Numero 05, 30 aprile 2021

PILLOLE

Mamma li turchi, a Genova

Si sa che L’Italia vende armi e navi da guerra all’Egitto, alla faccia del vergognoso balletto diplomatico di silenzi e bugie sulla morte di Giulio Regeni, senza dimenticare l’assurdo caso di Patrick Zaki, ancora detenuto nelle carceri egiziane. E giù questo rospo. Si sa anche che versiamo miliardi nelle casse turche perché si tengano i migranti, fregandosene delle loro condizioni. Ma la Turchia è il terzo mercato italiano per l’export di armamenti. Secondo rospo, gigantesco, da ingoiare. Però non si sa bene cosa ci fanno quei soldati italiani in tuta mimetica e mitra in piazza de Ferrari a Genova, occupando militarmente il marciapiede con tenda e camionetta: piantonano il consolato turco nella nostra città. E perché dobbiamo pagarli noi? Stavolta il rospo va sputato.

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Borzonasca, morire a 40 anni per le cure truffaldine di un curandero

Borzonasca è un piccolo centro collinare alle spalle di Chiavari. Qui aveva collocato la propria base, ben nascosta e chiusa a visitatori esterni, la comunità olistica ANIDRA, guidata dal “santone” Paolo Bandinelli. Qui una quarantenne, plagiata dal Santone che le curava un tumore con tisane di erbe, è morta tra atroci sofferenze. E’ coinvolto anche un medico, Paolo Oneda, che ha operato la signora per l’asportazione di un neo, rivelatosi poi un tumore, con un intervento su una tavolo da cucina e senza anestesia. I due sono stati arrestati. Agli ospiti del centro Santone e complici estorcevano 5.000 euro, più donazioni varie e lavoro obbligatorio. È l’ora di un intervento legislativo che sottoponga simili centri o comunità al controllo delle autorità sanitarie e di polizia.

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Bucci affila le armi per le prossime amministrative (e se ne sbatte delle regole)

Il sindaco Marco Bucci ha defenestrato il funzionario a capo dell’ufficio stampa, sostituendolo con il proprio portavoce Federico Casabella, ex firma del Giornale; che gonfia il proprio stipendio di 39mila€ e – fatto ben più significativo – assomma in sé i due ruoli di assistente (politico) del primo cittadino e responsabile (istituzionale) della comunicazione dell’Ente. Scelta motivata sostenendo che “l’attività di comunicazione istituzionale si è intensificata per l’emergenza sanitaria”. Quando il motivo di Bucci è ben altro: affidare a un anno dalle amministrative l’ufficio e i suoi 11 dipendenti allo spin doctor. In barba alla legge 150/08 istitutiva della figura del portavoce precisando che “l’ufficio stampa è al servizio dell’amministrazione e non del sindaco”.

EDITORIALI
Toti e Bucci, ce li dovremo tenere per un’eternità?
Qualcosa sta crescendo nel ventre della politica ligure. Ci riferiamo all’ormai sempre più evidente corrispondenza di amorosi sensi tra la comunità degli affari locale e questa Destra rampante e servile, tracotante con i deboli e attappetata con i potenti che occupa tutte le principali caselle del potere d’area. Scendendo pe’ li rami, dalla reggia genovese del sedicente governatore Giovanni Toti (lascito immobiliare ad alto tasso di ostentatività da parte del suo predecessore Claudio Burlando) ai municipi di tutti i capoluoghi provinciali. Riproponendo la stessa maschera politica grifagna del cinico scalatore dei palazzi del Potere calata sul volto compiaciuto di interpreti vecchi e nuovi: dall’eterno rieccolo Claudio Scajola, il cui feudo elettorale si estende fino al savonese, al presunto homo novus genovese – il manager de ché Marco Bucci, per arrivare a Levante al sindacalista in carriera Pierluigi Peracchini, predestinato per la nascita a Salò a essere folgorato sulla via del potere dall’apparizione totiana e dal fascino mistico della di lui fondazione-cassaforte Change; da cui gli sono pervenuti ben 67.500 euro per spesucce elettorali.
Non ci sarebbe troppo da stupirsi, visto che Giovanni Toti – capofila del pacchetto di mischia alla conquista della Liguria – si è limitato, nel suo primo quinquennio di politico ex Mediaset, a sostituirsi al burlandismo ricopiandone le strategie. E la cartina di tornasole è la figura ubiqua di Aldo Spinelli, già fedelissimo di Burlando e ora all’orecchio del suo successore, in una trasmigrazione dai due lati contrapposti dello schieramento politico lubrificata dal finanziamento all’immancabile Change di 25mila euro (in cambio del grazioso dono di 14mila metri quadri di banchine pregiate nello scalo genovese). Ma – a quanto è dato di sapere – non si tratta soltanto delle solite politiche di scambio in uso a 360° nell’attuale relazione tra Casta di partito e affaristi. Qui è in ballo qualcosa di più profondo e serio: il determinarsi di un vero e proprio connubio di affinità elettive per cui la nostra business community, in passato sempre pronta a fare affari con la politica ma tenendola a debita distanza, ora sembra averla decisamente adottata. Tanto da configurare la creazione di un vero e proprio blocco storico – soldi e controllo delle istituzioni – che andrebbe a prefigurare un’egemonia di lunga durata. Di cui dobbiamo continuare a dire grazie alle forze di opposizione che dimostrarono palesemente lo scorso autunno di non voler vincere le amministrative regionali, accontentandosi del mantenimento degli strapuntini già in loro possesso. Quando l’allora presidente uscente di Regione Liguria sembrava indebolito dalle lotte intestine al suo schieramento e la sua poltrona largamente contendibile.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Nicola Caprioni, Angelo Ciani, Monica Faridone, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Giorgio Pagano, Pierfranco Pellizzetti

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Ancora sulle devastazioni dei Parchi regionali

Sembra essersi riaperta la stagione delle miniere per la nostra regione.

Il 26 febbraio di quest’anno infatti, grazie ad un decreto dirigenziale, la Regione Liguria ha concesso per tre anni alla Compagnia Europea del Titanio la possibilità di effettuare ricerche nel comprensorio del Beigua, in Provincia di Savona.

