Numero 01, 28 Febbraio 2021

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LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI
28 febbraio 2021


EDITORIALI

La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
ӿ   ӿ   ӿ
Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Toti ci riprova: silenzio assenso per tagliare i parchi
Via libera a sforbiciare i confini dei parchi, in quindici giorni e con il silenzio-assenso. È il diavolo nascosto nei dettagli della legge di bilancio ligure, svelato da una denuncia di Angelo Bonelli, coordinatore nazionale dei Verdi, e Danilo Bruno, responsabile parchi di Europa Verde Liguria. Nelle disposizioni collegate alla manovra, la giunta guidata da Giovanni Toti ha previsto che gli enti locali interessati da una proposta di modifica delle aree protette si dovranno esprimere sul merito entro due settimane. E se non lo fanno? “Il parere si intende acquisito in senso favorevole”, recita il testo. “È una norma che viola almeno due leggi fondamentali dello Stato”, spiega Bonelli. “La legge quadro sulle aree protette, che impone la consultazione obbligatoria di comuni, province e comunità montane, e soprattutto la legge sul procedimento amministrativo, che esclude il silenzio-assenso per i pareri in materia ambientale e paesaggistica. Un’iniziativa vergognosa, uno stratagemma per lasciarsi le mani libere e ridisegnare in modo semplice e veloce le aree sottoposte a tutela”.
Già nel 2019, con la legge regionale ribattezzata “sfascia-parchi”, Toti aveva tentato di sottrarre 540 ettari ai maggiori parchi regionali liguri (Aveto, Antola, Beigua e Alpi Liguri) e di cancellare 42 aree protette in provincia di Savona: contro il provvedimento si erano scagliate opposizioni e sigle ambientaliste, preoccupate da un nuovo allentamento dei vincoli ambientali in un territorio già funestato da edilizia selvaggia e dissesto idrogeologico. A luglio 2020 la legge è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale proprio per la mancata consultazione degli enti locali, imposta dalla legge-quadro statale che la nuova norma vorrebbe aggirare. Per questo il timore è che l’iniziativa –sospetta –di inserire disposizioni sui parchi nella legge di bilancio faccia da anticamera a un nuovo blitz. “È evidente la fretta di intervenire sul tema, per questo terremo la guardia alta”, dice il leader dei Verdi, che chiederà al governo, con un ricorso formale, di impugnare la previsione davanti alla Consulta. “L’obiettivo è arrivare, come per la sfascia-parchi, a una pronuncia di illegittimità per violazione della competenza esclusiva statale in materia ambientale – spiega –. Impediremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione questo nuovo assalto ai parchi da parte di Toti”.
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La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Riformare gli ammortizzatori sociali e il sostegno al reddito
Tanto per dire, secondo i dati ISTAT le povertà assolute in Liguria erano 141.945 già prima del Coronavirus: il 9% dell’intera popolazione.
Da molti anni si parla di riforma degli ammortizzatori sociali in Italia, ma non si passa mai all’azione. Gli incontri tra i sindacati dei lavoratori e il nuovo ministro del lavoro Orlando fanno sperare che, finalmente, si possa avviare un processo riformatore.
Se da un lato strumenti come la cassa integrazione e dall’altro il reddito di cittadinanza, deputati a funzioni ben diverse tra loro, hanno consentito di tamponare le drammatiche urgenze sociali nel periodo della pandemia, dall’altro sono apparsi ancora più evidenti i loro limiti e la necessità di un intervento su tutto il sistema, coniugando ammortizzatori sociali e sostegno al reddito.
È giunto il momento di superare la concezione clientelar-filantropica del reddito di cittadinanza, strumento destinato più a spargere contributi a pioggia, nella speranza di ricavarne voti elettorali, che funzionale all’inserimento con piena dignità delle persone nel ciclo produttivo. I dati sono clamorosi. Una recente indagine del Sole 24 Ore dimostrava come l’88% degli italiani non fosse d’accordo con uno strumento così come concepito. 
Il punto centrale delle critiche si concentra sul risultato disastroso dei “navigator”: le 10.000 persone assunte senza concorso e deputate a pilotare i percettori del reddito di cittadinanza verso un impiego. La percentuale è stata irrisoria e fallimentare. Occorre prenderne atto e pensare misure più efficaci.
Contemporaneamente, sono emersi i limiti dei più tradizionali ammortizzatori sociali. La cassa integrazione guadagni (CIG) e il sistema della bilateralità non coprono esattamente tutte le forme di lavoro anche dipendente (lavoro a termine, lavoro a chiamata, collaboratori a progetto, apprendisti, ecc.), non comprendono le varie forme di attività autonoma e di micro-impresa (dalle partite IVA ai piccoli professionisti, artigiani, commercianti, operatori turistici e altro). Molte di queste attività, già prostrate dalla più lunga crisi del dopoguerra, hanno ricevuto un colpo di grazia dalla pandemia da covid 19. Il sistema dei ristori ha funzionato a singhiozzo; spesso con ritardi inammissibili.
Occorre uno strumento di nuova concezione, che comprenda tutti i lavoratori, dipendenti (a prescindere dal tipo di contratto), autonomi o di micro impresa a taglia minima. Questo strumento dovrebbe comprendere anche il reddito di cittadinanza collegato alle politiche attive del lavoro, a progetti di formazione o riformazione per l’occupabilità. E chi rifiutasse queste prospettive dovrebbe essere automaticamente cancellato dai piani di assistenza.
Per funzionare al meglio un tale strumento ha bisogno di una seria regia pubblica e di rigore nella gestione; in grado di fornire alle imprese lavoratori formati in base alle esigenze specifiche della mansione. È anche necessario prevedere forme d’incentivazione alle assunzioni come sgravi fiscali e contributivi o credito d’imposta.
