Numero 46, 15 marzo 2023

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uno strumento di contro-informazione per il dibattito pubblico ligure

LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI

Numero 46, 15 marzo 2023

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PILLOLE

Né carrarmati né motocross tra i vigneti e nel parco dei Colli di Luni

Motocross sui sentieri dello spezzino, scattano le multe e l'invito a  segnalare - Liguria Oggi
Un motoclub di Santo Stefano Magra ha presentato il progetto per realizzare piste da motocross in un terreno che appartiene ancora alla società Oto-Melara che, un tempo, vi aveva realizzato una pista per il collaudo dei carri armati. Da oltre 30 anni, la pista è abbandonata, nella parte a monte dell’autostrada è stato realizzato un grandissimo vigneto per la produzione del pregiato Vermentino dei Colli di Luni. La parte tra l’autostrada e il fiume è invece zona parco. Rientra nell’area del Parco Montemarcello/Magra/Vara. Durissima la reazione degli abitanti e delle associazioni ambientaliste. Il regolamento del parco vieta l’introduzione di mezzi a motore. Nel frattempo la zona si è naturalizzata e ospita diverse specie di fauna. Aspettiamo la voce del comune di Sarzana. 

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Il Secolo prende fischi per… diamanti

Povero Secolo XIX, adesso rischia una causa pesante: dieci anni fa tre risparmiatori genovesi della BPM (allora Banca Popolare di Milano) su suggerimento della banca stessa avevano acquistato diamanti per 31.000 euro. Il valore reale era meno della metà, e quando i tre malcapitati si sono accorto della fregatura hanno fatto causa alla banca, in qualità di mediatore della IDB, Intermarket Diamond Business. Il Secolo XIX ha riportato la notizia, scambiando tuttavia la IDB con l’Inter American Development Bank, scritta per esteso, e dichiarandola fallita. E nessuno ha verificato la notizia. La banca citata non ha niente a che fare con i mariuoli dei diamanti, e pare si occupi anche di povertà e diseguaglianza. Come diceva il buon Fede? Che figura di m…

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Goodnews, ma non troppo

Facciamo sempre le pulci a tutti, senza distinzione di colore politico, di estrazione sociale, di lingua, di etnia o di ruolo nella P. A. o nelle forze di Polizia. Stavolta però il plauso (vero) va alle Dogane di Genova, che hanno sequestrato un container con 7 tonnellate di un pesticida, che cercava di entrare illegalmente in Italia sotto il falso nome di un fertilizzante per agricoltura. Prodotto altamente nocivo e pericoloso che verrà bruciato. Di provenienza cinese, ma con importatore italiano, che si è beccato una denuncia penale. Peccato che su nessun organo di stampa è trapelato il suo nome. Perché il peccato e non il peccatore? Come nel caso di negozi che vendono merce contraffatta o di ristoranti con i topi nel cibo. In quel caso i nomi si fanno, ma solo se si tratta di “poveracci”.

EDITORIALI

Un Report della Regione sulla criminalità organizzata in Liguria e un commento di Roberto Centi

Lista Sansa, il consigliere regionale Centi in visita ad Alassio e ad  Albenga - IVG.it
 “La Liguria si conferma regione in cui spiccano numeri alti per la gestione dei traffici illeciti a fianco a numeri bassi per il controllo violento del territorio. Una situazione che dimostra la presenza di mafie sempre più silenti, di colletti bianchi, che fanno affari insinuandosi tra appalti e bandi di quasi ogni genere”. Così il presidente della Commissione Regionale Antimafia della Liguria Roberto Centi, intervenuto stamane alla presentazione dei nuovi report dell’Osservatorio regionale sulla sicurezza e sulla criminalità organizzata realizzati da Liguria Ricerche. “Dal report sulla criminalità organizzata si evince che in Liguria si trovano 476 immobili confiscati allemafie, di cui 329 (il 69%) ancora in gestione da parte dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) e 147 (il 31%) già destinati ad un nuovo uso – sottolinea Roberto Centi – In quest’ottica è sempre bene ricordare il lavoro svolto dalla Commissione che presiedo, in collaborazione con l’assessorato alla Sicurezza, per l’emanazione del bando da 500 mila euro destinato ai Comuni liguri per progetti di riqualificazione dei beni confiscati (bando a cui hanno partecipato 6 Comuni con 8 progetti utilizzando quasi interamente la cifra stanziata e generando investimenti totali per oltre 700 mila euro). Bando che, grazie ad un proficuo lavoro in fase di Bilancio regionale, nella nuova versione per il 2023 vedrà aumentare le risorse a disposizione dei Comuni da 500 mila a 600 mila euro”. “Il monitoraggio numerico e tipologico presentato stamane è utile al nostro lavoro per i beni e le aziende confiscate e sarà utile anche per i cittadini che grazie alla nuova dashboard e ai report di Liguria Ricerche avranno una più semplice accessibilità ai dati – aggiunge Centi – Su questo tema è emerso come oggi il volume più alto degli immobili si trovi tra le province di Genova e Savona, mentre la quota maggiore di immobili destinati si rileva nell’area della Spezia e quella minore nella provincia di Imperia. Sul fronte delle aziende confiscate alle mafie oggi sono 50 in Liguria, delle quali 31 (il 62%) ancora in gestione e 19 (il 38%) già destinate”.