Quei territori, cui appartengono il Parco regionale del Beigua (riconosciuto dall’Unesco come Global Geopark per il patrimonio geologico presente) e diverse Zone di Conservazione Speciale della Rete Natura 2000, tornano al centro dell’attenzione per la presenza di titanio.

Invece tra la Provincia della Spezia e quella di Genova i minerali interessati dalla richiesta di ricerca presentata il 17 marzo al Ministero dell’Ambiente da Energia Minerals (Italia) S.r.l. sono rame, piombo, zinco, argento, oro, cobalto, nickel, manganese e minerali associati.

Per quest’ultima pratica, che interessa una superficie di 8.243 ettari, buona parte del territorio da sondare ricade all’interno del Parco Regionale dell’Aveto e di tre Zone Speciali di Conservazione.

Il rinnovato interesse che potrebbe portare al devastante riavvio dell’industria mineraria, cui le ricerche rappresentano una condizione propedeutica per la presentazione di proposte progettuali operative, è fondato sulla preoccupazione delle istituzioni europee per l’approvvigionamento delle materie prime critiche, in una fase storica in cui sempre più marginale sarà l’utilizzo delle fonti fossili. Ogni tre anni infatti la Commissione europea invia una Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni con la lista relativa alle materie prime considerate a rischio e ritenute fondamentali per lo sviluppo sociale ed economico del nostro continente.

Nel 2011 erano quattordici e nell’ultima comunicazione del settembre 2020 sono diventate trenta.

Tra i minerali citati per le ricerche in Liguria gli unici rappresentati nella lista sono il cobalto e, da quest’anno, il titanio.

Piuttosto che riaprire miniere in zone che hanno lasciato alle spalle uno sviluppo industriale pesante (come nel caso della Val Graveglia che ha saputo trasformare quell’epoca storica in una opportunità turistica rendendo visitabile la dismessa miniera di Gambatesa) o di aprirne di nuove, come nel caso del Beigua, sarebbe utile promuovere anche in questo settore industriale l’economia circolare.

Nella documentazione redatta dalla Commissione europea è presente un richiamo all’economia circolare e si sottolinea che ancora troppi sono gli sprechi ed è necessario aumentare il recupero ed il riciclo. Se deve essere trovata la strada per garantire la resilienza delle materie prime critiche tracciando un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità per il nostro continente, questa dovrà trovare consenso sociale. I territori oggetto di ricerche minerarie oggi sono riconosciuti dai residenti e dai turisti grazie ad una narrazione costruita in decenni di lavoro che ha messo in evidenza un modello di sviluppo sostenibile e che in queste settimane viene difeso dagli Enti locali, dai cittadini e dalle associazioni che chiedono di arrestare le ricerche e si oppongono ad uno sgradito ed inopportuno ritorno al passato.

Santo Grammatico Presidente di Legambiente Liguria

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FATTI DI LIGURIA

La legge urbanistica regionale: l’ambiente svenduto al mercato

La legge n. 59 “Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)” approvata il 26 aprile in Regione è un micidiale esempio di pensiero neoliberista applicato all’urbanistica.

L’art. 1 stabilisce che “gli strumenti della pianificazione territoriale di livello comunale sono: per i Comuni individuati dal Piano Territoriale Regionale, il piano dei Servizi e delle Infrastrutture (PSI) e il Piano Urbanistico Locale (PUL) e per i restanti il PUC e i Progetti urbanistici operativi”.

Il Piano Territoriale Regionale (PTR), ancora in fase di redazione, è lo strumento che dà coerenza alle modifiche: l’ombra nera che aleggia su tutto.  Il PTR delinea gli scenari futuri dicendo che le città, le conurbazioni costiere e delle valli interne e i poli attrattori dell’entroterra dovranno redigere il PSI e il PUL. La norma crea dunque due categorie di Comuni: una deve redigere il PSI e il PUL, un’altra -composta dai piccoli Comuni dell’entroterra- il PUC (il Piano Urbanistico Comunale che prima delle modifiche era previsto per tutti i Comuni). La “riforma” ha lo scopo, ha spiegato la Giunta regionale, di superare l’unicità della pianificazione urbanistica comunale separando la parte relativa ai servizi e alle infrastrutture pubbliche da quella relativa al privato, alle previsioni relative alla destinazione d’uso dei suoli. Ma la pianificazione ha bisogno di una visione unitaria e complessiva: tutto è strategico, non solo i servizi e le infrastrutture. La città della quotidianità non è separabile dalla città dei servizi e delle infrastrutture.

A dover redigere il PUC rimarrebbero i Comuni dell’entroterra non “poli attrattori”. Ma attenzione: l’art. 9 della “riforma” stabilisce che il Piano territoriale di coordinamento paesistico non si applica a questi territori. L’aspetto più importante per l’entroterra, il paesaggio, non ha valore: perché è concepito come “limitazione” dello sviluppo.

C’è un uso distorto del principio di sussidiarietà: apparentemente si dà più libertà ai piccoli Comuni, ma poi non si garantiscono loro gli strumenti per poter organizzare questa libertà. Il rischio è una contrattazione con i privati che, in assenza di modalità e strutture, si trasformi in una carta bianca ai privati stessi. Quale Sindaco sarebbe in grado di dire no al privato che volesse trasformare un borgo abbandonato in un resort?

L’entroterra ha bisogno di una proposta radicalmente alternativa: agevolazioni e sgravi fiscali per la residenzialità stabile, oggi favorita dai processi di telelavoro, oltre che dalla qualità della vita e dai costi minori; fibra ottica; interventi contro il dissesto idrogeologico; incentivi all’agricoltura, che va concepita come servizio ecosistemico pubblico. L’agricoltura intesa nel suo potenziale di recupero dei territori abbandonati è infatti un fattore di prevenzione del rischio idrogeologico. In questo senso deve essere, in particolare negli insediamenti dell’entroterra, considerata nei termini dell’espletamento di un servizio pubblico di primaria importanza, e in quest’ottica considerata strategicamente: per la garanzia della sicurezza delle città che, più a valle, risentono degli effetti talvolta disastrosi della fragilità delle aree di versante; e per la preservazione della biodiversità e del paesaggio culturale, fattori di qualità della vita.

