PILLOLE
Attila Cingolani: sì alle miniere in Tigullio e Val di Vara
Una società australiana ha chiesto l’autorizzazione per nuovi scavi minerari nell’entroterra del Tigullio, in particolare Val Graveglia e Val Petronio, nell’area metropolitana genovese e nella contigua Val di Vara, nella provincia della Spezia. Il ministero della transizione ecologica, guidato da Roberto Cingolani, quello stesso che sta provando a “sdoganare” l’uso dell’energia nucleare, ha purtroppo concesso le autorizzazioni necessarie, nonostante il parere contrario delle comunità locali e dei Comuni interessati, e nell’assordante silenzio della Regione Liguria. Le autorizzazioni sono per ricerca di minerali, ma si teme che dietro questa scusa si possa celare un piano per nuove attività estrattive a forte impatto ambientale in un territorio delicato e facilmente devastabile.
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FantaFestival e giochi politici.
Incontri ravvicinati nel retropalco del Festival di Sanremo, non solo canzonette e lustrini. Toti incontra Renzi per accelerare sulla nascita di un nuovo partito centrista. Toti incontra Biancheri, Sindaco di Sanremo, dopo avergli preferito Scajola nella recente competizione provinciale in cui il Sindaco imperiese ha prevalso su quello sanremese, rimasto congelato. Ora in fase di disgelo. Biancheri, in cerca di una collocazione dopo avere guardato a destra e sinistra, incontra Renzi e guarda con interesse Italia Viva e Cambiamo in una ottica di grande centro. A Sanremo tutto un gioco, tra FantaFestival e politica. Quindi, come diceva quel tale, effettivamente “sono solo canzonette”. E senza dubbio si riferiva a Toti, Renzi e Biancheri (oltre a Scajola).
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Maneggi nel porto di Genova: ci risiamo, Rina e Signorini?
Il TAR ha annullato il decreto commissariale del Presidente dell’Autorità portuale Signorini che attribuiva a Rina Consulting l’incarico di gestire l’appalto per la costruzione della nuova diga nel porto di Genova, per un investimento previsto di 1,3 mld di euro. Motivo? Le false dichiarazioni di Rina relative ai propri requisiti in questa pubblica gara. Ennesima riprova di come funziona effettivamente il “Modello Genova” per le grandi opere: fare presto e comunque, infischiandosene dei controlli ma con montagne di soldi da spendere e tanto potere arbitrario per farlo. E se Rina Consulting non presenta per tempo i bilanci richiesti, la faccenda la sana l’Autorità portuale acquisendoli successivamente d’ufficio. Pensa te, a fase di verifica conclusa. | ![]() |
EDITORIALI
Comunali genovesi e spezzine. Dopo il terremoto nazionale, il solito stallo?
Prossimamente sulle scene liguri sono in arrivo due scadenze amministrative molto importanti, che riguardano i consigli comunali di Genova e La Spezia. Il primo test degli equilibri locali, ad oggi appannaggio della destra di Toti e Bucci, dopo lo sfacelo nazionale nella settimana di ordinaria follia che ha portato alla riconferma di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica italiana. Vicenda con innumerevoli strascichi; sicché sarà interessante verificare quali rimbalzi hanno creato nelle periferie del sistema politico italiano. Anche per la comune valutazione che da tale vicenda nessuno è uscito bene: il centrosinistra si è ancora una volta dimostrato “indeciso a tutto”, vuoi per il nucleo di infiltrati renziani nel PD che – come al solito – remavano contro il segretario Enrico Letta proseguendo nella sua delegittimazione, vuoi per i vincoli culturali/caratteriali dello stesso Letta, geneticamente democristiano e quindi tendente all’immobilismo (il richiamo irresistibile degli “usati sicuri”); nei Cinquestelle è venuto definitivamente alla luce lo scontro tra i poltronisti e gli aspiranti riparatori di un movimento alla ricerca di una ritaratura del proprio DNA antagonista che sta sfociando in un buco nero (con Beppe Grillo a buttarla come al solito in caciara). Ancora peggio la situazione della destra, in cui i tentati allunghi di Matteo Salvini per scrollarsi di dosso l’assillante marcatura di Giorgia Meloni, lo hanno ancora una volta mandato in confusione; tanto cha la sua pretesa di recitare il ruolo di kingmaker si è ridotta in uno slapstick (la comica a torte in faccia delle vecchie pellicole del cinema muto). Mentre l’autunno del patriarca Berlusconi si rivela sempre più grottescamente imbarazzante.
Considerando l’attuale leadership destrorsa della Liguria, l’impatto nazionale che si traduce in tutti contro tutti dell’attuale maggioranza (Rixi contro Toti, Forza Italia contro Cambiamo!, il partito del Presidente della Regione, la Lega che mette i piedi nel piatto) farebbe desumere che si aprano praterie per una ben determinata azione di ricambio, che chiami all’impegno strategico per la vittoria le sparse forze dell’opposizione. L’opportunità di rinnovare drasticamente modi e risorse della politica. Purtroppo sembra proprio che prevalga la deriva suicida a ripetere gli sfracelli del recente passato; quando – al tempo delle elezioni regionali – la regia di Andrea Orlando (cui l’allora segretario PD Nicola Zingaretti aveva affidato il ruolo di proconsole ligure, a dimostrazione di quanto
poco vengano considerate a Roma le nostre sorti) si rivelò interessata soltanto alla difesa del suo personale cadreghino ministeriale. Un classico dello spezzino emigrato nella Città Eterna. Per questo ora ci si chiede se non vada cambiata drasticamente impostazione, ritirando la delega in bianco di decidere per conto dei cittadini a uno sparuto drappello di screditati professional della politica, chiamando a raccolta tutte le forze vive associate di territorio per la messa in campo di un soggetto realmente democratico, per un impegno partecipato e vincente. Ossia l’appello costituente ipotizzato dal prossimo editoriale. | ![]() |
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Le lotte democratiche per la sanità dei cittadini: svincole e sparpagliate
Sabato 15 gennaio è stata presentata la rete regionale S.O.S. Salute Pubblica Liguria, coordinamento di oltre trenta realtà e reti territoriali. La nostra news ne aveva dato notizia in anteprima, pubblicando il documento “Per un nuovo modello di sanità pubblica condivisa” nel numero del 15 novembre 2021. L’interesse dell’iniziativa sta certamente nel merito delle proposte presentate, ma anche nel metodo usato, la rete. Richiamiamo quanto scritto nel documento “Per la salute e l’ambiente ligure. Un Manifesto” (31 ottobre 2021): “La Voce del Circolo Pertini nutre solo l’ambizione di svolgere un ruolo di collegamento e circolazione delle informazioni. Al servizio del disegno di favorire la precisazione e la costituzione di un soggetto unitario, interprete della domanda di una Liguria solidale e democratica attraverso le lotte per il diritto alla salute e la difesa dell’ambiente (vorremmo aggiungere, del lavoro e della giustizia sociale). Per unire senza unificare, nelle modalità della rete civica (da parte nostra nessuno pensa a una nuova struttura partitica). Facendo rete con quelle che già operano. Per dare corpo e anima allo spettro che si aggira in questi anni – lo spettro della politica democratica di territorio – contro cui tutte le potenze di un vecchio mondo indecente, e che non vuol morire, si sono alleate in una caccia spietata”.