Un lavoro garantito per ogni cittadino e un sostegno sociale nel momento in cui tale lavoro venga meno sono diritti costituzionali. In analogia con la rivoluzione realizzata dalla riforma sanitaria (oggi sotto attacco da parte di chi vuole speculare sulla nostra vita) quando si stabilì che la salute era un diritto universale dei cittadini, indipendentemente dalla collocazione professionale.
Avere un simile “paracadute sociale” darebbe uno stimolo formidabile al mercato del lavoro, consentendo di superare alcune delle rigidità che attualmente ne ostacolano il pieno sviluppo. 
Non sarà facile arrivarci, ma è bene cominciare a parlarne.
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La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Esselunga val bene 50mila euro (P03)
Guarda caso: lo scorso novembre il gruppo della Lega aveva presentato in Regione Liguria un ordine del giorno che impegnava l’Ente allo stop di nuovi centri commerciali fino al 30 giugno del 2021. Una scelta a difesa dei piccoli esercizi e dei negozi di via che – di fatto – contrastano con la loro presenza la desertificazione di  intere zone e quartieri, favorendo il consolidamento di preziose reti relazionali.
Fedele all’impegno nei confronti di un’importante componente della propria maggioranza, Giovanni Toti (in compagnia del fedele ascaro Marco Bucci), il mese scorso esultava per lo sbarco a Genova di Esselunga, nel quartiere residenziale di Albaro. Niente meno che “un momento storico per la Liguria”, l’inno intonato dal presidente regionale. Che da quando è in sella continua a perseverare in una strategia sempre uguale: sostituirsi alla Sinistra nelle pratiche clientelari a scopo di consolidamento del proprio potere. Se all’inizio del suo primo insediamento criticava la speculazione immobiliare voluta da Claudio Burlando sulla collina di Erzelli, ben presto è andato all’incasso diventandone un propugnatore e il primo referente (con il fido Bucci) dei soggetti finanziari impegnati (impelagati) nell’operazione. Ora, con l’arrivo del colosso distributivo della famiglia Caprotti, si candida a sostituirsi anche nel rapporto monopolistico che la Sinistra genovese e ligure intratteneva con le Coop. Infatti Esselunga è in procinto di raddoppiare la propria presenza con un secondo centro nella zona di San Benigno.
All’insegna del motto anglosassone follow the money (“segui il denaro”), il settimanale l’Espresso ha voluto andare a vedere chi batteva cassa in questa vicenda e chi faceva da cassiere. Così ha scoperto che l’impresa edile AEP di Pavia, specializzata nella realizzazione dei centri del gruppo Caprotti, aveva finanziato la campagna elettorale di Toti nel settembre scorso con un versamento di 50mila euro. Del resto un’abitudine per la società pavese, che in precedenza aveva corrisposto un’identica cifra a vantaggio di Fratelli d’Italia per la realizzazione di un centro commerciale in Lodi.
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Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Nuova diga foranea per il porto di Genova: un progetto sbagliato
Dal documento redatto da Andrea Agostini e Giovanni Spalla e presentato il 25.01.2021:
«Il dossier di “Progetto Diga” è stato predisposto da una società privata per conto dell’Autorità di Sistema Portuale di Genova, non ritenendo di affidare tale compito alla struttura interna di pianificazione: segno dello smantellamento del ruolo progettuale pubblico ai vari livelli.
Nel Dossier si scrive che le ragioni principali per costruire una nuova diga a mare della vecchia, che protegge i Bacini di Sampierdarena, Bettolo e Porto Antico, sono sostanzialmente due. Una è la “sicurezza prima di tutto” che tale barriera consentirebbe all’accesso, alla movimentazione e all’ormeggio delle grandi navi di nuova generazione lunghe 400 m e oltre; in quanto tali operazioni non sono garantite dall'attuale configurazione del nostro porto, non in grado di accogliere navi superiori a una lunghezza di 300 metri. L’altra è basata sul fatto che la nuova configurazione manterrà un ruolo di primo piano al Porto di Genova nel panorama portuale mediterraneo ed europeo. Ma tale ruolo si fonda su premesse tutte da dimostrare: siamo ancora qui ad aspettare che vengano confermate le previsioni di 10 milioni di teu che giustificherebbero l’eterna costruzione del terzo valico. La funzione principale di tale nodo dovrebbe essere quella di ridurre al massimo il trasporto merci su gomma che attraversa da anni i quartieri retrostanti il porto di Genova, perché non è accettabile che rimanga in questi rapporti: 40/% gomma, 40/% ferro e 20% transhipment. Tuttavia per ridurre il trasporto su gomma a favore del ferro bisogna far ricorso sia agli strumenti del piano urbanistico comunale e regionale, sia ad una legge nazionale e sia alle nuove tecnologie di trasporto.
La posizione dell’Autorità di Sistema Portuale e i contenuti del Dossier confermano che la nuova struttura debba essere collocata a 400 metri di distanza dai bacini di Sampierdarena e Bettolo; che si debba demolire gran parte della diga foranea esistente; che la lunghezza del canale d’accesso delle navi in entrata e uscita dal porto debba essere superiore a 2000 metri; che si tratta di navi larghe 60 metri e alte più di 60 metri; altezza di tali navi che renderà inagibile una parte consistente del Bacino di Sampierdarena a causa dei vincoli del cono aereo. Almeno fino a quando non si darà una diversa collocazione all’Aeroporto Cristoforo Colombo.
Questa scelta tipologica di una diga per navi giganti, che comporta investimenti pubblici tra 1e 1,4 mld, ignora il fatto che sulla rotta far east/mediterraneo, quando la nuova diga sarà operativa, i prevalenti vettori merci attraverseranno la linea del Polo; per la cui attivazione i cinesi e altri player orientali stanno costruendo navi dedicate, ammodernano le tecnologie e potenziano la capacità ferroviaria.
A seguito del progetto di ampliamento della diga foranea è previsto un incremento dei TEU trattati nel bacino di Sampierdarena-Porto Antico da 1.000.000 a 2.500.000 unità. Ipotesi con forti ripercussioni sulla viabilità cittadina. È indispensabile che una parte significativa (almeno il 50%) dei transiti avvenga su ferro. Per questo vanno superate le criticità del nodo ferroviario genovese».
(segue)