L’obiettivo di fondo è la residenzialità: perché oltre una certa soglia di spopolamento neppure il turismo è possibile. La “riforma” non affronta questo tema e dice in sostanza: fate quel che volete, io non vi controllo, la palla va al più forte, cioè al Mercato. Proprio per questo è priva di speranza.

GP

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FATTI DI LIGURIA

Liguria, la scomparsa della piccola borghesia

In base all’indice di sofferenza economica regionale di Demoskopika, la Liguria è una delle cinque regioni italiane più colpite dalla pandemia. Dato che si innesta nella tendenza all’allargamento delle disuguaglianze, in ascesa da tempo nel nostro Paese: se oggi lo 0,1% più benestante possiede il 10% della ricchezza complessiva, il 50% più povero è scivolato al 3,5%; nel 1995 le rispettive quote erano 5 e 12.

Infatti una recente ricerca dell’associazione Genova che osa ha messo in evidenza che «in un’economia che permane in una fase prolungata di stagnazione, non solo il reddito medio continua a diminuire ma la sua distribuzione è sempre più diseguale: il 5 per cento dei più ricchi dichiara il 21 per cento di tutto l’imponibile a fronte del 27 per cento dei più poveri che arriva al solo 6 per cento dell’ammontare complessivo». Fenomeno in costante aggravamento, sia per quanto riguarda la povertà assoluta, sia per quella relativa; in cui cresce il numero di nostri concittadini che stanno avvicinandosi alle soglie dell’indigenza. Un mutamento della composizione sociale tradotto nella contrazione del ceto medio nel nostro paese, in atto da un quarto di secolo; e aggravato dalla pandemia in corso: se alla fine degli anni Novanta gli italiani che si riconoscevano nella parte mediana della società era il 70%, dopo un ventennio di crisi erano calati al 40% e ora – grazie al Covid-19 – si riducono ulteriormente al 30%.

Per quanto riguarda lo specifico regionale ligure, un trend ancora in attesa di essere esplorato grazie a indicatori attendibili. Ma che si percepisce in costante espansione, a partire da pur rozze constatazioni degli effetti indotti. Che rivelerebbero la graduale scomparsa di quella piccola e media borghesia creata da un secolo di espansione economica, che si declinava in benessere diffuso e maggiore inclusione. Infatti basta una semplice passeggiata nel centro di Genova per averne conferma. Ossia la scoperta che buona parte dei negozi che fornivano simboli di status alla città delle professioni hanno chiuso i propri battenti per mancanza di clientela. Tanto per fare qualche nome: Pescetto e Forni in via Roma, Bonino in via XX Settembre, Berti e la Rinascente in Piccapietra. Ossia i fornitori di un pubblico composto dalle famiglie di avvocati, commercialisti e piccoli imprenditori, la cui capacità d’acquisto è stata falcidiata dall’incepparsi delle tradizionali locomotive economiche d’area: il porto e le grandi fabbriche partecipate dallo Stato.

PFP

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FATTI DI LIGURIA

Continua la guerra nella grande distribuzione in Liguria
Ne avevamo già parlato su la Voce del Circolo Pertini del 28 febbraio scorso: l’arrivo di Esselunga dei miliardari Caprotti si inserisce in una guerra commerciale con le Coop, che è anche un regolamento di conti tra gruppi di partito per stabilire a chi spetta l’egemonia territoriale. Con i finanziamenti di sospetta origine a far da ponte tra affari e politica. In particolare il via libera all’arrivo della catena privata di Pioltello (Milano) assicurato da Giovanni Toti, contestuale al finanziamento di 50mila€ erogato dall’impresa costruttrice dei supermercati del gruppo Caprotti (la AEP di Pavia) a favore della finanziaria Change che fa capo al Governatore; come pubblicato da l’Espresso. A danno del movimento cooperativo, che in passato fruiva di una situazione oligopolistica di mercato grazie ai rapporti privilegiati con la sinistra facente capo a Claudio Burlando.
Nella cronica disattenzione della stampa locale al significato della notizia, è l’house organ di Coop Liguria a informarci che «ricorrerà al TAR contro la delibera approvata il 23 febbraio dal Consiglio comunale di Genova, che ha aggiornato il Piano Urbanistico Comunale (P.U.C.) per spianare la strada all’apertura di un ipermercato Esselunga di 3.200 metri quadrati, che dovrebbe sorgere nell’area di San Benigno, a Sampierdarena, a pochi passi dal superstore Coop Antonio Negri». Poi precisa che «l’area di cui si discute rientra nel perimetro del Porto di Genova, sul quale non ha competenza il P.U.C. bensì il Piano Regolatore Portuale. Quindi, il Comune non può deliberare senza prima consultare l’Autorità di Sistema Portuale, la cui competenza è preminente e con cui Coop Liguria ha stipulato un accordo alla fine degli anni ’90 che esclude insediamenti nell’area di ulteriori strutture alimentari».
Riguardo alla controversa materia la VdCP non ha posizioni per cui parteggiare (a prescindere da una qualche riserva nei confronti del proliferante gigantismo distributivo). Registra soltanto gravi collusioni, sintomo di mondi (partiti e imprese) che dovrebbero restare distinti e che invece danno vita a comitati affaristici collusivi; che rivelano il grave tasso di inquinamento, tendente all’incanaglimento, della dialettica democratica nel nostro territorio.
PS: Notizia dell’ultima ora il TAR ha accolto il ricorso di Coop Liguria: alla prossima puntata
PFP

 

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FATTI DI LIGURIA

Savona 2021: urbanistica e cemento

L’ipotesi di ulteriore cementificazione speculativa riferita al lungomare di via Nizza (villette a schiera) deve essere seccamente respinta in un quadro di complessiva rielaborazione della visione urbanistica della Città. Savona ha già sofferto abbastanza e il suo declino ha coinciso con la logica di scambio tra deindustrializzazione e speculazione edilizia: progetto che veniva da lontano, fin dalla “questione morale” anni ’80 e attuato con esiti tragici sull’economia e soprattutto sullo smarrimento di identità che ha colpito la Città e il comprensorio.