La rete regionale S.O. S Salute Pubblica Liguria è costituita da varie realtà e comitati locali che presidiano le criticità relative a specifici ospedali o servizi territoriali. Ospedali e servizi al collasso con personale costretto a coprire le carenze di organico, pronto soccorso chiusi o a rischio chiusura, punti nascita chiusi da anni, servizi territoriali assenti o in forte difficoltà, esami e prevenzione in ritardo, liste di attesa infinite con conseguente utilizzo per i cittadini di servizi privati o di servizi di altre Regioni: questi i problemi denunciati nel corso dell’iniziativa, che derivano da scelte sia nazionali che regionali e locali.
A livello nazionale la spesa per la sanità pubblica è solo del 7% rapportato al reddito lordo nazionale, in Gran Bretagna è dell’8%, in Francia del 9%, in Germania del 10%. A livello regionale l’amministrazione Toti ha pubblicamente dichiarato di voler privatizzare il 15% degli ospedali liguri.
A livello locale tutte le ASL, oltre a problemi specifici, ne hanno di comuni: mancanza di strutture, malfunzionamento della burocrazia, carenza di posti letto, tempi di attesa lunghi per prestazioni specialistiche, chiusura di strutture periferiche, a cui si va ad aggiungere la carenza di personale in tutti i settori. Anche i vari Direttori delle ASL portano una parte delle responsabilità.
A questi problemi si somma una carenza comunicativa ed organizzativa nella gestione della pandemiache vede una moltitudine di cittadini smarriti cercare tra mille difficoltà risposte e soluzioni alleproprie necessità sanitarie, burocratiche e lavorative.
L’iniziativa, oltre che alla denuncia, è servita a presentare buone pratiche di medicina territoriale, come quellesviluppate in Toscana, contro l’errata visione ospedalocentrica oggi dominante. Tra le tante proposte emerse, ci soffermiamo su una questione chiave, quella del come si prendono le decisioni. Vale anche per la sanità il principio: “più democrazia, meno soluzioni accentratrici e tecnicizzate”. L’accentramento delle decisioni in A.Li.Sa (Agenzia Ligure Sanitaria) e l’affidamento a strapagati manager non hanno risolto e non stanno risolvendo i problemi, sia economico-finanziari che programmatori. Il potere deve passare ad altre mani È necessario ridare un ruolo effettivo alle Conferenze dei Sindaci, aprendole all’apporto dell’attivismo civico locale. Nel nuovo modello di sanità un elemento decisivo sta nel costruire la partecipazionedelle comunità. Anche nella sanità occorre “dare corpo e anima allo spettro che si aggira in questi anni – lo spettro della politica democratica di territorio”.
La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti
Hanno scritto per noi:
Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Enzo Barnabà, Maddalena Bartolini, Giorgio Beretta, Sandro Bertagna, Pierluigi Biagioni, Pieraldo Canessa, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Battistina Dellepiane, Egildo Derchi, Marco De Silva, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Luca Gazzano, Valerio Gennaro, Antonio Gozzi, Santo Grammatico, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Giuseppe Pippo Marcenaro, Maurizio Michelini, Anna Maria Pagano, Paola Panzera, Marianna Pederzolli, Enrico Pignone, Bruno Piotti, Paolo Putrino, Bernardo Ratti, Ferruccio Sansa, Stefano Sarti, Sergio Schintu, Mauro Solari, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Gianfranco Tripodo, Gianmarco Veruggio, Moreno Veschi, Franco Zunino.
LETTERE ALLA NEWS
Pubblichiamo il comunicato che ci hanno fatto pervenire gli amici di Cittadinanza Attiva
Cittadinanzattiva Liguria ODV Tribunale per i Diritti del Malato sede LA SPEZIA – SARZANA
“Caro bollette: chiediamo ai gestori l’accoglimento delle proposte del Difensore Civico Ligure”
Condividiamo pienamente la proposta del Difensore Civico regionale dr. Francesco Lalla per far fronte al preoccupante fenomeno dell’incremento delle tariffe di gas ed energia elettrica in periodo pandemico.
Il Difensore Civico ha avanzato una serie di proposte assolutamente ragionevoli e praticabili per ridurre il carico dell’aumento delle bollette sulle famiglie: richieste ai gestori di sospendere i pagamenti delle bollette energetiche almeno fino ad aprile 2022; dilazionare il pagamento delle bollette insolute fino a 10 rate; intervenire sulle ‘voci’ che non riguardano la ‘quota energia’, cioè quella che riguarda il consumo effettivo di luce e gas all’azienda che li fornisce. Riteniamo inoltre da apprezzare lo stile del Difensore Civico nell’avanzare queste proposte; stile proprio di chi ricopre un ruolo istituzionale e terzo imparziale.
Per parte nostra, invece, non possiamo che notare alcuni aspetti critici.
Pur in questo periodo di pandemia, i gestori hanno incrementato i propri ricavi e i propri utili, quando invece le famiglie sono ancora in difficoltà. Valga l’esempio di IREN, la multiutility – “dominante” in Liguria – che gestisce il servizio idrico, la raccolta rifiuti e buona parte della somministrazione di gas ed energia elettrica.
Dalla relazione trimestrale consolidata al 30.09.2021, si evidenzia che IREN, nei primi nove mesi del 2021, ha incrementato i propri ricavi del 18,1%, con un risultato netto in aumento del 51,9%, nonostante una forte contrazione della vendita di energia elettrica e gas (ciò a conferma dell’aumento del costo delle bollette) e quindi con un utile per gli azionisti di 241 milioni di euro. In aumento (20,6%) anche il valore azionario sui mercati finanziari del titolo IREN. Valori tutti in netto aumento che consentiranno ulteriori dividendi agli azionisti, oltre a quelli già deliberati dal bilancio 2020. Senza contare la polemica, attiva sui quotidiani emiliani, in merito agli aumenti degli stipendi degli amministratori.
