamenti a rischio o incompatibili con quelli urbani, tra cui l’attuale area aeroportuale. La nostra finalità è ottenere un vantaggio evidente per tutta la città, non solo per poche imprese, che convinca il governo a finanziarla a vantaggio di tutta la popolazione.
Per cui riteniamo che la proposta della Autorità Portuale vada riformulata secondo il metodo del confronto tra alternative, soprattutto lo studio prodotto dalla nostra Università, con obiettivi multipli che non siano solo ridotti a manovra e accesso allo scalo. Obiettivi tecnici che sono una doverosa premessa, ma non devono limitarsi alla sola movimentazione delle grandi navi. In una prospettiva di sostenibilità della Città/Porto».
Andrea Agostini e Giovanni Spalla
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FATTI DI LIGURIA
Didattica a Distanza (DAD), inferno (temporaneo?) per docenti e studenti
La DAD, strumento necessario ma devastante dal punto di vista didattico.
La DAD ha evidenziato e moltiplicato in maniera esponenziale i problemi che la scuola si portava avanti da anni; uno su tutti il numero importante di alunni per classe: 27-30. Nulla è stato fatto durante l’estate per cambiare lo stato delle cose, l’unica soluzione è stata spendere 119 milioni di euro per acquistare i banchi a rotelle. Se lo scoppio della pandemia ha colto tutti impreparati, ora la mancanza di interventi non è più giustificata. Dei problemi degli alunni ho già parlato la volta scorsa. Tanto è vero che in Liguria i nostri ragazzi e ragazze stanno manifestando per tornare alla scuola in presenza. Vediamo ora di affrontare il problema dal punto di vista dei docenti, emersi da una raccolta di opinioni sul campo.
La mancanza di risorse della scuola fa si che gli insegnanti debbano usare il loro computer personale. Gli istituti hanno a disposizione solo alcuni PC, non sufficienti per tutti. I docenti sprovvisti hanno potuto acquistarli per mezzo del bonus a loro dedicato, ma sono comunque di loro proprietà . Si recano a scuola e svolgono le lezioni in aula con al massimo uno o due studenti che necessitano della presenza. Questo implica che la rete internet della scuola a volte non riesca a sopportare il carico dei computer collegati, con i conseguenti problemi dovuti alla caduta della linea. Gli insegnanti hanno dovuto reinventarsi e cercare di adeguarsi al nuovo strumento di insegnamento. Solo ora sono stati istituiti dei corsi per il personale docente al fine di aiutarlo a gestire e affrontare al meglio le lezioni on line. Mancando il contatto, gli insegnanti devono coinvolgere gli studenti cercando di rendere le lezioni interessanti per catturare l’attenzione dei ragazzi. Questo implica un grande lavoro di preparazione che non deve lasciare nulla al caso per evitare distrazioni. Altro problema della DAD sono le verifiche. Gli studenti possono avvalersi di supporti e aiuti che nella didattica in presenza non avrebbero e che ne falsano il risultato. Insomma, la DAD è piombata sulle nostre teste con la velocità di un fulmine e la violenza di una ghigliottina Un cambiamento talmente veloce e repentino che facciamo fatica a gestire. Partendo dal presupposto che l’Italia non era e non è pronta per questo cambiamento epocale, speriamo che la Didattica a Distanza rimanga soltanto un tampone per l’emergenza.