Oggi è necessario pensare al futuro in termini completamente diversi.

In un quadro generale di recupero di attratività, di relazione tra il centro e la periferia e ancora di progettualità riguardante l’intero comprensorio è evidente che si presentano diversi “strappi” nella struttura urbanistica cittadina che dovranno essere sicuramente colmati.

La struttura urbanistica dovrà tenere conto delle prioritarie esigenze di riqualificazione sia nel permettere le necessarie ristrutturazioni, ricucendo gli strappi nel tessuto della città, sia nell’impedire ipotesi di nuova, inutile e dannosa, cementificazione.

Diverse e importanti sono le aree sulle quali operare in modo da evitarne il definitivo degrado, elaborando progetti non destinati alla speculazione ma all’utilità pubblica, al verde, al rinnovamento delle strutture sociali e alla territorialità sanitaria.

A parte il problema enorme creato dall’Aurelia Bis in vari punti (di fronte alle Funivie, corso Ricci, ecc.) le questioni emergenti possono essere così riassunte: piazza del Popolo con la ex squadra Rialzo, ex cantieri Solimano, l’area dello stadio Bacigalupo e del CSI a Legino, Orti Folconi, aree di pregio tra ex-Enaip e San Giacomo, Funivie, ex-sottostazione elettrica di Lavagnola e relativi capannoni non utilizzati, i chioschi di piazza del Popolo. La questione dello stadio è sicuramente da discutere e definire, immaginando in prospettiva un impianto di dimensioni ridotte, così come debbono essere ripensate, oltre che conservate, le strutture sportive sparse per tutto il territorio cittadino, sia sotto l’aspetto della manutenzione sia al riguardo della loro gestione.

Il tema degli strappi urbanistici riguarda anche la localizzazione del nuovo carcere che il Ministero non ha ancora individuato: è evidente che si tratta di un forte elemento di discussione politica che dovrà essere affrontato a livello comprensoriale. In generale il terreno della ricucitura deve essere gestito dalla parte pubblica e orientato alla riqualificazione dell’offerta commerciale (senza nuove strutture della grande distribuzione), culturale e del tempo libero.

In questa sede indichiamo le grandi linee direttrici sulle quali incamminare un’Amministrazione Comunale all’altezza delle sfide del futuro per una visione del centro cittadino inteso quale sede di volano per un nuovo modello di sviluppo.

Sarà con l’elaborazione di un piano strategico e di un patto territoriale che comprenda i Comuni della costa e quelli della Val Bormida che si potrà individuare, con la collaborazione di tutti i soggetti interessati e dei cittadini in primo luogo, le diverse destinazioni urbanistiche, fermo il principio del contenimento della cementificazione che deve rimanere il punto di forza per qualsivoglia prospettiva per il futuro.

Franco Astengo

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FATTI DI LIGURIA

Didattica a Distanza (DAD), inferno (temporaneo?) per docenti e studenti

La DAD, strumento necessario ma devastante dal punto di vista didattico.

La DAD ha evidenziato e moltiplicato in maniera esponenziale i problemi che la scuola si portava avanti da anni; uno su tutti il numero importante di alunni per classe: 27-30. Nulla è stato fatto durante l’estate per cambiare lo stato delle cose, l’unica soluzione è stata spendere 119 milioni di euro per acquistare i banchi a rotelle. Se lo scoppio della pandemia ha colto tutti impreparati, ora la mancanza di interventi non è più giustificata. Dei problemi degli alunni ho già parlato la volta scorsa. Tanto è vero che in Liguria i nostri ragazzi e ragazze stanno manifestando per tornare alla scuola in presenza. Vediamo ora di affrontare il problema dal punto di vista dei docenti, emersi da una raccolta di opinioni sul campo.

La mancanza di risorse della scuola fa sì che gli insegnanti debbano usare il loro computer personale. Gli istituti hanno a disposizione solo alcuni PC, non sufficienti per tutti. I docenti sprovvisti hanno potuto acquistarli per mezzo del bonus a loro dedicato, ma sono comunque di loro proprietà. Si recano a scuola e svolgono le lezioni in aula con al massimo uno o due studenti che necessitano della presenza. Questo implica che la rete internet della scuola a volte non riesca a sopportare il carico dei computer collegati, con i conseguenti problemi dovuti alla caduta della linea. Gli insegnanti hanno dovuto reinventarsi e cercare di adeguarsi al nuovo strumento di insegnamento. Solo ora sono stati istituiti dei corsi per il personale docente al fine di aiutarlo a gestire e affrontare al meglio le lezioni on line. Mancando il contatto, gli insegnanti devono coinvolgere gli studenti cercando di rendere le lezioni interessanti per catturare l’attenzione dei ragazzi. Questo implica un grande lavoro di preparazione che non deve lasciare nulla al caso per evitare distrazioni. Altro problema della DAD sono le verifiche. Gli studenti possono avvalersi di supporti e aiuti che nella didattica in presenza non avrebbero e che ne falsano il risultato. Insomma, la DAD è piombata sulle nostre teste con la velocità di un fulmine e la violenza di una ghigliottina Un cambiamento talmente veloce e repentino che facciamo fatica a gestire. Partendo dal presupposto che l’Italia non era e non è pronta per questo cambiamento epocale, speriamo che la Didattica a Distanza rimanga soltanto un tampone per l’emergenza.