Ricordiamo che il “pacchetto azionario” di IREN è composto dal 45,38% di azionisti “di mercato” (sostanzialmente: finanziarie e fondi di investimento esteri), per il resto dagli enti locali emiliani, piemontesi e solo per un 18,85% dal Comune di Genova ed addirittura un misero 1,81% tra tutti i Comuni della Provincia spezzina (quei Comuni che, senza gara, hanno “svenduto” la ex municipalizzata ACAM). Facile dedurre che l’interesse pubblico alla gestione di “beni comuni” sia sottovalutato, rispetto ai forti interessi finanziari privati.
Questi sono solo alcuni degli effetti della privatizzazione dei servizi pubblici, privatizzazione contro la quale si erano pronunciati 27 milioni di italiani a giugno 2011.
Effetti che ancor di più si riverberano sui cittadini in questo periodo.
Cittadinanzattiva La Spezia – Sarzana
FATTI DI LIGURIA
Al fuoco, al fuoco
Con una cadenza ahinoi facilmente prevedibile un’altra fetta di verde urbano genovese è andata a fuoco. Inutile dire della pronta indignazione generale, la valanga di proteste e di promesse.
Vorrei sgomberare subito il campo dalle narrazioni fataliste: a Genova gli incendi del verde sono tutti e sempre indotti. Possono essere suddivisi in colposi e dolosi: il barbecue, la sigaretta, l’eliminazione di foglie e rami secchi da parchi e giardini nel primo caso, significativi interessi speculativi sui terreni o malattia mentale nel secondo.
Qualunque sia la causa del recente incendio su Monte Moro (si è parlato del rinvenimento di tre inneschi) il risultato è sempre lo stesso: tutti piangono, la polizia indaga e avanti il prossimo. E purtroppo non è una ipotesi, è una certezza. Da tempo il nostro verde urbano è nelle mani dei piromani e nessuna delle amministrazioni che si sono succedute negli ultimi decenni ha fatto nulla. Parlo dei ripetuti incendi ai pratoni di Prà, di quelli a Vesima, nell’alta val Cerusa, a Pegli due, al Righi, al Fasce, a Monte Moro, in via del Commercio e altri ancora: ettari ed ettari di verde in fumo, mai recuperato negli anni.
L’incendio di Monte Moro, il più recente, è cominciato alle 2 del mattino ed è stato spento alle 11 grazie a notevoli e costosissimi bombardamenti d’acqua dei costosissimi Canadair (c’è sempre chi ci guadagna), che però si sono potuti alzare in volo solo alle sette del mattino. Quindi cinque ore di fuoco indisturbato nella notte, nonostante l’abnegazione dei nostri pompieri e la paura dei residenti.
Il punto è che non c’è acqua, nei luoghi più a rischio incendi della città, quella cui potrebbero attaccarsi i pompieri; i quali di notte, esaurita la scorta delle autobotti restano lì impotenti.
Bisogna dire che l’attuale Amministrazione ha tentato di farsi un po’ carico della faccenda e trovati i soldi. Almeno a Monte Moro hanno cominciato a stendere i tubi. Ma si sa come vanno le cose, ci sono priorità e priorità. Sicché, fatalmente (ma neanche tanto), il fuoco è arrivato prima. Ovviamente per tutte le altre località a rischio sopra citate il nulla è una certezza.
Si vuole salvare il nostro verde urbano o solo chiacchiere?
Se si, vanno innanzitutto obbligati i proprietari dei terreni spesso ex agricoli, ma abbandonati e improduttivi (così non ci pagano le tasse…), a fare una regolare manutenzione: la legge dà ampi strumenti per intervenire in proposito. Poi l’acqua. E non intendo quella dell’acquedotto, ma quella a pressione utilizzabile solo dai pompieri per spegnere gli incendi. In alcune zone ci sono piscine private regolarmente riempite con acqua dell’acquedotto, ma non ci sono le prese per i pompieri.
In città vengono installate ovunque telecamere di sicurezza. Una telecamera a Monte Moro avrebbe segnalato l’incendio e fatto catturare l’incendiario, con un bel risparmio di risorse umane ed economiche. Facciamolo; e magari anche nei numerosi e ben noti punti per discariche abusive. Anche così si salvaguarda l’ambiente e si mette in sicurezza il territorio: più acqua, più telecamere, più ordinanze ai privati. Questa è la strada per una giusta ed efficace prevenzione.
Andrea Agostini
Genova, il porto della libertà
Ci risiamo. La coppia Burlando & Schenone, l’autorevole politico non si sa quanto ancora influente nel PD locale e nazionale, e l’imprenditore unico socio italiano rimasto nella proprietà internazionale dei terminal SECH e Pra (ex VTE) oggi fusi in PSA Italia, ci ha rivelato attraverso il Secolo XIX il “segreto” di avere pranzato di nuovo assieme per parlare del porto di Genova, stavolta con Toti e Signorini. Che cosa hanno sussurrato i due vecchi amici al giornalista per svelarci il segreto?
Andando al succo, PSA avrebbe interesse per un allargamento del terminal di Pra grazie a un allungamento della diga e a un nuovo riempimento a ponente. Offrirebbe in cambio la banchina di SECH di Calata Sanità al traffico passeggeri, in particolare a Costa Crociere che ha chiesto di avere un terminal a Genova. Proprio ieri, del resto, in una intervista a Primocanale, Danesi presidente di PSA Italia (immaginiamo d’accordo con l’azionista Schenone) ha ammesso che il terminal SECH è stato essenziale in questo periodo di Covid in cui i traffici marittimi si sono ingolfati, perché ha offerto un’alternativa all’accosto di navi altrimenti in attesa di spazio a Pra. Ma una volta superata la congiuntura pandemica, ha concluso, perché no, si potrebbe discutere della sua trasformazione in terminal crociere per Costa.
Il “segreto” del pranzo sarebbe che il SECH, il terminal più longevo del porto, in concessione dagli anni ‘90 alla stessa società che lo acquisì allora senza alcuna gara, acquistato poi da fondi internazionali fruttando cospicue plusvalenze agli originari proprietari in virtù della proroga ricevuta da Palazzo San Giorgio sino al 2045, potrebbe diventare una preziosissima pedina di scambio per i suoi proprietari per cedere a Costa Crociere Calata Sanità e se possibile ottenere nuova superficie in concessione a Prà. Il tutto ovviamente con convenienti margini di utile o di cointeressenze nella “vendita” della concessione del SECH.