MF
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FATTI DI LIGURIA
Sanità ligure: l’indifferenza verso la gente
Con la legge 502 del 1992 (e 517 del 1993), le Unita Sanitarie Locali (USL) sono diventate Aziende Sanitarie Locali (ASL): questo cambiamento di nome, non è casuale né indifferente. Dimostra infatti una sorta di rivoluzione copernicana dove, ope legis, l’interesse del cittadino è manifestamente considerato inferiore al concetto di azienda. Con tanto di personalità giuridica e autonomia imprenditoriale. E come recita il codice civile un’azienda (leggi società) deve essere gestita “a scopo di lucro”: l’amministratore che non seguisse questo principio potrebbe essere a buon diritto perseguito dai “soci” azionisti, siano essi privati o enti. In soldoni, la sanità pubblica, invece di essere al servizio del cittadino, come suo diritto inalienabile, è sottoposta a tanto di bilanci, di collegio sindacale e di gestione finanziaria. La quale, con spirito imprenditoriale, ha sviluppato in questi anni un’attenzione verso quelle malattie che hanno più importanti riflessi economici, come i tumori e i disturbi cardio vascolari. Salvo poi trovarsi in difficoltà mostruose quando arriva un’influenza, che come malattia è poco remunerabile, come quella attuale, il Covid-19. E in una regione come la nostra, dove in generale l’interesse aziendale è superiore a quello dei cittadini-lavoratori, questo fenomeno non può che diventare macroscopico. Ne è prova recente il disastroso ritardo nella somministrazione dei vaccini, dove la Liguria eccelle per ignavia e incapacità. Ma è prova ancora maggiore di questa indifferenza verso le esigenze della gente, la lettura di alcune voci del bilancio sintetico previsionale 2021-2023. Sull’assetto del territorio si passa da 38 a 5 milioni di interventi, per le politiche giovanili sport e tempo libero da 1,5 milioni a mezzo milione, per lo sviluppo economico e competitività da 168 e 5 milioni (!) e per il soccorso civile (che pure in tempi di emergenza dovrebbe essere incrementato) da 28 a 8 milioni. Però diminuiscono i debiti, da 292 a 56 milioni. Un gestione aziendale ottima, sotto l’aspetto finanziario, come quando una società licenzia mille persone e il titolo in borsa vola in alto per la gioia degli azionisti. Peccato che a fare le spese di tutto questo siamo noi. Chi ha votato in un certo modo, almeno sappia come viene gestito il suo denaro.
CAM
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FATTI DI LIGURIA
Discriminazioni di genere nella ricerca scientifica
Per gentile concessione di Data Manager
In Italia, persiste una immutata preponderanza di uomini che si trovano in posizioni dirigenziali nel settore dell’information technology, in tutte le sue varie diramazioni. Il quadro non cambia, o cambia solo lievemente, in Europa. Se non per motivi etici e di giustizia distributiva, ragioni strettamente economiche richiedono un drastico e tempestivo cambiamento di rotta.
Il Gender Equality Index 2019 afferma che l’ampia sotto-rappresentanza delle donne in settori come l’ICT corrisponde a un grande spreco di risorse umane altamente qualificate e di potenziale economico (EIGE, 2018d). La riduzione della segregazione di genere nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM) aumenterebbe il PIL nell’UE di circa 820 miliardi di euro e creerebbe fino a 1,2 milioni di posti di lavoro in più entro il 2050 (EIGE, 2017a).
Il Gender Equality Report 2020, appena pubblicato, è ancor più puntualmente dedicato ai nostri temi: Digitalisation and the future of work, e Gendered patterns in use of new technologies.
Nonostante la crescita complessiva e l’elevata domanda di competenze relative sul mercato del lavoro, solo il 20% dei laureati nei settori correlati sono donne e la quota di donne nei posti di lavoro ICT è del 18% (una diminuzione di 4 punti percentuali rispetto al 2010!). Secondo l’Index 2020, esiste inoltre un notevole divario di genere tra i ricercatori e gli ingegneri nei settori ad alta tecnologia che potrebbero essere mobilitati nella progettazione e nello sviluppo di nuove tecnologie digitali – il potenziale non sfruttato delle ricercatrici di talento. Riportiamo brevemente alcune proposte dell’European Institute for Gender Equality, responsabile del citato Index:
- Poiché le donne corrono un rischio leggermente maggiore degli uomini di essere sostituite nei loro posti di lavoro (per es. nei lavori d’ufficio) da sistemi digitali e i nuovi posti di lavoro emergenti sono spesso concentrati nei settori delle ICT e delle STEM, dominati dagli uomini, occorre promuovere la parità, per esempio, migliorando le competenze di alcuni lavori svolti per lo più da donne;
- Dato l’emergere di nuove funzioni e nuove professionalità, occorre eliminare gli stereotipi e i gender bias dalla valutazione dei risultati del lavoro e soprattutto eliminarli dagli impieghi nella platform economy;
- È indispensabile assicurare social protection alle lavoratrici autonome che si occupano di platform economy. Circa la metà delle madri che esercitano un’attività autonoma non ha infatti diritto a prestazioni di maternità nell’UE e l’accesso al congedo parentale è limitato in alcuni Stati membri.