MF

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FATTI DI LIGURIA

La guerra dei vaccini fa altre vittime

15 Aprile ore 21.30, Genova. Tutto il mondo della prostituzione è sparito dalla zona di San Benigno, non tanto per il freddo quanto per la presenza delle forze dell’ordine che presidiano una delle torri, un grande hub per la somministrazione del vaccino. Una folla di almeno trecento persone sta ferma, al gelo, qualcuno se ne va, altri arrivano e in molti protestano, chi gridando chi tormentando di domande i poveri addetti destinati a smistare i vaccinandi, che ripetono a tutti, per difesa, il mantra “avete ragione”. E’ accaduto che doveva essere somministrato il vaccino Moderna, ma quando quelli del turno che finiva alle 20 sono arrivati, hanno scoperto che il Moderna era stato sostituito da Astrazeneca. Ora non c’è bisogno di master in finanza per comprendere come ci sia in atto una guerra tra produttori di vaccini: è un mercato che, indotto a parte, vale al momento 150 miliardi di dollari. Si compiono stragi per molto meno. Nell’immaginario collettivo (nella realtà non si sa nulla di certo) comunque Astrazeneca è cattivo e gli altri sono buoni. Se i gestori dell’hub hanno alzato la mano per dire che non era colpa loro, Regione, Alisa & Co. hanno incolpato il governo, perché ha fatto arrivare quel vaccino e non l’altro. Se è vero, allora bastava avvisare: così come sul telefonino era stata comunicata la data e il luogo ai vaccinandi o ai loro figli, allora Regione, Alisa & Co. avevano il dovere di avvisare che il vaccino era cambiato. Invece hanno voluto fare i furbi, aspettare che anziani e fragili arrivassero per poi buttare la notizia d’improvviso, contando sul fatto che avrebbero piegato la testa. Ma hanno fatto male i conti, perché due terzi della gente, per rabbia, per paura, per ripicca o altro, non si è vaccinata. Bastava essere onesti: rimandare il messaggio e dire la verità: il risultato forse sarebbe stato migliore. Ma l’onestà, anche quella intellettuale e morale, è evidentemente una parola sconosciuta per Alisa, Regione & Co. Oppure è solo disorganizzazione e incompetenza. Ma è meglio essere governati da disonesti o da stupidi? Non esisterebbe un’alternativa? La buona volontà di medici, infermieri e operatori non basta a colmare questo gap, perché anche loro sono vittime, come quelli che sono stati imbrogliati e che hanno rifiutato di vaccinarsi: e il caos prosegue e aumenta.

CAM

P 08

FATTI DI LIGURIA

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Il Nipt Test gratuito è realtà in Liguria

Avevo presentato un ordine del giorno perché il Nipt Test (Non Invasive Prenatal Test) diventasse una realtà gratuita per tutte le donne liguri già durante lo scorso mandato nel Consiglio Regionale della Liguria. A causa della pandemia questa mia proposta, come molte altre, è stata messa in pausa per poter mettere in campo e discutere di tutte le politiche di contrasto della pandemia da Covid19, per la tenuta del sistema sanitario e del tessuto economico. Uno dei miei primi atti, sin dall’inizio del secondo mandato, è stato quello di ripresentare questo importante ordine del giorno per poterlo discutere in aula sperando non solo nell’approvazione della Giunta e nella veloce resa operativa di uno strumento così importante e necessario per la salute della donna, ma anche di poter ottenere un voto unanime da tutte le forze politiche che compongono l’emiciclo di Regione Liguria. Nel mese di aprile il mio ordine del giorno è andato in discussione: tutti i capigruppo hanno chiesto di apporre la loro firma e la Giunta Regionale ha deciso di approvare l’introduzione del Nipt Test gratuito per tutte le donne in stato di gravidanza, residenti nella regione Liguria, indipendentemente dall’età e in presenza di fattori di rischio.

Nei mesi di preparazione del documento ho avuto modo di discutere del tema con personale medico, che ha sottolineato quanto uno strumento del genere, in alcuni casi, sia davvero il mezzo necessario per portare avanti una gravidanza nel miglior modo possibile, sia per la salute del feto che della madre. Si tratta infatti di un test prenatale che si effettua sul DNA fetale, assolutamente non invasivo, effettuandosi attraverso un semplice prelievo di sangue materno periferico a partire dalla decima settimana di gestazione, attraverso cui si possono individuare nel feto le più frequenti aneuploidie a carico dei cromosomi autosomici (ad esempio la sindrome di Down e altre trisomie) e dei cromosomi sessuali e il sesso del nascituro. In particolare il test consente di prevedere con un alto grado di attendibilità alcune alterazioni dei cromosomi, e cioè le trisomie 21 (sindrome di Down), 18 (sindrome di Edwards) e13 (sindrome di Patau).

Quello che però mi ha spinto maggiormente a credere in questo atto sono state le storie di madri che mi raccontavano di quando avevano dovuto rinunciare al Nipt Test perché troppo caro, in quanto è considerato come spesa non rimborsabile dal Servizio Nazionale, e sono solo due le Regioni in Italia che ne hanno previsto un’agevolazione: la Toscana, che prevede un’agevolazione in base al reddito, e l’Emilia Romagna che lo ha reso gratuito per tutte. Questo è il fatto: si tratta di un esame molto costoso ha portato molte donne a rinunciare a farne richieste.

Infine, il Nipt Test riduce sempre di più il ricorso ad amniocentesi e villocentesi, esami che presentano una, seppur bassa, percentuale di rischio di aborto e che quindi generano preoccupazioni nella donna.

Si tratta quindi di uno strumento necessario per le donne in gravidanza e per il feto, per poter vivere al meglio e con maggiore serenità la gravidanza. Mi è sembrato un atto dovuto lavorare perché diventasse uno strumento alla portata di tutte le liguri, non importa la loro età, che ne abbiano bisogno. L’iter perché diventi operativo è appena iniziato: monitorerò perché non si perda nei meandri della burocrazia e perché diventi operativo il prima possibile.

Luca Garibaldi Capogruppo Partito Democratico-Articolo 1 in Regione Liguria

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FATTI DI LIGURIA

Il giorno della memoria e i fabbricanti di bugie

Perché i più giovani lo sappiano. Il 27 Gennaio 1945, le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di sterminio nazista di Auschwitz. Il principale campo della fitta rete degli orribili campi di concentramento e di sterminio creati dai nazisti e dai loro solerti collaboratori. Quello destinato, più di altri, allo sterminio scientifico del popolo ebraico.