Con quale rispetto del piano industriale in base a cui SECH ha beneficiato della proroga, che prevede investimenti, obiettivi di traffico e occupazionali che l’Autorità portuale dovrebbe puntualmente verificare pena la revoca della concessione? Con quale destino per il SECH e i suoi lavoratori? Con la loro incorporazione nel terminal di Pra con cui è già stato stipulato un preveggente contratto di rete? A quali condizioni e con quali nuove previsioni produttive e occupazionali?
Per quanto riguarda infatti le mire di ampliamento della superficie portuale, quel sedime pubblico che i terminalisti privati, assieme agli altri fattori produttivi a cominciare dalla forza lavoro, sfruttano per il loro profitti sulla base di canoni irrisori, non è già un segreto che PSA a Pra ha oltre 1 milione di mq e movimenta 1,6 mil di teus ma avrebbe potenzialità di 2mil, mentre a Calata Sanità su oltre 200mila mq SECH movimenta 300mila teus con potenzialità di 500mila. Niente di comparabile, sul piano del consumo di superficie pubblica, con il nuovo terminal di Calata Bettolo di MSC, che occuperà a regime 180mila mq, per cui si prevede una movimentazione di 800mila mq, anche se attualmente siamo a 100mila sulla metà agibile dell’area. Ovvero, con l’attuale superficie pubblica concessa ai terminalisti nel porto di Genova e ai loro piani di impresa mancano ancora al target 1,3 mil di teus. Eppure, PSA e Confindustria sono lì a reclamare nuovi ettari in concessione.
Il porto, pure essendo una risorsa pubblica sottoposta a una legislazione volta a coniugare l’interesse generale con quello privato delle imprese a cui è concesso di operare con profitto ma per contribuire a realizzare l’interesse generale, è sempre di più in balia di logiche e convenienze private senza il governo di una presidenza con un adeguato senso dello stato, che in queste circostanze si misura con la capacità di contemperare interesse pubblico e privato. E a Signorini non glielo insegna certo Toti che, finanziato elettoralmente dagli stessi terminalisti, lo ha fatto promuovere da funzionario a Presidente di nomina politica.
Anni fa il comico Guzzanti ci faceva ridere alla TV con le parodie di uno spot della berlusconiana “Casa delle libertà”. Un gruppo di amici che festeggiano ora ruttando sonoramente a tavola ora pisciando sopra i divani. “Facciamo un po’ come cazzo ci pare” era il memorabile claim dello spot. Questa ennesima rivelazione dei “segreti” del porto ci evoca esattamente questa frase.
Riccardo Degl’Innocenti
Indagini recenti mettono sotto il riflettore uno dei Palazzi del potere genovese – il Rina di Carignano – non nuovo alle attenzioni della magistratura (vedi la denuncia di suoi certificati facili al tempo del crollo della Torre Piloti nel porto di Genova) come dei rumors locali sui giochi di potere del direttore dell’istituto per insediarsi al posto del suo presidente.
Rina, santuario dell’efficienza d’impresa o crocevia degli affari?
RINA s.p.a. è una holding multinazionale con sede a Genova, nata dal Registro Navale Italiano. Dal 2000, RINA ha esteso la propria attività a servizi nel settore della certificazione, del collaudo e più in generale della consulenza ingegneristica in molteplici ambiti.
Il suo motto è ‘Make it sure. Make it simple’.’Rendilo più sicuro. Rendilo più semplice’.
Ma a cosa si riferisce quell’it, che l’azienda privata RINA si ripromette di rendere più sicuro e più semplice? È quel bene comune – cui mirava il Registro Navale, organizzazione privata senza fine di lucro fondata all’alba dell’unità italiana – oppure, dalla sua costituzione in poi, si tratta del profitto degli azionisti, cui ogni società privata deve ragionevolmente miraree che vuole essere ‘più sicuro, più semplice’? Il dubbio è giustificato dalla lettura di una recentissima sentenza del TAR Liguria, resa nella causa proposta dalla s.p.a. Progetti Europa & Global (PEG) nei confronti dell’Autorità di Sistema Portuale genovese e di RINA Cosulting s.p.a., controllata della holding RINA. PEG era risultata seconda classificata nella graduatoria finale per l’affidamento del servizio di Project Management Consultant per la realizzazione della nuova diga foranea del porto di Genova. Servizio affidato dall’Autorità di Sistema a RINA Consulting, con decreto di aggiudicazione definitiva di cui PEG ha chiesto l’annullamento, per una serie di articolati motivi.
TAR ha accolto il ricorso e annullato il decreto di aggiudicazione a RINA Consulting.
La sentenza merita la nostra attenzione anche perché fornisce una possibile risposta all’interrogativo che ci siamo posti. A cosa mira la potente multinazionale con sede a Genova, quando proclama come propria mission il ‘fare sicuro e semplice’, se non ad ottenere in modo ‘sicuro e semplice’ l’affidamento di importanti e redditizi servizi proprio nella città in cui ha la sede, grazie all’intensità dei rapporti con chi – istituzionalmente e localmente – ne gestisce le principali attività industriali e marittime? Nel caso in esame risulta che RINA s.p.a., per mezzo di RINA Chech s.r.l., controllata da RINA Services, a sua volta controllata da RINA s.p.a, aveva predisposto l’elaborazione delle specifiche tecniche dell’appalto poi vinto da RINA Consulting.
Per ragioni formali il TAR non ha ritenuto di dover considerare questo pur significativo e non contestato conflitto di interessi, ma ha annullato il decreto di assegnazione per un ulteriore e diverso motivo: il palese difetto nella domanda di partecipazione di RINA di taluni requisiti richiesti dal bando di gara. Più in particolare, RINA aveva dichiarato lo svolgimento di servizi analoghi per un valore e importo di gran lunga inferiori al valore stimato dei servizi oggetto della gara (4.530.000,00 contro 19.665.055,34). Non solo: il TAR ha negato la possibilità di prendere in esame i dati risultanti dai bilanci di esercizio di RINA Consulting per gli anni 2017-2019, sia per la loro genericità, sia –soprattutto – per non essere stati quei bilanci tempestivamente presentati dall’interessata in sede di verifica del possesso dei requisiti. Quei bilanci sono stati infatti acquisiti direttamente e d’ufficio dall’ Autorità di Sistema, in una data successiva alla chiusura della fase di verifica dei requisiti e di attestazione del loro possesso.
In sintesi estrema: io, Autorità di Sistema, affido a una tua controllata la redazione dei termini del bando di gara cui tu intendi partecipare. Alle carenze essenziali della tua documentazione, provvedo ancora io, amministrazione pubblica procedente, in funzione per così dire ‘sostitutiva’.
È forse questa la chiave di lettura del motto di RINA: ‘Make it sure. Make it fast’?