La mancanza di protezione sociale è diventata particolarmente problematica durante la crisi COVID-19, che ha evidenziato l’importanza dell’accesso, per esempio, alle indennità di disoccupazione e alle indennità di malattia. Quindi, secondo l’Index, la platform economy così accresciuta a causa del COVID-19, difficilmente porterà a un miglioramento delle misure di social protection per le donne, senza un forte impegno a promuovere misure specifiche per sostenere l’equilibrio tra lavoro e vita privata, quest’ultima a carico soprattutto delle donne.
E in Liguria? Stando ai dati forniti dall’Istituto Italiano di Tecnologie di Morego (IIT) dalle nostre parti le cose sembrerebbero andare meglio. Infatti su un personale di 1.800 unità, di età media 35 anni e provenienti da sessanta Paesi, il personale tecnico-scientifico (compresi i PhD Student) è circa l’80%; di cui il 50% proveniente dall’estero e con un 18% di italiani in rientro. La percentuale di presenze femminile è il 42%. Una dato veramente in contro-tendenza. Peccato la condizione di lavoratori/lavoratrici precari/e che affligge tutte queste persone.
Gianmarco Veruggio, Senior Research CNR-IEIIT
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FATTI DI LIGURIA
Non solo cemento. Costruiamo la Liguria del futuro con il Next Generation Eu
Chissà se Mario Draghi, impegnato nella predisposizione dei piani da presentare in Europa per accedere ai miliardi di Next Generation Eu, sarà capace di compiere il salto di paradigma politico oggi necessario: la riscoperta del valore dei processi trasformativi dal basso, la scelta come unità di azione degli ecosistemi locali, nel quadro di un disegno nazionale. Per tenere unite economia e società. Altrettanto importante è che, nei territori, si mobilitino intelligenze e sensibilità all’altezza delle sfide che ci pone l’Unione europea. Non pare che ciò stia accadendo in Liguria. E’ certamente positivo che sia stata costituita, nell’ambito del Consiglio Regionale, una Commissione permanente in materia. Un soggetto istituzionale che dovrà coinvolgere non solo l’opposizione ma anche le forze sociali e la società civile.
Non convince, però, l’approccio della Giunta Regionale. Da quanto si è letto, la Regione Liguria intende chiedere 23 miliardi su 209 disponibili: l’11% del totale! Troppi, decisamente. E senza priorità. O meglio, con un’unica priorità: le infrastrutture (77,7%). Ovviamente anche le infrastrutture servono. Ma non tutte, come ha osservato Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria: “Nella lista delle opere approvate in Giunta Regionale ci sono aspetti positivi, in particolare per il raddoppio ferroviario Genova Ventimiglia, la Pontremolese, la ciclovia tirrenica, altre opere infrastrutturali stradali risultano invece invasive e potenzialmente dannose e impattanti per il dissesto idrogeologico ed il consumo di suolo e sottosuolo”.
Soprattutto non si vive di sole infrastrutture. Non lo sostengono solo le associazioni ambientaliste, ma anche i sindacati. Affermano i segretari regionali di CGIL-CISL-UIL: “L’unica cosa certa è che ci sono cinque linee di finanziamento (digitalizzazione e innovazione, sanità e salute, infrastrutture per la mobilità, istruzione, formazione e ricerca e green economy) e la Giunta Regionale scommette tutto solo sulle infrastrutture, tema per noi fondamentale ma non esaustivo, non lasciando intravedere un’idea complessiva di sviluppo per il nostro territorio”.
Ecco il punto: manca un’idea complessiva. Una strategia per la Liguria del futuro.
Di transizione ecologica del nostro modello di sviluppo non c’è traccia. A fronte di un 37% minimo richiesto dall’Unione europea, nella lista della spesa del Presidente Toti il “green” quasi scompare: nel capitolo “rivoluzione verde e transizione ecologica” ci sono progetti per appena 1,3 miliardi (tra cui quello di un inceneritore dei rifiuti!).
Nel capitolo della sanità, non c’è quasi nulla su quella di prossimità, o territoriale: per rimediare alla vera, grande lacuna emersa con l’emergenza Covid-19.
La musica non cambia se guardiamo al capitolo “istruzione”: solo edilizia. Tra l’altro colpisce non ci sia nulla per gli asili nido, indispensabili sia per consentire alle madri un lavoro sia per migliorare le opportunità di chi nasce in famiglie non benestanti.