E’ stato il più grande genocidio della storia umana. Si uccidevano uomini, donne, bambini e anche neonati che avevano una e una sola colpa, quella di essere ebrei. Una stima dice che ne furono uccisi più di 6 milioni, ma probabilmente essa è per difetto, perché mancano quelli uccisi prima di arrivare ai campi di sterminio e quelli morti a causa delle sofferenze loro imposte nei ghetti, nel trasporto o uccisi durante i rastrellamenti.

Non furono gli unici a venire sterminati. E questo è un punto che viene troppo spesso dimenticato, come a voler dire che i crimini di nazisti e fascisti si limitarono solo alla Shoà. Non è così, perché i nazisti sterminarono anche 500.000 Sinti e Rom, due milioni di oppositori politici e tre milioni di militari russi prigionieri, oltre a omosessuali, appartenenti alla massoneria, testimoni di Geova e altri. Una strage a parte fu quella dei disabili. Il primo campo fu quello di Dachau, istituito nel marzo del 1933, appena un mese dopo la formazione del primo governo di Hitler. Questo campo fu inizialmente dedicato solo a prigionieri politici, principalmente comunisti, socialisti e sindacalisti. Divenne anche il “campo scuola” degli aguzzini delle SS, dove venivano addestrati alle peggiori efferatezze, per poi essere smistati negli altri campi.

Un’altra clamorosa bugia, che viene fatta circolare in Italia, è quella che le LEGGI RAZZIALI italiane, entrate in vigore nel 1938, furono fatte per pressione tedesca o per attirare la simpatia nazista. Non è affatto così. Accenti razzisti nei confronti degli ebrei sono presenti nella stampa fascista e nei discorsi di Mussolini, ben prima del 1938. Inoltre in Italia erano già da anni in vigore leggi di dura discriminazione contro le popolazioni arabe e africane, che vivevano in quelle che erano le “colonie” dell’Italia. Erano proibiti i matrimoni tra italiani e persone di colore, la pena era un anno di carcere. Era in vigore il “madamato” e altri gravissimi elementi di discriminazione razziale.

Se qualcuno ha la pazienza di leggere le leggi antiebraiche del 1938 si accorgerà che esse non sono affatto una copia della legislazione germanica in materia, ma non sono altro che la riproposizione delle leggi razziali che il fascismo italiano e il suo ducetto, tanto retorico quanto crudele, avevano già predisposto, molti anni prima che Hitler andasse al potere.

NC

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FATTI DI LIGURIA

Ambiente e grandi opere a Genova

Una cosa assolutamente verificata è che in questa nostra città le grandi opere servono solo a chi le fa e a chi elargisce i fondi, sempre solo pubblici, per farle e poi prendersene il merito dopo innumerevoli inaugurazioni e taglio di nastri. È il caso del terzo valico che con seimila milioni di euro avrebbe dovuto portare le persone in 50 minuti a Milano, che poi sarebbe stato a Rogoredo, che sarebbe 15 minuti in meno di quel che si potrebbe fare oggi senza spendere una lira in più e senza distruggere e inquinare monti e valli. Però poi si sono accorti che di persone che vanno a Milano tutti i giorni non ce ne saranno mai abbastanza per coprire le spese e… oplà si è passati all’alta capacità con treni lunghi 750 metri e che non possono superare i trenta km all’ora, te la do io l’alta velocità! Ma non finisce qui. Alla fine qualche giornalista non allineato comunica che in realtà si spendono un mare di soldi per arrivare a Tortona 54km e che il necessario quadruplicamento della tratta fino a Rogoredo non è né progettato né finanziato.

E alla fine ci chiediamo: dov’è l’interesse pubblico, quali i vantaggi per la gente comune? Come mai le istituzioni che dovrebbero controllare e prevenire sono e sono state tutte zitte?

Esattamente come per il ponte Morandi, nessuna manutenzione, nessuna verifica nessun controllo nonostante i ripetuti allarmi negli anni (il primo quello di Morandi stesso). Solo dopo, coi morti nelle bare si scoprono gli altarini, ma non è affatto detto che i nostri eroi della Procura ottengano sentenze e condanne adeguate. Anche loro, se non glieli porti li ammanettati per benino non muovono un pelo, figurarsi prima. Eppure è bastato dopo chiedere a un ingegnere senza conflitti di interessi di dare una controllata per chiedere in poche ore la chiusura dell’autostrada, peccato che non l’hanno fatto prima con gli allarmi e le denunce fatte dagli ambientalisti.