MM
Quel pasticciaccio brutto di piazza De Ferrari
Toti sogna in grande. Incontra Renzi e immagina una federazione dei moderati. Si vede già come un leader nazionale di un’aggregazione centrista in grado di determinare ogni ipotesi di governo. È un banale Presidente di Regione, anche di una delle più piccole, ma grazie alle sue conoscenze giornalistiche e alle sue “influenze” compare, come fosse uno statista di rilievo, in dibattiti e interviste nazionali.
È tanto impegnato sulle TV, che spesso non si fa vedere in Regione. L’opposizione fa spesso rilevare la sua ineducata e ripetuta assenza alle sedute del consiglio regionale.
Toti pensa di essere Superman, capo di un partito, seppur minuscolo, Presidente della Regione Liguria, assessore al bilancio e alla sanità, aspirante leader di qualcosa a livello nazionale.
Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica però è tutto cambiato. Le tensioni nel centrodestra sono salite, dovunque volano gli stracci. La Lega minaccia la crisi, chiede che Toti lasci le deleghe alla sanità e al bilancio. Inizia a dare segnali di nervosismo, e se non è ancora in grado di mettere in discussione la candidatura di Bucci a Sindaco di Genova, minaccia esplicitamente la ricandidatura del Sindaco della Spezia Peracchini, uomo di fiducia di Toti.
Toti passa al contrattacco, e da vero gentleman di periferia cosa fa? Scheda gli assessori, mette voti con la matita rossa e blu come le maestre di un tempo. Di ogni assessore ha fatto una scheda di quanto ha fatto negli ultimi mesi, presenze in giunta e in consiglio reginale, leggi, incontri pubblici, interventi e altro. Con questo strumento intende mettere in discussione gli assessori, particolarmente quelli leghisti, si parla di Piana e Benveduti.
La Lega tuttavia non molla sull’assessorato alla sanità, il più delicato e quello che gestisce l’80% del bilancio regionale. Forse alla fine Toti sarà costretto a mollare. Sono emersi alcuni nomi di “papabili” che fanno venire i brividi. Si parla dell’immancabile Matteo Bassetti, anche lui animale televisivo, tanto che molti si chiedono quanto tempo passi in reparto e quanto negli studi televisivi. L’altro nome è ancora più inquietante è quello dell’eterno Giuseppe Profiti, già segretario generale della Regione, amministratore dell’Ospedale Galliera, uomo del cardinal Bertone, già Presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma, e condannato in questa veste a un anno di carcere e all’inibizione dai pubblici servizi per un anno (il PM aveva chiesto a vita).
Il problema è che non si può aggiungere un assessore. Per nominare un assessore aggiuntivo occorre sacrificare qualcuno degli esistenti. Tenendo conto che Forza Italia, che ha fatto parte della coalizione non ha assessori e rivendica un posto, le cose per Toti si fanno sempre più complicate. Nel frattempo, lui va a cena con Renzi.
NC
Il ruolo dell’anziano in una Liguria civile
Qualche anno fa, su invito dell’Auser della Spezia, ho passato una giornata con un gruppo di anziani e un gruppo di studenti a discutere di etica. È stata una giornata che mi ha fatto riflettere su come la pratica intergenerazionale possa arricchire le relazioni tra le persone e contrastare gli stereotipi negativi, sia quello dell’isolamento degli anziani sia quello dell’egoismo dei giovani. E su quanto sia importante organizzare attività comuni, trascorrere del tempo insieme, condividere sia pure per poco uno stesso spazio.
Perché non cominciare a pensare, per il futuro, a condividere questi spazi in modo permanente, per esempio costruendo scuole e centri anziani nello stesso edificio? O realizzando le “Case della solidarietà”, con servizi sociali comuni a tutte le generazioni? Ma l’idea più interessante è quella di un “Servizio civile di solidarietà” per tutti i giovani: far vivere ai giovani esperienze di cittadinanza attiva nei centri e servizi per gli anziani favorirebbe enormemente lo scambio tra generazioni e sarebbe vivificante per gli uni e per gli altri.
I governi, nazionale, regionali, locali, dovrebbero pensarci seriamente. Un solo esempio: il ruolo dell’anziano come custode della storia, delle tradizioni e delle abilità pratiche è fondamentale nella “società della conoscenza”. Rappresenta un collegamento vitale con il nostro passato e può dare al giovane un senso di identità e di prospettiva storica. Pensiamo solamente al “ritorno alla terra” o al recupero di tanti mestieri artigiani: sono obiettivi fondamentali per la “nuova economia” di cui c’è bisogno – e anche, mi riferisco all’attività agricola, per la salvezza del territorio – ma sono raggiungibili solamente con l’utilizzo dei saperi antichi e quindi con la “staffetta” giovani-anziani.
Viene usato, in questi casi, il termine “artigiani del bene”: mi pare del tutto appropriato.
GP
L’irresistibile esternalizzazione dei servizi sanitari a Ponente
Come era presumibile, dopo gli accordi previsti da Regione Liguria per l’ASL3 genovese e l’ASL2 savonese, è arrivata anche nel territorio imperiese la partecipazione della sanità privata alla campagna vaccinale Covid-19. A qualche giorno dalla decisione per l’esternalizzazione dell’hub di Taggia, assunta nonostante siano stati rispettati gli obiettivi vaccinali previsti, grazie agli enormi sacrifici del personale sanitario (in servizio e volontario in pensione), appare chiaro che la ASL1 continui a perseguire una logica emergenziale della gestione delle vaccinazioni.
Ci chiediamo innanzitutto con quali standard e garanzie di qualità e sicurezza per gli utenti verrà proposto il servizio, con quali professionalità, in una situazione assai confusa circa la logistica.
È del tutto evidente che la carenza di personale sia una realtà effettiva dopo anni di programmazione al ribasso della sanità pubblica e il blocco delle assunzioni in tutto il territorio. Tutto ciò in un quadro generale in cui la Regione Liguria (dati della Corte dei Conti), ha speso 115 milioni di euro in meno nella Sanità, destinandoli altrove e ha una quota pro-capite del ticket di 43€ contro una media nazionale di 38€. Viene da chiedersi se questa gestione, anche economica, di un servizio primario ed essenziale risponda alle esigenze di una comunità e corrisponda effettivamente ad un risparmio dei costi, o piuttosto non rischi di tradursi in un aggravamento della spesa sanitaria a carico di tutti i cittadini e a vantaggio delle imprese private.
Viene da chiedersi inoltre se la pandemia ed il clima emergenziale non costituiscano il pretesto per approfittarsi di uno stato di shock ed accelerare quei processi di privatizzazione tanto cari a Toti in Liguria, che qui a Ponente si sono già ben visti.