P 05
LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI
28 febbraio 2021


EDITORIALI

La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Il male oscuro degli studenti medi liguri (P 05)
In Liguria gli studenti sono 170.089 cosi suddivisi: scuola secondaria primo grado ( scuola media) 36.600 - scuola secondaria secondo grado 62.600- scuola dell’infanzia 19058- scuola primaria primo grado 51.807.
Come nel resto dell’Italia, la pandemia ha costretto insegnanti e alunni a effettuare le lezioni On -Line con la metodica della DDI (didattica digitale integrata), ex DAD (didattica a distanza). Gli studenti coinvolti appartengono alla scuola secondaria di secondo grado, in misura minore a quella secondaria di primo grado. Tuttavia va precisato che la DDI non è uno strumento democratico. Dipende infatti da una serie di fattori che- certamente – consentono il funzionamento ma che –al tempo stesso - evidenziano disparità di fruizioni destinate ad allargare divari sociali, nuove disuguaglianza, A tre livelli:
1) apparato digitale a disposizione dello studente;
2) connessione internet (La connessione può essere lenta o addirittura assente soprattutto nei luoghi molto lontani dai centri abitati);
3) la famiglia.
Infatti il nucleo familiare svolge un ruolo decisivo. Può essere collaborativo e, quindi aiutare il ragazzo a risolvere eventuali problematiche sia tecniche che emotive, agevolandolo nel ricavare il proprio spazio atto allo studio e aiutandolo a superare eventuali momenti di bassa reattività. All’opposto, i figli vengono lasciati a se stessi, completamente allo sbando. Sono svariati i casi di ragazzi che non svolgono le lezioni a distanza perché non sollecitati adeguatamente dai genitori. A fronte del disinteresse parentale, durante la pandemia si sono manifestati in misura crescente problemi psicologici nelle popolazioni giovanile, che vanno dall’ansia alla paura di contagio, alla depressione da isolamento. Una ferita al capitale sociale relazionale per larghi strati della popolazione giovanile, non più trascurabile. Foriera in prospettiva di ulteriori contraccolpi negativi.
Unica nota positiva, il netto miglioramento rilevato nelle performances scolastiche degli alunni extracomunitari; che probabilmente hanno vissuto l’insegnamento a distanza come una modalità protettiva da forme discriminatorie ambientali e bullismi, latamente o meno di stampo razzistico.
Secondo il professor Gabriele Giorgi, associato di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni presso l’Università Europa di Roma, i giovani sono una delle categorie che più hanno risentito dei contraccolpi psicologici della pandemia. «Le sintomatologie più comuni sono la perdita di fiducia, di speranza nel futuro e la manifestazione di episodi di forte stress. Dall’altra parte incombe anche il rischio di una iper-tecnologizzazione. Gli studenti, infatti, appartengono ad una categoria generazionale che già si caratterizzava per un uso elevato di mezzi tecnologici; per cui un’immersione così forte e improvvisa può rappresentare quella goccia che, facendo traboccare il vaso dello stress digitale, potrebbe dar luogo a episodi di hikikomori – la forma estrema di isolamento definita anche suicidio sociale. L’ipertecnologizzazione rischia di agire sull’isolamento, rendendo lo studente più distante dalle emozioni proprie e degli altri. Infatti, i dispositivi tecnologici possono imporre una connessione permanente, riducendo la possibilità che le esperienze di recovery e distacco psicologico possano aver luogo».
MF


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LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI
28 febbraio 2021