Sempre in tema di grandi opere e anche di prevenzione del rischio possiamo parlare delle decine e tra un po’ centinaia di milioni di euro che ci costa e ci costerà la cosiddetta messa in sicurezza del Bisagno. Tanto per cominciare non si mette in sicurezza niente nel senso che gli interventi che sono stati fatti dalla foce fino a Brignole diminuiscono il rischio ma non lo eliminano, stessa cosa vale per decidere milione spese per il deviatore del Fereggiano. Di queste grandi opere si può dire che costano molto, che hanno fatto guadagnare molti soldi ad aziende non genovesi e neanche liguri, hanno dato occupazione a lavoratori che sono venuti da fuori E soprattutto che non garantiscono la sicurezza. L’elemento più chiaro che tutti possono verificare e che dimostra quanto gli amministratori siano effettivamente interessati alla messa in sicurezza è facilmente percepibile nel tratto fra Brignole e la Foce. Mentre precedentemente l’acqua della piena sfondava le mura dei negozi che sia affacciavano su via Tolemaide, ora quella zona è tombata da un manufatto, ovviamente a base di cemento, che oltre a rappresentare un elemento di abbellimento presentandosi come una fontana dovrebbe convogliare tutta l’acqua della piena sotto la copertura appena rifatta. Li sotto non ci può stare tutta l’acqua in arrivo dalla piena 200 ennale, ma soprattutto i nostri prodi amministratori si sono ben guardati dal togliere le tonnellate di sabbia e detriti che si stanno accumulando alla foce del Bisagno e che hanno creato già due Isole che ovviamente tappano inevitabilmente lo sbocco. Cosa succederà in caso di piena? Ovviamente quello che è già successo: l’acqua che non potrà andare in mare tornerà indietro e allagherà tutto il possibile. Sempre nell’ottica del bene comune, la regola principale che qualunque ingegnere idraulico e qualunque geologo e qualunque botanico consigliano in tutto il mondo per la prevenzione dei danni delle piene dei fiumi è di intervenire sui versanti. A Genova sui versanti dei Bisagno e dei suoi affluenti l’ultima volta che qualcuno le ha contate c’erano 50 frane attive, non so se su due o tre sono anche intervenuti, ma ne rimangono alcune decine presenti è pronte a scaricare legna, terra e sassi nel fiume andando ovviamente a tappare i fornici sotto Brignole e a intasare il percorso del fiume sotto via Brigate Partigiane. Allora mi chiedo: ma perché per salvare le vite in pericolo, i beni dei cittadini lungo tutta la valle si cercano soldi per costruire dei tubi di cemento che saranno puntualmente intasati e tappati invece non si utilizzano i soldi messi a disposizione dal governo per rinaturalizzare il fiume e mettere in sicurezza i versanti? Semplice: non si può perché i soldi vanno dati alle grandi aziende che in tutta Italia continuano a fare affari e non alle piccole aziende e ai lavoratori genovesi. In più con questa finta messa in sicurezza, perché così come alla Foce del Bisagno anche da tutte le altre parti di manutenzione non si parla , come non si è parlato per le autostrade , come non se ne parla per tante altre edificazioni .Ma la messa in sicurezza finta e sottoscritta dalle autorità , dai controllori e anche da chi dovrebbe indagare e prevenire i prossimi disastri , permetterà ai soliti che a Genova hanno sempre fatto il bello e cattivo tempo sulla pelle dei poveracci di poter costruire appartamenti , supermercati e quant’altro in aree attualmente rosse e quindi inedificabili . È sempre solo un business sulla pelle dei cittadini, con la scusa di una finta utilità pubblica di coloro che già ieri già oggi e certamente anche domani non hanno nessuna intenzione di fare le manutenzioni necessarie che non fanno guadagnare tanti soldi , che non permettono di tagliare tanti nastri, che non garantiscono tanti entusiasti contributi alle campagne elettorali. Ma che sono l’unica ricetta sicura per la salvaguardia della nostra terra.

Andrea Agostini

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FATTI DI LIGURIA

Donne di Liguria, ricordate le vostre antenate

Nel quarto capitolo del celeberrimo libro di Collodi, appare un grillo in cerca di cibo e Pinocchio, stanco dei suoi rimproveri, gli lancia un martello e lo spiaccica. Immaginiamo ora che il burattino, ai giorni nostri, sia una bambina, sineddoche del sesso femminile, e che abbia visto e sentito il volgare sproloquio di un altro Grillo, il Beppe, impegnato in una strenua difesa dello stupro (presunto, ai fini giudiziali) compiuto da suo figlio Ciro e da altri tre sodali in mutande (confermato dallo stesso). Un Grillo non più alla ricerca di cibo, ma di una notorietà in precipitosa fase calante: la martellata oggi non sarebbe quindi più un gesto inconsulto, ma una giusta punizione per quelle parole sputate con una violenza pari a uno stupro. Il filmato è istruttivo su una certa mentalità che si potrebbe definire metaforicamente fascista, o medievale o malsana, o da padre padrone, ricordando il romanzo di Gavino Ledda. Perché non è l’appassionata difesa di un padre sul proprio figlio indagato di un reato tra i più vergognosi, che sarebbe al limite comprensibile. Ma è la giustificazione aprioristica di un comportamento criminale che, se anche riconosciuto dalla giustizia, dovrebbe, secondo Grillo, avere mille scusanti. Lo dice lui: che cosa ci può essere di male se “quattro coglioni in mutande” si approfittano di una ragazza. Si divertono, tutti insieme, non importa se questa è spaventata, se è un po’ ubriaca (forse), di sicuro è consenziente (dice lui). E’ di fatto la giustificazione della “vis grata puellae”, i.e. la violenza gradita alla fanciulla, verso tratto dall’Ars Amatoria di Ovidio, con la quale si assolveva lo stupratore se la donna non si difendeva fino alla morte (Santa Maria Goretti docet), altrimenti era di fatto consenziente. Mentalità oggi per fortuna scomparsa da ogni tribunale, ma non in quella di Grillo. E visto che ha parlato dalla villa di Sant’Ilario con quell’inflessione che in anni passati gli dette la vis comica, oggi vis tragica, le donne liguri dovrebbero rispondergli adeguatamente. Prendendo esempio da Ginevra sposa di Barnabò Lomellini, che vituperata nella sua virtù come la ragazza dello stupro da tal Ambrogiuolo/Grillo, lo sconfessò e costui per punizione fu legato a un palo, unto di miele e ucciso da tafani, mosche e vespe, come racconta Giovanni Boccaccio. Esagerazioni dell’epoca, al nostro Grillo non si augura alcun male: basterebbe che si vergognasse. Ma viene però il dubbio che esista un secondo aspetto da non sottovalutare, altrettanto bieco: il filmato ha prodotto una rinascita mediatica del povero (non in termini economici) ex comico ed ex guru 5S. Un suicidio comunicazionale ben congegnato, che poi sarà smentito con altra intervista nella quale dirà che le sue parole sono state travisate? O crede davvero in quello che ha detto? L’unico che non ha capito niente è stato Tony Nelli, quello che ipotizzava che sul ponte Morandi si potesse passeggiare e fare picnic: la comica finale, se su questo argomento ci fosse qualcosa da ridere.

CAM

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FATTI DI LIGURIA

Helzapoppin a Genova

“Helzapoppin’” è un film del 1941, divenuto oggetto di culto e capostipite incontrastato del genere grottesco-demenziale Proprio a quel vecchio, glorioso film torna il pensiero, davanti a certe iniziative del Consiglio Comunale di Genova, spesso trasformato in insolito teatro dell’assurdo.