Si tratta con tutta evidenza di un ulteriore passo verso la crescente tendenza alla privatizzazione delle prestazioni sanitarie, che da una parte dissangua le finanze pubbliche e dall’altra privilegia chi se lo può permettere; appare chiaro che l’obiettivo è l’affermazione del sistema privato (accreditato e non accreditato) con l’ulteriore esasperazione dell’annoso disfacimento del sistema sanitario pubblico. Intanto, anche l’azione del Governo centrale si dimostra un inno al mercato, oggi ancor più stonato di fronte a una pandemia che del mercato ha rilevato i limiti.
Inneggiare alla concorrenza oggi sembra quanto mai inopportuno soprattutto riguardo ai servizi primari, alla dignità delle persone e alla qualità della vita: si parla infatti non solo di sanità e welfare, ma anche di acqua, energia e trasporti!
DC
I tempi della città al femminile
L’avvicinarsi in Liguria di importanti scadenze amministrative – secondo logica – dovrebbe indirizzare il pensiero dell’elettorato attivo (i cittadini) e passivo (gli eligendi) alla costruzione di agende centrate sul come migliorare la vita della nostra comunità. Purtroppo non è così; e l’esperienza ci ha ormai insegnato che, mentre dilaga nel corpo elettorale un’irrefrenabile pulsione fatalistica tendente all’aventiniano, i politici di professione sono in altre faccende affaccendati.
La proposta di Destra oscilla tra la società dello spettacolo ridotta a baraccone (imperdibile il sindaco Bucci incastrato nello scivolo pop, che lui e Toti avevano fatto montare lungo tutta via XX Settembre) e l’allestimento cafone degli spazi pubblici, tra il villaggio vacanze e la Hollywood de noialtri (i red carpet nei sentieri delle Cinque Terre, gli ombrellini colorati appesi a mezz’altezza lungo le principali vie cittadine, vedi la genovese via Roma); la non-proposta di Sinistra come gestione miope di antiche rendite di consenso da parte di professionisti della politica, illusi che quel capitale in esaurimento assicuri loro posti sicuri negli organigrammi pubblici (e relativi benefit).
In questo quadro desolante può sembrare velleitario perseguire lo spostamento dell’attenzione dai contrapposti illusionismi del politicantato alla dura replica dei problemi reali, però questo è l’unico modo per smascherare l’indecenza dell’attuale discorso proveniente dalle stanze del potere, alla ricerca di AltraPolitica. Quella capacità di stare sui problemi – costi quello che costi – che continuano a mettere in campo i movimenti, battendosi testardamente sul crinale della salute e dell’ambiente. Temi preziosi, con una caratteristica intrinseca: sono assolutamente bisex. Ma ci sono altre questioni – altrettanto importanti – che riguardano lo specifico femminile, e che dovrebbero diventare altrettante priorità dell’intera galassia progressista (che La Voce del Circolo Pertini si augura coagulino in un soggetto collettivo in grado di offrire una vera alternativa a QuestaPolitica). Il primo tema che andrebbe sottolineato è quello dell’organizzazione dei tempi della vita urbana, a misura del ruolo della donna oggi: al tempo stesso, lavoratrice, moglie e madre. Costretta a giocare la propria partita quotidiana tra paletti che non tengono conto delle sue reali esigenze: orari, trasporti, infrastrutture. La criticità che viene subito alla mente è quella del sostegno che una giovane lavoratrice-madre, non supportata da nonni compiacenti o analoghi aiuti, necessita da parte delle istituzioni, della mano pubblica.
Ma un asilo nido che chiude alle 16,30 quanto tiene conto delle esigenze concrete di una giovane lavoratrice non part timer, e quante ragazze madri si possono permettere di pagare una retta di 398,34 euro mensili per il tempo pieno di un bambino di tre anni?
Visto che si parla tanto di un Paese che invecchia, autorevoli ricerche hanno messo in luce come la donna italiana aspirerebbe ad avere un numero doppio di figli e che quanto la scoraggia sono le difficoltà di contemperare i vari aspetti organizzativi della propria vita.
Maura Galli
La politica dei piazzisti di se stessi. Glam, smart e soprattutto young?
Stando a quanto ha denunciato Ferruccio Sansa alla fine dell’anno scorso, intervenendo in Consiglio Regionale, «le spese per la pubblicità istituzionale (ossia propaganda pagata con soldi pubblici) di Regione Liguria nel 2022 saranno triplicate: siamo arrivati alla cifra stratosferica di 6,6 milioni di euro. Ma tenendo conto delle partecipate si vola ben oltre i 7 milioni, così suddivisi: 4,4 milioni di euro (l’anno scorso erano ‘appena’ due) per ‘la disciplina delle iniziative ed attività per favorire la presenza istituzionale della Regione’. Espressione burocratica per definire quella che – anche qui – appare solo propaganda. Da cui vengono presi i milioni di euro pubblici che finiscono a giornali, siti, radio e tv locali. Un rischio evidente per la libera informazione dei cittadini e per la stessa indipendenza degli organi di stampa: se un organo di stampa ha i bilanci puntellati dalla Regione, si sentirà libero di criticarla? Ma ecco spuntare un’altra voce di bilancio che stanzia 1,26 milioni di euro per ‘l’internazionalizzazione dei prodotti liguri’ che potrebbero essere utilizzati per promozione di prodotti [delle aziende amiche, quelle che finanziano la Fondazione totiana Change? ndr]. Dulcis in fundo la chicca: il denaro per sponsorizzare le squadre di calcio liguri di serie A, cioè Genoa, Sampdoria e Spezia. Circa un milione di euro pubblici per far scrivere ‘LaMiaLiguria sulle magliette’ e per far scattare fotografie di Toti, Bucci e Peracchini insieme ai giocatori delle squadre. Magari per ‘comprarsi’ la simpatia dei tifosi». Questo è quanto.
Ovvero, quanto pensano essere la nuova frontiera glam, smart e young della comunicazione politica, questi mestieranti che costituiscono il nuovo ceto insediato negli organigrammi pubblici. Il cui orizzonte intellettuale è rappresentato dalle convention aziendali anni Ottanta e Novanta. Roba vecchissima, che dovrebbe mostrare a tutti il livello dell’incultura di gente formatasi nel ventennio della banalizzazione berlusconiana. A partire dalla strumentalizzazione imbonitoria del calcio. Goffamente ripetitiva al ribasso se pensa di conquistare il consenso delle nuove generazioni con la pretesa di ripercorrere l’epopea dei Gullit, dei Van Basten o dei Maldini; vendendo come roba da Champion le nostre squadrette a un passo dalla serie B. Rivelando una cultura di rara inadeguatezza, persino offensiva per la cittadinanza ligure, che prospera in assenza di un pensiero sulla politica un po’ più alto delle suggestioni da Bar Sport.