EDITORIALI

La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Come Toti gestisce il pubblico denaro
Regione Liguria ha stanziato sette milioni di euro per le aziende in difficoltà a causa del COVID. Allegato al decreto viene pubblicato un elenco di potenziali beneficiari, stilato, si dice, dalla Camera di Commercio. Nell’elenco figurano aziende chiuse da anni, in liquidazione, fallite, esercizi cui è stata revocata la licenza (https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/13/liguria-il-pasticcio-della-giunta-toti-sui-ristori-nellelenco-di-beneficiari-un-centinaio-di-attivita-fallite-doppie-o-chiuse-da-anni/6063136/). Già si era parlato dello scandalo nazionale di aziende che, a fronte di un fatturato di 30.000 euro hanno provato a chiedere alle banche prestiti per 100.000 euro garantiti dallo Stato; magari giustificandosi col dire che il fatturato vero, compreso il “nero” era molto più alto…. il problema è che in questo paese i “furbi” non si assumono mai le loro responsabilità, la giustizia non riesce a perseguirli, quando commettono illeciti. Che – tra l’altro – vanno sempre a danno della concorrenza onesta. Sul fronte istituzionale vale la pena rilevare che - quanto a spregiudicatezza nell’uso del denaro pubblico e nelle politiche di scambio affari-finanziamenti - l’amministrazione Toti non sembra essere seconda a nessuno. Incapace di amministrare, come ne danno lampante conferma i record negativi raggiunti in materia di gestione della pandemia, la Destra (basta con l’ipocrita dizione “centro-destra”: questi sono solo un’accozzaglia di sovranisti, suprematisti, razzisti e carrieristi senza le carte in regola) questa Destra totiana mette a frutto gli insegnamenti appresi alla scuola berlusconiana di Mediaset: l’uso sfrenato della propaganda per mistificare un’immagine inesistente con messaggi ripetuti allo sfinimento (ciò che chiamano “comunicazione”) e gli accordi sottobanco per fare finanza. Esempio del primo aspetto può essere l’accordo dell’anno scorso tra Regione e l’emittente locale Primocanale, per 200 ore di trasmissione a fronte di un investimento di denaro pubblico pari a 150mila euro. Ritorneremo presto sul secondo tema con le ultime notizie sulla finanziaria totiana Change, cassaforte del sedicente Governatore e dei suoi fidi. Finanziata a fronte di concessioni pubbliche e regalie varie.
PFP



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LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI
28 febbraio 2021


EDITORIALI

La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Coronavirus, le nuove (vecchie) disuguaglianze di genere
Con 3.220 decessi dall’inizio della pandemia da Covid-19, sugli 85mila dell’intera nazione registrati a fine gennaio 2021, la Liguria non spicca certo per l’efficacia con cui l’emergenza è stata affrontata. Anche se l’esiguità della popolazione residente (1,5 milioni) ha fatto sì che l’attenzione della stampa e della pubblica opinione in genere trascurasse di sottolineare gli aspetti inquietanti del “caso Liguria”. A partire dai confronti in materia del tasso di letalità (il rapporto deceduti-guariti), in cui la nostra regione si piazza in una non lusinghiera terza posizione con il 14,5%; superata solo da Lombardia (18,4%) e Marche (14,7). Su cui andrebbero a innestarsi aspetti ulteriormente inquietanti, evidenziati da un rapporto pubblicato a metà 2020 da MicroMega (la più importante rivista di cultura politica italiana, su cui oggi pende la minaccia di chiusura imposta dalla ristrutturazione delle testate GEDI/editoriale-l’Espresso, voluta dal nuovo padrone John Elkan). Sempre se qualcuno si prendesse la briga di rilevarli.
Scrive il bimestrale diretto da Paolo Flores d’Arcais: «le crisi non agiscono come una livella sulla società bensì allargano la forbice delle disuguaglianze. A fare le spese della crisi che la pandemia di Covid-19 ha generato saranno le fasce più vulnerabili della popolazione e tra esse, in un contesto generale segnato dalle asimmetrie di genere, senz’altro moltissime donne». Del resto il punto di partenza parla già da solo: «in Italia le donne hanno un tasso di occupazione inferiore a quello degli uomini e guadagnano di meno». Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto europeo per l’uguaglianza (Eige), nel nostro Paese il differenziale occupazionale tra uomini e donne è di 20 punti percentuali: se il tasso di occupazione complessivo delle persone (comprese tra 20 e 64 anni) è del 63 per cento, quello femminile si ferma al 53 per cento mentre quello maschile si attesta al 73. Circa il 33 per cento delle donne lavora tempo parziale (con una grossa quota di part-time involontario) rispetto al 7 per cento degli uomini. Quanto ai settori occupazionali, circa il 26 per cento dell’impiego femminile si concentra negli ambiti salute, istruzione e assistenza sociale; contro un 9 per cento degli uomini. Invece le donne sono meno presenti rispetto agli uomini (6 per cento contro 31 per cento) nella professioni scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche.
Inoltre, come hanno dimostrato precedenti pandemie, nel breve-medio termine la ricaduta economica del Covid-19 si ripercuoterà (si sta ripercuotendo) prima di tutto su settori in cui le lavoratrici sono fortemente impiegate. Secondo le medie Ocse, 53 nei servizi di ristorazione, 60 nei servizi di alloggio e 62 nel settore della vendita al dettaglio. Dunque, si evidenzia un aggravamento della “questione femminile” nella più vasta catastrofe del contagio in corso. Quali sono – nello specifico – gli impatti nella nostra realtà locale? È ipotizzabile che una maggioranza di governo regionale intrisa di umori bassamente maschilistici e padronali decida di monitorare la questione e disporre interventi di sostegno?
PFP


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LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI
28 febbraio 2021


EDITORIALI

La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
ӿ   ӿ   ӿ
Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