Solo un anno e mezzo fa, in occasione della consegna del premio Primo Levi a Liliana Segre, il Consiglio Comunale approvava il conferimento alla senatrice della cittadinanza onoraria di Genova, riconoscendole ‘un ruolo fondamentale di preservazione della memoria’ e impegnandosi a istruire una commissione speciale per il contrasto ai fenomeni di razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio. Tuttavia, nel febbraio di quest’anno lo stesso Consiglio Comunale approvava – col grottesco consenso dei partiti cosiddetti ‘di sinistra’ e la benevola astensione dei 5stelle – l’istituzione della famigerata ‘anagrafe’ che metteva sullo stesso piano fascismo e comunismo, proprio nei giorni in cui il sindaco Bucci accoglieva a Tursi le celebrazioni per il centenario del PCI. L’iniziativa dell’anagrafe antifascista, promossa dal comune di Stazzema, veniva così sfigurata e ridotta a una grottesca smentita del riconoscimento a Liliana Segre.

Sempre la senatrice a vita – tanto elogiata e insignita di premi, quanto ignorata e persino minacciata nel suo instancabile difendere i valori della lotta al nazi-fascismo – ha promosso l’iniziativa per riconoscere la cittadinanza italiana a Patrick Zaky, lo sventurato giovane egiziano, sottoposto a tortura da più di 400 giorni: se non è la peggiore delle torture quella consistente nell’essere trattenuto in carcere, senza un’imputazione precisa, in isolamento, sin d’ora condannato al crudele stillicidio dei rinvii della decisione sul suo destino.

Nessuno, in Senato, ha votato contro le mozioni presentate da PD e M5S. Astenuti solo 20 senatori di ‘Fratelli d’Italia’, con la scusa che il conferimento della cittadinanza italiana “…potrebbe insospettire e irrigidire ulteriormente le autorità egiziane”.

A fronte di questa iniziativa della senatrice a vita, il consiglio comunale di Genova ha pensato bene – nel giro di poche settimane – di negare a Zaky la cittadinanza onoraria della città ( già attribuita da Bologna, Milano, Napoli e Bari) e di respingere, il 13 aprile scorso , a maggioranza di centro destra , col voto contrario del sindaco Bucci, un ordine del giorno presentato dall’opposizione che chiedeva alla Giunta di impegnarsi a promuovere ulteriormente tutte le azioni opportune per il rilascio del giovane studente egiziano.

Una settimana prima, il Consiglio Regionale, con i voti anche del centro-destra, aveva approvato un ordine del giorno per chiedere l’attribuzione della cittadinanza italiana a Zaky.

“La detenzione di Zaky senza processo”, ha dichiarato Segre, “è una violazione clamorosa dei diritti umani.” La voce forte del nostro Paese dovrebbe giungere al Cairo in modo credibile e autorevole. Ne va di Zaky. Ne va – anche – del nostro Paese.

Bene farebbe a questo punto la senatrice Liliana Segre a restituire il dubbio onore della cittadinanza, a suo tempo riservatole da un Comune degno di Helzapoppin’.

MM

 

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FATTI DI LIGURIA

Seconda generazione, il valore della differenza

Hanane Ben Attaleb è arrivata alla Spezia, da Alnif, in Marocco, all’età di sei anni. E’ una delle ragazze e dei ragazzi di “seconda generazione”. Dice: “Un proverbio marocchino invita a vivere senza confini, senza sentirsi limitati, ma liberi di esprimere la propria identità”.

“Senza Confini” è il nome dell’associazione di promozione sociale nata nel 2020 da un gruppo di ragazze e ragazzi di “seconda generazione” che -guidati dalla Cooperativa Mondo Aperto, il cui progetto è stato realizzato con il contributo di Fondazione Carispezia- hanno deciso di impegnarsi sui temi della partecipazione sociale e del volontariato per aiutare i minori delle “seconde” e delle “nuove generazioni” a superare situazioni di disagio sociale e culturale. “Tutto è nato dalla nostra esperienza di mediazione culturale nelle scuole -dice Florentina Stephanidi, Presidente di Mondo Aperto-, avevamo notato che le ’seconde generazioni’, nate in Italia o arrivate in Italia in piccola età, hanno maggiori difficoltà di integrazione rispetto a chi arriva già ‘grande’, perché si sentono senza identità: ‘Chi siamo noi?’. Volevamo trasformare questa mancanza di identità in un potenziale, far vivere la loro differenza in un progetto che la valorizzasse”. Nel corso delle attività del progetto i ragazzi sono cambiati. Tutti dicono: “Ci sentiamo sia italiani sia del Paese in cui siamo nati… Non è un limite, è un pregio avere una doppia cultura… Le differenze ci completano, danno una marcia in più”. Ha ragione la Stephanidi: “Nelle nostre società le ‘seconde generazioni’ sono un valore aggiunto”.

L’associazione comprende queste nazionalità: Marocco, Albania, Repubblica Dominicana, Romania e Italia. Le attività spaziano in vari campi: educazione, cultura, socialità. L’idea di fondo è quella della valorizzazione dell’educazione tra pari (peer education) e dell’attivazione di un processo naturale di passaggio di conoscenze, di emozioni e di esperienze al fine di sviluppare consapevolezza, dando la possibilità ai ragazzi di migliorare la propria autostima e le proprie capacità sociali, relazionali e comunicative.

Nel primo anno di vita “Senza Confini” ha ingrandito le sue fila e ha intercettato molti coetanei italiani: attualmente raduna una cinquantina di ragazzi. Nell’autunno 2020 insieme a Mondo Aperto ha partecipato al progetto “Better safe than sorry” (un progetto di sensibilizzazione di strada sulle misure anti contagio Covid-19) e al progetto “Aurora” (un laboratorio di video bilingui per gli alunni della scuola primaria, che utilizzano il linguaggio delle favole per abbattere le barriere). Ora sta lavorando a un progetto di prevenzione della violenza contro le donne e a un progetto educativo nel quartiere di piazza Brin -la zona spezzina con maggiore presenza di immigrati- che sensibilizzi le associazioni, le comunità, i cittadini ad avere un ruolo educativo verso i bambini. Il lavoro non manca: “Ci chiamano tutti i giorni”, dicono. Sono molto amici tra loro: vuol dire che se c’è la conoscenza dell’altro c’è l’integrazione.

GP