PFP
Spot Liguria. Lusso o cafonal?
Ora che è finalmente passato l’eco assordante del Festival di Sanremo, si può parlare della Liguria senza dover necessariamente nominarlo (non è possibile, ecco, l’ho già fatto). In particolare dello spot televisivo che è stato realizzato per magnificare le bellezze della nostra regione e invitare non i liguri, ma i foresti, a visitarla. Quando l’ho visto per la prima volta ho pensato si riferisse a un profumo: in effetti la location forse principale dello spot (Portofino) è la stessa di “Dolce”, proprio un profumo del duo che finisce con Gabbana. Che pena, e anche che imbroglio per chi non conosce la Liguria. L’unica cosa positiva è la povertà delle immagini, oltre che delle idee, nel senso che spero questa pubblicità sia stata di conseguenza pagata poco. Si inizia con una Elisabetta Canalis attraverso i soliti filtri cipria che la fanno sembrare una sorta di ectoplasma. La signora, dal suo attico newyorchese, e poi dalla voce fuori campo, recita il mantra “la mia Liguria” per tre o quattro volte. Successivamente appare Boccadasse (forse) con una tipa che si tuffa e la voce suadente della Canalis che ricorda come “non si andava mai a dormire”. Può darsi che su qualche yacht tra whisky e cocaina si possa tirare il mattino, ma non credo che questa sia l’immagine da dare a chi voglia venire in Liguria. Del tutto falsa, salvo alcuni ambienti, e poco lusinghiera. Poi arriva Portofino e qui lo yacht è proprio in bella mostra con tre simil procaci ragazze in bikini che prendono un drink, e di nuovo la Canalis recita (si fa per dire), “aperitivo con le ragazze”, mentre quelle sorridono alla telecamera. Fosse la pubblicità per dei siti di appuntamenti o per i fasti passati di Madame Claude, la celebre maitresse di lusso della Francia degli anni 60/70, inventrice del termine “escort”, nessun rilievo. Ma quelle ignare comparse sembrano offrirsi alla telecamera e quindi agli occhi libidinosi di ricchi imprenditori che subito si sfregheranno le mani e si metteranno d’accordo per correre a Portofino nel weekend. La nostra ineffabile ex compagna di George Clooney finalmente ci ricorda Portovenere: peccato che manco si veda: solo uno scorcio di mare che potrebbe essere sottratto alla costiera amalfitana. Ma finalmente si arriva al clou della Mia Liguria: una bella (chiedo scusa alla parola) immagine marroncina con le insegne rosse al neon un po’ retrò del cinema Ariston con tanto di dicitura del festival della canzone. Sempre per risparmiare si tratta di un’immagine di repertorio di 11 anni fa (si vede scritto 61° mentre siamo – ho letto – alla 72° edizione). Con il finale che ritorna sulla coscia destra della ex velina. In conclusione: la Liguria è veline, far tardi la notte e lusso. Non sono i paesaggi montani e marini insieme, non sono gli antichi borghi di tradizione, non sono le straordinarie chiese ricche di passato, non sono i musei, non le passeggiate, non il clima, non il mare, non il cibo. E tanto altro che si poteva dire, in modo anche simpatico e spiritoso, come lo spot dello scorso anno con Maurizio Lastrico. Fate il confronto…
CAM
Spot Liguria. Lusso o cafonal?
Ora che è finalmente passato l’eco assordante del Festival di Sanremo, si può parlare della Liguria senza dover necessariamente nominarlo (non è possibile, ecco, l’ho già fatto). In particolare dello spot televisivo che è stato realizzato per magnificare le bellezze della nostra regione e invitare non i liguri, ma i foresti, a visitarla. Quando l’ho visto per la prima volta ho pensato si riferisse a un profumo: in effetti la location forse principale dello spot (Portofino) è la stessa di “Dolce”, proprio un profumo del duo che finisce con Gabbana. Che pena, e anche che imbroglio per chi non conosce la Liguria. L’unica cosa positiva è la povertà delle immagini, oltre che delle idee, nel senso che spero questa pubblicità sia stata di conseguenza pagata poco. Si inizia con una Elisabetta Canalis attraverso i soliti filtri cipria che la fanno sembrare una sorta di ectoplasma. La signora, dal suo attico newyorchese, e poi dalla voce fuori campo, recita il mantra “la mia Liguria” per tre o quattro volte. Successivamente appare Boccadasse (forse) con una tipa che si tuffa e la voce suadente della Canalis che ricorda come “non si andava mai a dormire”. Può darsi che su qualche yacht tra whisky e cocaina si possa tirare il mattino, ma non credo che questa sia l’immagine da dare a chi voglia venire in Liguria. Del tutto falsa, salvo alcuni ambienti, e poco lusinghiera. Poi arriva Portofino e qui lo yacht è proprio in bella mostra con tre simil procaci ragazze in bikini che prendono un drink, e di nuovo la Canalis recita (si fa per dire), “aperitivo con le ragazze”, mentre quelle sorridono alla telecamera. Fosse la pubblicità per dei siti di appuntamenti o per i fasti passati di Madame Claude, la celebre maitresse di lusso della Francia degli anni 60/70, inventrice del termine “escort”, nessun rilievo. Ma quelle ignare comparse sembrano offrirsi alla telecamera e quindi agli occhi libidinosi di ricchi imprenditori che subito si sfregheranno le mani e si metteranno d’accordo per correre a Portofino nel weekend. La nostra ineffabile ex compagna di George Clooney finalmente ci ricorda Portovenere: peccato che manco si veda: solo uno scorcio di mare che potrebbe essere sottratto alla costiera amalfitana. Ma finalmente si arriva al clou della Mia Liguria: una bella (chiedo scusa alla parola) immagine marroncina con le insegne rosse al neon un po’ retrò del cinema Ariston con tanto di dicitura del festival della canzone. Sempre per risparmiare si tratta di un’immagine di repertorio di 11 anni fa (si vede scritto 61° mentre siamo – ho letto – alla 72° edizione). Con il finale che ritorna sulla coscia destra della ex velina. In conclusione: la Liguria è veline, far tardi la notte e lusso. Non sono i paesaggi montani e marini insieme, non sono gli antichi borghi di tradizione, non sono le straordinarie chiese ricche di passato, non sono i musei, non le passeggiate, non il clima, non il mare, non il cibo. E tanto altro che si poteva dire, in modo anche simpatico e spiritoso, come lo spot dello scorso anno con Maurizio Lastrico. Fate il confronto…
CAM
Genova: andare dritti verso il replay delle regionali 2020?