Dovremmo, secondo l’Unione europea, trasformare il nostro sistema economico e sociale. Ma Toti punta ancora tutto sullo schema visto troppe volte: sul cemento. Spera che i liguri, sfiniti dall’attesa e silenziati dalla pandemia, non abbiano più la forza di dire nulla. Ma non rassegniamoci. Può non finire così. Un solo esempio: un gruppo di giovani, dell’associazione “Genova che osa”, ha presentato una proposta di piano in sette punti, cinque miliardi da utilizzare contro le diseguaglianze. Come sempre, dipende anche e soprattutto da ognuno di noi. A redimere la Liguria e la politica tocca a ognuno di noi, con spirito eretico e capacità di re-immaginare.
GP
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FATTI DI LIGURIA
Le guerre buffe dei terminalisti del porto di Genova
La notizia dal Secolo XIX: «I sindacati hanno confermato lo stop dichiarato in risposta alla lettera consegnata (anche se a mano e non protocollata) dei terminalisti al presidente dell’Autorità di sistema portuale in cui si diffida e mette in mora l’Adsp per non avere vigilato sulle azioni della Culmv, comprese le richieste di adeguamenti tariffari ai terminalisti, circa 8 milioni di euro dal 2013 ad oggi, che – è scritto – le aziende potrebbero chiedere indietro come risarcimento danni».
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C’è qualcosa di ridicolo – se la vicenda non cadesse nel contesto tragicamente stabile della pandemia – nel nuovo conflitto che ha infiammato, per così dire, il sempre precario rapporto tra portuali e terminalisti genovesi, addirittura cogliendo di sorpresa il Presidente dell’Autorità Portuale. Il ridicolo è costituito da quella lettera con cui i terminalisti ( entità di per se stessa molto difficile da identificare nelle sue articolazioni, nei dissidi e anche nelle faide interne che da sempre la caratterizzano ) hanno voluto denunziare l’accordo che, benedetto dall’Autorità Portuale, avrebbe dovuto seppellire l’ascia di guerra tra i due storici contendenti.
Quella lettera – si legge – non sarebbe stata consegnata formalmente al Presidente dell’Autorità Portuale, né – di conseguenza – debitamente ‘protocollata’.
Nell’ambito di una struttura burocratica, è noto, ciò che non viene ‘protocollato’ non esiste, né giuridicamente, né di fatto, non potendosi conoscere i contenuti esatti del documento, la sua natura, i nomi dei firmatari che se ne assumono la responsabilità.
Quella lettera che non esiste – dunque – sarebbe stata ‘mostrata’ e forse addirittura letta allo sbigottito Presidente, senza peraltro divenire ufficiale. Mai ‘protocollata’, appunto.
Difficile sfuggire al senso di ridicolo di fronte alla scena: il presidente dei terminalisti che. giustamente imbarazzato, sventola davanti all’allibito Signorini una non meglio precisata ‘denunzia’ dell’accordo che da alcuni anni ormai, e con soddisfazione di entrambi, sembrava regolare il rapporto tra le due componenti principali dello scalo genovese, che proprio su quella difficile sintonia fonda la propria vitalità.
Una lettera-non-lettera, seguita – secondo la tecnica così familiare della commedia dell’arte – dalle blande esortazioni delle autorità ( Sindaco, Presidente della Regione ) , dalle rituali prese di posizione da parte del mondo del lavoro , dall’indizione di uno sciopero pressoché simbolico, mentre i ‘ tavoli’ di confronto con i privati, sulla base dell’accordo ‘forse’ denunciato ma ‘forse’ no, proseguono come niente fosse successo: e, in realtà, nulla sembra essere successo.
Proprio su questo eterno accadere del nulla si trascina la vita del nostro porto e della nostra città, sempre pronta ad uniformarsi a quella che sembra essere la migliore tradizione italiana: quella della commedia dell’arte.
MM
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FATTI DI LIGURIA
Nuova diga foranea per il porto di Genova: un progetto sbagliato
Dal documento redatto da Andrea Agostini e Giovanni Spalla e presentato il 25.01.2021:
«Il dossier di “Progetto Diga” è stato predisposto da una società privata per conto dell’Autorità di Sistema Portuale di Genova, non ritenendo di affidare tale compito alla struttura interna di pianificazione: segno dello smantellamento del ruolo progettuale pubblico ai vari livelli.