I giovani migranti liguri, loro malgrado
Non è necessario essere degli esperti per quanto di più ovvio possa dirsi in merito alla nostra economia: questa maledetta pandemia sta producendo danni enormi a scapito delle fasce più deboli, e sta facendo arricchire oltre misura quelle già ricche. Ma non che prima le cose andassero meglio, e la nostra regione è uno dei peggiori esempi. Soprattutto per quanto riguarda il “mercato” dei giovani. Nel Rapporto Liguria 2019 di Unioncamere sulla situazione socio economica ligure, nel disastro generale della diminuzione delle imprese giovanili, l’unica che mostrava un aumento era quella della ristorazione, decimata ormai dalle chiusure causa Covid. Gli ultimi dati (fonte:Eures) della nostra regione parlano di 65.00 persone in cerca di occupazione, e di questo il 40% circa sono under 35. Questo dato drammatico non tiene però conto dei giovani (e non solo) che hanno perso le speranze di trovare un lavoro e non sono più nemmeno “in cerca di occupazione”. E se nel 2018 (dato più recente) in Italia sono andate via 140.000 persone, di cui 70.000 laureati (l’85% giovani) in cerca di lavoro, solo da Genova (fonte Secolo XIX) nel 2017 ne sono emigrati 11.000, nella maggior parte giovani. Ovvero, mentre la popolazione ligure rappresenta il 2,5% di quella italiana, gli emigranti liguri sono in proporzione più di tre volte tanti (quasi l’8%). Dice un recente adagio che il vero problema non sono le intelligenze che emigrano, ma i cretini che restano. E’ questione di proporzione. Ma qui il discorso si farebbe troppo lungo. Tornando ai numeri che non sono opinioni, 140.000 persone rappresentano il 9% della popolazione residente. In teoria, in poco più di dieci anni, la Liguria diventerebbe un deserto. Di questi 55mila, quasi il 40% (Fonte AIRE, l’Anagrafe Italiana dei Residenti all’Estero) hanno un’età inferiore ai 35 anni. E, per quanto ancora ovvio, la motivazione che spinge i nostri giovani a emigrare è esclusivamente la ricerca di un’occupazione qualunque precaria o stabile. Eppure le risorse economiche per finanziare l’occupazione ci sarebbero, e di provenienza europea, ma chi dovrebbe gestire queste risorse o non è capace o se ne infischia. Tertium non datur.
CAM



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28 febbraio 2021


EDITORIALI

La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Riformare gli ammortizzatori sociali e il sostegno al reddito
Tanto per dire, secondo i dati ISTAT le povertà assolute in Liguria erano 141.945 già prima del Coronavirus: il 9% dell’intera popolazione.
Da molti anni si parla di riforma degli ammortizzatori sociali in Italia, ma non si passa mai all’azione. Gli incontri tra i sindacati dei lavoratori e il nuovo ministro del lavoro Orlando fanno sperare che, finalmente, si possa avviare un processo riformatore.
Se da un lato strumenti come la cassa integrazione e dall’altro il reddito di cittadinanza, deputati a funzioni ben diverse tra loro, hanno consentito di tamponare le drammatiche urgenze sociali nel periodo della pandemia, dall’altro sono apparsi ancora più evidenti i loro limiti e la necessità di un intervento su tutto il sistema, coniugando ammortizzatori sociali e sostegno al reddito.
È giunto il momento di superare la concezione clientelar-filantropica del reddito di cittadinanza, strumento destinato più a spargere contributi a pioggia, nella speranza di ricavarne voti elettorali, che funzionale all’inserimento con piena dignità delle persone nel ciclo produttivo. I dati sono clamorosi. Una recente indagine del Sole 24 Ore dimostrava come l’88% degli italiani non fosse d’accordo con uno strumento così come concepito. 
Il punto centrale delle critiche si concentra sul risultato disastroso dei “navigator”: le 10.000 persone assunte senza concorso e deputate a pilotare i percettori del reddito di cittadinanza verso un impiego. La percentuale è stata irrisoria e fallimentare. Occorre prenderne atto e pensare misure più efficaci.
Contemporaneamente, sono emersi i limiti dei più tradizionali ammortizzatori sociali. La cassa integrazione guadagni (CIG) e il sistema della bilateralità non coprono esattamente tutte le forme di lavoro anche dipendente (lavoro a termine, lavoro a chiamata, collaboratori a progetto, apprendisti, ecc.), non comprendono le varie forme di attività autonoma e di micro-impresa (dalle partite IVA ai piccoli professionisti, artigiani, commercianti, operatori turistici e altro). Molte di queste attività, già prostrate dalla più lunga crisi del dopoguerra, hanno ricevuto un colpo di grazia dalla pandemia da covid 19. Il sistema dei ristori ha funzionato a singhiozzo; spesso con ritardi inammissibili.
Occorre uno strumento di nuova concezione, che comprenda tutti i lavoratori, dipendenti (a prescindere dal tipo di contratto), autonomi o di micro impresa a taglia minima. Questo strumento dovrebbe comprendere anche il reddito di cittadinanza collegato alle politiche attive del lavoro, a progetti di formazione o riformazione per l’occupabilità. E chi rifiutasse queste prospettive dovrebbe essere automaticamente cancellato dai piani di assistenza.
Per funzionare al meglio un tale strumento ha bisogno di una seria regia pubblica e di rigore nella gestione; in grado di fornire alle imprese lavoratori formati in base alle esigenze specifiche della mansione. È anche necessario prevedere forme d’incentivazione alle assunzioni come sgravi fiscali e contributivi o credito d’imposta.
Un lavoro garantito per ogni cittadino e un sostegno sociale nel momento in cui tale lavoro venga meno sono diritti costituzionali. In analogia con la rivoluzione realizzata dalla riforma sanitaria (oggi sotto attacco da parte di chi vuole speculare sulla nostra vita) quando si stabilì che la salute era un diritto universale dei cittadini, indipendentemente dalla collocazione professionale.
Avere un simile “paracadute sociale” darebbe uno stimolo formidabile al mercato del lavoro, consentendo di superare alcune delle rigidità che attualmente ne ostacolano il pieno sviluppo. 
Non sarà facile arrivarci, ma è bene cominciare a parlarne.
NC