Spero tutti si ricordino che cosa è successo nel 2020, quando c’erano in ballo le elezioni regionali. Da una parte Toti, che all’epoca non aveva ancora tradito Berlusconi, con tutte le forze di destra, e dall’altra il centro sinistra che per mesi si è scannato al suo interno per la scelta del candidato. Ne erano rimasti due: Ferruccio Sansa e Aristide Massardo. Solo a pochissime settimane dalle elezioni, la scelta cadde sul primo. Il secondo, invece di fare il beau geste di accettare la sconfitta e di appoggiare l’altro, o di ritirarsi sull’Aventino, andò d’improvviso su Italia Viva. Un gesto che è costato caro, non solo a lui, ma anche ai seguaci renziani, che si sono visti puniti dall’elettorato, perdendo anche l’unico seggio alla Regione. Massardo, professore universitario, ingegnere, politico senza essere alle dipendenze di nessuno, gradito a molti dell’opposizione (meno a quelli della vecchia nomenklatura, che lo hanno fatto fuori), se non avesse fatto quel gesto di reazione, che lo ha bruciato come un cerino, oggi sarebbe il candidato perfetto per sfidare Bucci alle comunali di Genova. E con buone probabilità di vincere. Qualche mese fa il sottoscritto aveva proposto, nemmeno tanto sommessamente, un nome che avrebbe potuto sparigliare le carte: un volto noto televisivo, una donna, di sinistra ma senza tessera di partito, e con un paio di attributi (mi si permetta il maschilismo che pure aborro) tali da far impallidire i ballerini in calzamaglia. Non faccio il suo nome, ovviamente, e il suo guaio era di non essere genovese: ma Sgarbi non è siciliano eppure ha fatto il sindaco di Salemi, a furor di popolo, e ora lo è di Sutri, nel viterbese, piccolo borgo di grande storia. Invece la storia delle regionali si ripete. Già in ritardo clamoroso, erano stati fatti i nomi dell’avvocato Filippo Biolè, dell’ex sindacalista Annamaria Furlan (oggi in odore paitiano) e di Ivano Bosco, altro sindacalista. Nell’urna dei vari morituri è uscito l’avvocato Ariel dello Strologo, coinvolto nel giro degli interessi sullo spostamento a Sampierdarena dei depositi chimici. Pure una brava persona, stop: e non basta davvero. Anche lui un Carneade, destinato a essere triturato dalla macchina elettorale, gladiatore senza armi né speranza di uscirne vivo, con la sola prospettiva di una poltroncina da consigliere comunale con gettoni da mille euro al mese, poco più molto meno. Con questo, sentiti auguri, ma la nostra città meriterebbe che prima fosse fatto un esame delle necessità, uno studio su come migliorarla o sopperire alle tante carenze, trovando competenze specifiche, magari creando un (cosiddetto) governo ombra. Meriterebbe idee, un progetto escatologico, non i sogni erotici e di grandeur di Renzo Piano, ma soluzioni possibili e realizzabili per il presente e per il futuro. Tenendo conto che una città non è un’azienda alla ricerca del profitto, non deve perseguire il PIL (il prodotto interno lordo) ma il FIL (la felicità interna lorda), che non è un sogno ma uno standard di vita riconosciuto da oltre quindici anni da molti economisti.
CAM
Fenomenologia dei Peracchini: auguri al figlio ma non al padre
Vaccino sì, vaccino no: sulle note della Guerra dei Cachi di Elio e Le Storie Tese, un altro pasticcetto si è consumato in quel di La Spezia. Pare che il figlio del buon (si fa per dire) Sindaco Peracchini soffra di cuore e se questo corrisponde a verità ci dispiace sinceramente. La polemica nasce dal fatto che come padre preoccupato Peracchini ha telefonato alla ASL per far cambiare in corsa il vaccino Moderna in quello Pfizer, utilizzando una prerogativa che altri, semplici cittadini, probabilmente non avrebbero avuto la possibilità di usufruire. Però, c’è qualcosa che non torna: se una persona soffre di cuore, ha la possibilità di essere esentato dal vaccino, qualunque vaccino. E non è vero che Moderna offra, in casi simili, maggiori garanzie rispetto al Pfizer o a qualunque altro. La domanda, come diceva il buon Pazzaglia ai suoi tempi, sorge allora spontanea. Perché non ha fatto esentare il figlio fin dall’inizio? Per accontentare il figlio sic et simpliciter? Per ignoranza? Per riflessa ipocondria? Tutta questa preoccupazione di padre, e il modo con cui però è stata condotta mostra, insieme a un comportamento dubbio, la solita arroganza del potere. Un’arroganza che sembra far parte del sistema spezzino da parte di chi la (purtroppo N.d.R) governa. Scoperta dell’acqua calda, ma è utile menzionare a proposito il fatto del Fatto (scusate il calembour) Quotidiano. La chat del camerata Umberto Costantini di FdI, della quale fa parte anche Peracchini, insieme ad altri accoliti, definisce ridendo i migranti “pinguini, cavallette, beduini” che inquinano la “razza”, con altre amenità xenofobe novaxiane come “se fanno passare il green pass scoppia la rivoluzione”, con l’idiozia della sentenza finale “il Covid arriva coi barconi”. Nella chat fascista, oltre a magnificare le doti umane di Junio Valerio Borghese, golpista e comandante della criminale XMAS, se la pigliano anche con il Questore e il Prefetto, definendoli “compagni”, che per loro è un insulto, per me attestazione di stima. Peracchini, preoccupato per il possibile sfilamento prossimo venturo di Forza Italia, mostra i presunti muscoli con la ASL e se la fa con i fascisti che gli diedero il loro appoggio, in attesa che si pronunci il suo boss, Giovanni Toti. Il PM, nonostante la pena per quest’uomo che per cerchiobottismo nel 2018 ha conferito un premio alla senatrice Liliana Segre, ha poco altro da aggiungere in attesa che la condanna arrivi da un elettorato che lo riporti nelle sedi Inail dove lavorava. D’altra parte pena ha un doppio significato, pietà da una parte e punizione dall’altra. In tutto questo speriamo sempre da una parte che il Peracchini figlio guarisca dalle sue problematiche cardiovascolari e che dall’altra non segua le orme paterne. Che, è bene ricordare, nascono piddine e poi, per convenienza o peggio, virano verso una destra sempre più becera.
CAM