Nel Dossier si scrive che le ragioni principali per costruire una nuova diga a mare della vecchia, che protegge i Bacini di Sampierdarena, Bettolo e Porto Antico, sono sostanzialmente due. Una è la “sicurezza prima di tutto” che tale barriera consentirebbe all’accesso, alla movimentazione e all’ormeggio delle grandi navi di nuova generazione lunghe 400 m e oltre; in quanto tali operazioni non sono garantite dall’attuale configurazione del nostro porto, non in grado di accogliere navi superiori a una lunghezza di 300 metri. L’altra è basata sul fatto che la nuova configurazione manterrà un ruolo di primo piano al Porto di Genova nel panorama portuale mediterraneo ed europeo. Ma tale ruolo si fonda su premesse tutte da dimostrare: siamo ancora qui ad aspettare che vengano confermate le previsioni di 10 milioni di teu che giustificherebbero l’eterna costruzione del terzo valico. La funzione principale di tale nodo dovrebbe essere quella di ridurre al massimo il trasporto merci su gomma che attraversa da anni i quartieri retrostanti il porto di Genova, perché non è accettabile che rimanga in questi rapporti: 40/% gomma, 40/% ferro e 20% transhipment. Tuttavia per ridurre il trasporto su gomma a favore del ferro bisogna far ricorso sia agli strumenti del piano urbanistico comunale e regionale, sia ad una legge nazionale e sia alle nuove tecnologie di trasporto.
La posizione dell’Autorità di Sistema Portuale e i contenuti del Dossier confermano che la nuova struttura debba essere collocata a 400 metri di distanza dai bacini di Sampierdarena e Bettolo; che si debba demolire gran parte della diga foranea esistente; che la lunghezza del canale d’accesso delle navi in entrata e uscita dal porto debba essere superiore a 2000 metri; che si tratta di navi larghe 60 metri e alte più di 60 metri; altezza di tali navi che renderà inagibile una parte consistente del Bacino di Sampierdarena a causa dei vincoli del cono aereo. Almeno fino a quando non si darà una diversa collocazione all’Aeroporto Cristoforo Colombo.
Questa scelta tipologica di una diga per navi giganti, che comporta investimenti pubblici tra 1e 1,4 mld, ignora il fatto che sulla rotta far east/mediterraneo, quando la nuova diga sarà operativa, i prevalenti vettori merci attraverseranno la linea del Polo; per la cui attivazione i cinesi e altri player orientali stanno costruendo navi dedicate, ammodernano le tecnologie e potenziano la capacità ferroviaria.
A seguito del progetto di ampliamento della diga foranea è previsto un incremento dei TEU trattati nel bacino di Sampierdarena-Porto Antico da 1.000.000 a 2.500.000 unità. Ipotesi con forti ripercussioni sulla viabilità cittadina. È indispensabile che una parte significativa (almeno il 50%) dei transiti avvenga su ferro. Per questo vanno superate le criticità del nodo ferroviario genovese».
(segue)
Andrea Agostini e Giovanni Spalla
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FATTI DI LIGURIA
Liguria, terra di ludopatici
Ludopatia: è la dipendenza comportamentale da gioco d’azzardo. Gli effetti sono devastanti: a livello personale e familiare significa spesso perdita del lavoro, distruzione economica e psicologica del nucleo domestico con atteggiamenti aggressivi, mentre per continuare a giocare si ruba in casa e fuori. Le conseguenze macroeconomiche sono altrettanto micidiali: se è vero che lo stato incassa circa dieci miliardi ogni anno, la ludopatia, malattia riconosciuta, ne fa spendere circa il doppio, fra costi diretti e indiretti: i ludopatici accertati in Italia sono 1,3 milioni ma i soggetti a rischio, secondo Istat, sono circa il doppio. E c’è ancora di peggio, se possibile, perché il gioco illegale, gestito dalle mafie, incassa oltre 20 miliardi l’anno, generando un indotto di usura e di criminalità. Ci sarebbero delle leggi che potrebbero contrastare il gioco d’azzardo e in alcune regioni, sono state messe in atto. Chi brilla per assenza è invece la regione Liguria. La legge 17 del 2012, che individua le regole per la prevenzione, sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2017, ma così non è stato. Eppure, secondo una recente indagine di Primo Canale, i dati della nostra regione sono fra i più drammatici. Queste le spese pro capite annue per abitante (compresi i bambini) per il 2019: Genova 1.330 euro, Savona 1.652, La Spezia 1.471, Imperia 1.132. Nel 2019 la spesa complessiva è stata pari a 36,4 miliardi (+16% rispetto al 2018), un terzo delle giocate complessive in Italia. Un incremento del 70% negli ultimi 4 anni. Il 60% del gioco d’azzardo complessivo si riferisce alle cosiddette macchinette mangiasoldi, che proliferano nei bar e nelle tabaccherie. Eppure, applicando la regola dei 300 metri dai luoghi sensibili (banche, scuole, ospedali) queste dispensatrici di morte personale, civile e sociale avrebbero spazio soltanto in qualche lontana periferia. La triste conclusione è che manca la volontà politica di eliminare il gioco d’azzardo da parte della maggioranza che governa, mentre tace o pigola soltanto quell’opposizione che di questa lotta dovrebbe farne invece una bandiera.