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Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

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Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Liguria, terra di ludopatici 
Ludopatia: è la dipendenza comportamentale da gioco d’azzardo. Gli effetti sono devastanti: a livello personale e familiare significa spesso perdita del lavoro, distruzione economica e psicologica del nucleo domestico con atteggiamenti aggressivi, mentre per continuare a giocare si ruba in casa e fuori. Le conseguenze macroeconomiche sono altrettanto micidiali: se è vero che lo stato incassa circa dieci miliardi ogni anno, la ludopatia, malattia riconosciuta, ne fa spendere circa il doppio, fra costi diretti e indiretti: i ludopatici accertati in Italia sono 1,3 milioni ma i soggetti a rischio, secondo Istat, sono circa il doppio. E c’è ancora di peggio, se possibile, perché il gioco illegale, gestito dalle mafie, incassa oltre 20 miliardi l’anno, generando un indotto di usura e di criminalità. Ci sarebbero delle leggi che potrebbero contrastare il gioco d’azzardo e in alcune regioni, sono state messe in atto. Chi brilla per assenza è invece la regione Liguria. La legge 17 del 2012, che individua le regole per la prevenzione, sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2017, ma così non è stato. Eppure, secondo una recente indagine di Primo Canale, i dati della nostra regione sono fra i più drammatici. Queste le spese pro capite annue per abitante (compresi i bambini) per il 2019: Genova 1.330 euro, Savona 1.652, La Spezia 1.471, Imperia 1.132. Nel 2019 la spesa complessiva è stata pari a 36,4 miliardi (+16% rispetto al 2018), un terzo delle giocate complessive in Italia. Un incremento del 70% negli ultimi 4 anni. Il 60% del gioco d’azzardo complessivo si riferisce alle cosiddette macchinette mangiasoldi, che proliferano nei bar e nelle tabaccherie. Eppure, applicando la regola dei 300 metri dai luoghi sensibili (banche, scuole, ospedali) queste dispensatrici di morte personale, civile e sociale avrebbero spazio soltanto in qualche lontana periferia. La triste conclusione è che manca la volontà politica di eliminare il gioco d’azzardo da parte della maggioranza che governa, mentre tace o pigola soltanto quell’opposizione che di questa lotta dovrebbe farne invece una bandiera.
CAM


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28 febbraio 2021


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La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Rigenerazione urbana: fatta la legge trovato l’inganno (per speculare)
Il consumo di suolo avviene, in Liguria, anche grazie a leggi regionali che, stando al loro enunciato, dovrebbero combatterlo. Lo dimostra l’approvazione, da parte del Comune della Spezia, del progetto presentato dai privati per la demolizione delle casupole e degli orti del Borgo Baceo, nella parte terminale del Parco della Maggiolina, e per la realizzazione al loro posto di due palazzoni di otto piani e di una di cinque. L’area è degradata, ma è comunque l'ultima testimonianza del passato agricolo della piana di Migliarina, nel cuore della città: un’area di pregio che andrebbe recuperata, non cancellata. Un moderato completamento edilizio, per esempio, potrebbe essere di supporto al suo recupero, connesso al tema della ruralità urbana e a quello del completamento del Parco. 
Il progetto immobiliare è stato approvato in quanto opera in attuazione della legge regionale di “rigenerazione urbana e recupero del territorio agricolo” (n. 23, 2018). La legge, votata da tutti tranne il M5S, prevede la possibilità per i Comuni di individuare aree di degrado da rigenerare e apre al contributo del privato nella formulazione delle proposte. Astrattamente questi enunciati sembrano un passo in avanti verso il miglioramento delle condizioni delle parti di città abbandonate. Tuttavia nella legge si nasconde un vero e proprio "cavallo di troia", che la trasforma, nella realtà, in un ulteriore strumento di delegittimazione della pianificazione e del ruolo del pubblico e di deroga alle regole. Il privato può infatti proporre interventi anche in variante al Piano Urbanistico Comunale: come è accaduto alla Spezia, dove il privato ha proposto, e ottenuto, il raddoppio dell’indice di edificabilità.
La legge consente che i Comuni meno virtuosi possano scivolare facilmente nella logica del "caso per caso" lasciando fare all' iniziativa privata, per giunta in deroga ai Piani. In questo indebolimento del ruolo del pubblico si nasconde l'ennesimo assalto della deregolazione contro la pianificazione: non essendoci che principi astratti a cui fare riferimento, chiunque può proporre un intervento speculativo per rimuovere sì condizioni di degrado, con il solo “filtro” dell'esercizio della discrezionalità da parte del Comune. 
Lo stesso spirito caratterizza la legge in materia della Regione Lombardia (n. 18, 2019). Ma il TAR lombardo, con la sentenza 371/2021, si è rivolto alla Corte Costituzionale: perché la legge impedisce ai Comuni una coerente pianificazione e perché contrasta con le stesse prescrizioni regionali sulla riduzione del consumo di suolo. La pronuncia della Corte sarà dunque utile anche per noi liguri. 
Intanto alla Spezia molti cittadini si sono mobilitati a difesa del Borgo Baceo. Non solo: la Soprintendenza ha annunciato che attiverà la procedura di Verifica di interesse culturale e ha criticato il progetto per la mancanza della necessaria ricognizione del patrimonio culturale, storico, paesaggistico, archeologico e per le sue “molteplici criticità”, che dovranno essere analizzate “al fine di sviluppare una soluzione progettuale adeguata alla necessità di tutela culturale e paesaggistica dei luoghi”. Ora è ineludibile la Valutazione Ambientale Strategica (VAS): sarà la sede in cui tutti gli enti e i soggetti interessati dovranno ricercare la “soluzione progettuale adeguata”.
Grazie ai movimenti dal basso e all’apporto di alcuni livelli istituzionali la speculazione e la deregolazione potrebbero, per una volta, non averla vinta.
GP