CAM
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FATTI DI LIGURIA
Dal Manifesto della sanità ligure, di cui è uno dei promotori il prof. Pierangelo Canessa
(che inizia la collaborazione a La Voce del Circolo Pertini)
Premesse.
- La Spezia è la “Cenerentola” (bella e trattata come serva) della Liguria e il Nuovo Felettino il suo Ponte Morandi, seppur non si possano quantificare le vittime.
- Il valore “Servizio Sanitario Pubblico” è per noi inderogabile, ancora di piu’ dopo la PANDEMIA con l’ esperienza disastrosa della Sanità convenzionata ai Privati ed ai suoi azionisti. Questa PANDEMIA ci ha anche fatto riflettere su quanto sia importante avere 2 ospedali.
- Il Nuovo Felettino avrebbe dovuto essere pronto per il 2020 con fondi pubblici. Regione Liguria e il suo “braccio operativo” IRE NON lo hanno permesso per motivi, a nostro avviso, illegittimi e falsi. Purtroppo IRE sta ancora gestendo il progetto della Regione e sta sperperando soldi pubblici (già oltre 500.000 Euro in consulenze e incarichi tecnici negli ultimi mesi)
La questione di politica ospedaliera in 3 punti determinanti e, per noi, non negoziabili.
- Il Nuovo Felettino deve essere totalmente a finanziamento pubblico,
al fine di non legare al privato e ai suoi azionisti la salute della Comunità Spezzina, impedendo investimenti in nuovi servizi. Secondo i recenti annunci della Regione, per la costruzione del nuovo nosocomio sarebbero necessari 264 milioni. Di questi, 178 milioni “pubblici” sembrano esserci, il restante deve essere trovato sempre tramite soluzioni pubbliche (mutui CdP / Recovery Fund o altri) e magari col “Metodo Genova e Commissario”: 5 anni sono troppi!!! E dobbiamo mandare a casa IRE, riprendendoci il ruolo di programmatori e gestori dei lavori.
- NO al Decreto Balduzzi (DM 70/2015) in Provincia della Spezia!
La Regione ha previsto (DGR 123/2020) che, per la dotazione di reparti ospedalieri nel Nuovo Felettino, si applichino i parametri del Decreto Balduzzi: Spezia e Provincia perderanno molte specialità ora presenti. I Presidi ospedalieri, con bacino di utenza di meno di 300.000 abitanti, sono dotati delle seguenti specialità: Medicina interna, Chirurgia generale, Ortopedia, Anestesia, Radiologia, Laboratorio, Emoteca, Ostetricia e Ginecologia (se prevista per numero di parti/anno), Pediatria, Cardiologia con Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (U.T.I.C.), Neurologia, Psichiatria, Oncologia, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Urologia. Perderemmo: Pneumologia, Malattie Infettive, Geriatria, Chirurgia Vascolare, Emodinamica, etc, alcune fondamentali nella Lotta al Covid!
- La destinazione del S. Bartolomeo a Sarzana : pubblico e nel pieno delle sue funzioni
Il Nuovo Felettino prevede 10 sale operatorie e oltre 500 PL. Ora è fondamentale conoscere il destino dell’ Ospedale di Sarzana, inaugurato nel 2000 su progetto anni 60. Questo ospedale necessita di manutenzione e di investimenti. Questo ospedale è luogo di lavoro e fonte economica per molte famiglie. Con 10 sale operatorie e con oltre 500 PL al Felettino, l’Ospedale di Sarzana sarà chiuso? Sarà venduto ai privati i quali chiederanno la convenzione che verrà loro data, e opereranno con soldi pubblici facendo chiudere una parte delle sale del Felettino?
La Pandemia ci ha insegnato che è meglio avere 2 ospedali pubblici e funzionanti.
Pierangelo Canessa
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