P 14
LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI
28 febbraio 2021


EDITORIALI

La Liguria al tempo della pandemia
Care e cari liguri,
ormai da quasi un anno viviamo una vita da confinati in casa per combattere con il distanziamento i terribili effetti del contagio da Coronavirus, in attesa che la ricerca scientifica ci indichi una via d’uscita e la politica dia un senso a questo impegno civile; a cui la nostra gente non si è mai sottratta. Ma se le notizie sul fronte dei vaccini in arrivo sono segni di speranza, la situazione in cui ci troviamo continua ad apparire disperante; sempre all’inseguimento (molto Mediaset-style) dello screditato modello sanitario lombardo, che punta tutto sugli ospedali rendendo marginale la medicina territoriale e di comunità e svende la salute alla speculazione. Scriveva il Secolo XIX del 14 febbraio: «sono 274 i nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore in Liguria, a fronte di 3.193 tamponi molecolari e 1.448 tamponi rapidi. La percentuale positivi-tamponi sale al 5,90%, oltre un punto percentuale in più rispetto a sabato 13 febbraio. E sale ancora purtroppo la curva del dolore: tra sabato e domenica 14 febbraio sono morte otto persone. Dall’inizio dell’emergenza le vittime liguri dell’epidemia sono 3.515. I positivi sono complessivamente 5.850. Aumentano i ricoveri: negli ospedali liguri sono ricoverati 653 pazienti (13 in più rispetto a sabato 13 febbraio), di cui 62 nei reparti di terapia intensiva. In sorveglianza attiva si trovano 5.836 persone. I soggetti in isolamento domiciliare 4.362, 149 in più rispetto a sabato 13 febbraio». Ennesima conferma a consuntivo che la gestione di questa tragedia collettiva da parte delle istituzioni regionali è stata fallimentare. Insomma, i nostri amministratori - Giovanni Toti in testa - hanno risposto alla moria perseguendo strumentalizzazioni demagogiche per trarne vantaggi politici; assecondando i più irresponsabili istinti alle aperture indiscriminate, alla prevalenza degli interessi economici individuali sulla solidarietà collettiva, di quella che presumono essere la loro base elettorale. Da qui il persistente scontro con il Governo nazionale quando proponeva scelte di rigore; un’impostazione sanitaria ospedalecentrica, che trascura il territorio; l’indifferenza nei confronti dei soggetti più a rischio. Come quando l’ineffabile Toti twittava che gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Finestra di verità sul pensiero reale di chi ci governa, subito occultato da precipitose marce indietro di rettifica. Però, almeno un istante, il suo vero volto era apparso in piena luce.
Sicché, proprio mentre c’è chi vorrebbe approfittare dell’isolamento per passivizzarci, intontendoci con quelle chiacchiere che sono l’unica attività politica in cui eccelle, abbiamo deciso di varare la nostra iniziativa editoriale. Perché la drammatica esperienza che stiamo vivendo diventi un’opportunità: creare le condizioni attraverso il pubblico dibattito per la riconquista di quanto da troppo tempo ci è stato sottratto: la buona politica.
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Fascisti in Liguria
La Liguria, terra di antiche tradizioni democratiche e antifasciste, sta diventando l’inquietante laboratorio e la vetrina nazionale di una cancellazione della memoria storica, che riduce in balia del peggior rampantismo oltranzista destrorso le pallide animucce che pretendono di essere eredi e propugnatrici di ben diversi lasciti; della fierezza combattiva, salda nei propri valori di Giustizia e Libertà, determinata a ricacciare le insorgenze reazionarie nei lugubri anfratti dove erano state confinate dalla guerra di liberazione nazionale. Dalle donne e dagli uomini, dai giovani di Liguria, che scesero dalla montagna nella primavera del 1945 con il mitra a tracolla e liberarono le nostre città e i nostri paesi dal giogo degli occupanti nazi-fascisti.
Una consapevolezza che ritenevamo incrollabile e che ora vediamo svenduta da questa che non è sbadatezza o maldestraggine, bensì un vero e proprio cortocircuito culturale. La liquidazione dei capisaldi repubblicani della nostra Costituzione, avviata dall’entrata in campo del maestro di ogni spregiudicatezza – il pregiudicato Silvio Berlusconi – che impostò la sua strategia per la conquista del potere legittimando gli eredi del regime di Salò rintanati nel MSI (lo sdoganamento del loro segretario Gianfranco Fini come candidato sindaco di Roma nel 1993). Operazione sovversiva mai contrastata da una Sinistra entrista, obnubilata dai vaneggiamenti della Terza Via di Blair e Clinton (officiati da Anthony Giddens con il suo saggio furbetto “Oltre la Destra e la Sinistra”). I professionisti della politica cresciuti a sinistra ma che ormai anteponevano le delizie dei privilegi agli impegni per una società più giusta.
Mai avremmo previsto si giungesse ai livelli di condiscendenza subalterna al peggio del peggio cui stiamo assistendo. Sempre nella sostanziale indifferenza di una pubblica opinione ridotta al fatalismo. Ora si verifica qualcosa di peggio: il passaggio dalla condiscendenza ponziopilatesca alla correità. Quanto è avvenuto a Genova, con l’iniziale adesione del PD a un OdG di maggioranza che propone di costituire un’anagrafe che equipari fascismo e comunismo. Intanto è già caduta la testa della capogruppo piddina Cristina Lodi. Ma il ricorso al capro espiatorio non cancella l’impressione che questo ceto di partito – come aveva già dimostrato il voto favorevole del PD all’analoga risoluzione del Parlamento europeo nel settembre 2019 – fa propria la nuova vulgata egemone: accomunare chi si batteva per il riscatto proletario e chi si candidava a mazziere della reazione. Tema su cui – alla fine - i nostri eroi del PD genovese si son limitati ad astenersi. E ovviamente i renziani hanno votato a favore.
La ripulsa di ogni declinazione del totalitarismo novecentesco non rimuova l’impegno etico e civile - prima ancora che politico - a distinguere.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”
Cristina Bicceri, Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti


FATTI DI LIGURIA

Del “modello Genova” (P14)
Più si allontana nel tempo l’immagine del nuovo ponte sul Polcevera, più si affievolisce la giustificata emozione che si è accompagnata alla sua inaugurazione; tanto più sbiadito, opaco, se non addirittura imbarazzante è divenuto il richiamo al ‘modello Genova’, elevato al rango di mito.
Ogni mito – è noto – serve soprattutto a rassicurare circa la non ripetibilità di quanto da esso rappresentato, nel bene come nel male.
Il mito del ‘modello Genova’ serve ormai a richiamare l’attesa di un evento miracoloso e irripetibile : la palingenesi dell’altro, quanto diverso, sistema. Quello dei pubblici appalti.
Infatti il ‘sistema’ degli appalti pubblici si contrappone radicalmente a quello che ha assunto il nome della nostra città, in genere legato a eventi luttuosi o deprimenti .
Il primo, il sistema degli appalti pubblici, si rivela soprattutto per la propria paradossale a-sistematicità. Farraginoso e burocratico accumularsi di provvedimenti presi sulla spinta di esigenze ‘politiche’ contingenti, quel complesso normativo è il frutto – malato – di un’esigenza reale: contrastare la criminalità organizzata che negli appalti pubblici, grazie alla corruzione, ha visto e continua a vedere la principale fonte di guadagni illeciti . L’idea è che lo strumento normativo valga di per sé a combattere quel fenomeno.
Accade in realtà che proprio dalla complessità formale e farraginosa di quell’insieme eterogeneo di norme, destinate a combatterla, la criminalità organizzata riesca a trarre paradossali vantaggi.
L’ANAC, che sotto la guida del buon Raffaele Cantone sembrava indirizzata a mettere al sicuro gli appalti dagli attacchi famelici delle mafie e della corruzione, è oggi in manifesto stato di crisi; se non sul punto di gettare la spugna.
La politica, come noto, ha le sue gatte da pelare, mentre la PA rimane in perenne attesa di una riforma che nessuno sembra in grado di immaginare.
Rispetto a questa situazione, la realizzazione in tempi brevissimi del Ponte di Genova sembra non solo un miracolo tecnologico, ma – soprattutto – un miracolo del ‘saper fare‘ italiano , i cui successi all’estero non sono in genere riscontrabili in patria.
Il ‘miracolo’ genovese è stato - lo sappiamo – il convergere irripetibile di alcune circostanze: una situazione altamente drammatica e senza precedenti; il ‘saper fare’ italiano messosi a disposizione per intervenire nelle sue forme private come in quelle pubbliche; la disponibilità di una tecnologia d’avanguardia e di mezzi finanziari apparentemente illimitati; la assoluta prevalenza accordata alla necessità di realizzare l’opera nei tempi più brevi; la scelta – imposta da circostanze straordinarie - di scavalcare senza esitazione la normativa ordinaria in favore della più agile normativa europea.
Questo complesso di circostanze non può divenire ‘sistema’ o modello da replicare nell’ordinario.
I miracoli , proprio perché tali, non fanno ‘sistema’, anche se molti in Italia sembrano convinti del contrario.
L’ordinario è molto più complicato e difficile da affrontare.
Un insieme di norme, anche il più perfetto, non può supplire all’azione – o all’inerzia - di chi deve applicarle, farle rispettare e soprattutto rispettarle. La legge non offre mai un rifugio a chi sfugge dalla responsabilità e da quella che gli anglosassoni chiamano accountability; con un termine non a caso intraducibile nella nostra lingua.
La responsabilità riguarda i risultati che una comunità richiede vengano realizzati da chi è investito di funzioni pubbliche o comunque di interesse generale. L’accountability richiede che i processi o i procedimenti attuati per il conseguimento di quei fini o di quei risultati siano – in ogni momento – trasparenti, accessibili , verificabili.
La strada della responsabilità, come quella dell’accountability è difficile, impervia, spesso avara di soddisfazioni, ma deve a tutti i costi essere percorsa , se si vuole evitare di affidarsi ai miracoli.
O alle tragedie.
MM