 

Il lavoro eminentemente quantitativo di Liguria Ricerche per il presidente della Commissione Regionale Antimafia sarà utile anche per l’elaborazione in itinere di un testo condiviso, in attesa dell’audizione decisiva dei vertici nazionali e del Nord Italia dell’ANBSC prevista per il 14 marzo.

“Questa iniziativa – osserva Roberto Centi – ci è utile come Commissione per approfondire ulteriormente lo studio prospettico per la messa in pratica della legge, che è sempre stato un tratto caratteristico della stessa Commissione. Apprezziamo quindi i nuovi strumenti messi a disposizione, senza tuttavia dimenticare il prezioso lavoro effettuato dal precedente Osservatorio sulla Sicurezza urbana e la criminalità organizzata, coordinato dal professor Stefano Padovano dell’Università di Genova, che per 15 anni aveva saputo accompagnare ai dati quantitativi un necessario approfondimento qualitativo, che sviluppava ciò che i numeri inizialmente dicono, nell’analisi e nella individuazione di strategie integrate sulla criminalità organizzata”.

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Genova: la fuga delle famiglie del porto

Nel ‘900 le gambe su cui camminava l‘economia ligure erano sostanzialmente due: la grande fabbrica partecipata dallo Stato e l’impresa familiare; quest’ultima, se del comparto manifatturiero, molto spesso di piccola taglia e altrettanto spesso posizionata nelle nicchie di subfornitura all’impresa pubblica.

Nell’ultimo quarto del secolo scorso abbiamo assistito alla catastrofe delle PpSs, che è proseguita anche nel nuovo secolo facendo terra bruciata di un patrimonio prezioso di competenze competitive e di traino dell’intero tessuto produttivo locale. Una catastrofe che ha portato via con sé anche buona parte di un indotto incapace di riconvertirsi.

In questo quadro amaro reggeva ancora l’impresa familiare versione professional ownership, ossia l’impresa gestita da un gruppo parentale che ha saputo managerializzarsi. Secondo l’economista Marco Vitale, “lungi dall’essere superata, l’impresa familiare si sta dimostrando una delle forze più vitali dello sviluppo economico-sociale. Se riesce a trasformarsi in impresa familiare professionale, evitando la caduta nel familismo, essa è più solida e più sana dell’impresa anonima impersonale”. E le famiglie del porto di Genova ne erano una delle più convincenti riprove. Come la Rimorchiatori Riuniti delle famiglie Gavarone e Dellepiane, fondata nel 1922 da Giovanni Gavarone aggregando piccoli operatori portuali, tra cui la Gazzo & Gavarone, disposti a portare a fattore comune chiatte e rimorchiatori delle rispettive aziende parentali. Un anno e mezzo fa, l’indagine su questa realtà socio-economica in chiave locale, promossa da Fondazione Garrone, Banca Passadore e Studio Bonelli Erede, aveva raccolto le testimonianze dei protagonisti nel rapporto “Dalle Maone all’impresa a rete”; tra cui spiccava l’intervento di Gregorio Gavarone, appunto CEO della Rimorchiatori Riuniti. Che faceva dichiarazioni importanti: «terminati gli studi sono arrivato in Ditta alla fine degli anni ’80 dopo aver onorato l’antica tradizione genovese dell’apprendistato all’esterno. Qualcosa di analogo a quanto affronterà la nostra quinta generazione, che ormai sta arrivando»; «il porto è la prima risorsa a disposizione per un rilancio di Genova, dopo l’esaurimento della sua condizione di ‘città delle Partecipazioni Statali’, che perdurava già dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Conseguenza anche di una sorta di disaffezione dell’imprenditoria privata che ne ha impoverito spirito e intraprendenza»; «lo dico da genovese, che ha qui le proprie radici non solo biografiche ma anche imprenditoriali». Per arrivare al botto finale: «l’impresa familiare che oggi mi trovo a guidare trova il proprio elemento di continuità in uno spirito di dedizione e di coinvolgimento emotivo che si tramanda tra le generazioni». Un anno dopo tutte queste belle parole, il 22 ottobre 2022, Gregorio Gavarone rendeva nota la cessione dell’azienda di famiglia al gruppo ginevrino Msc. Pare per un miliardo di euro. Nonostante il malloppo, in una lettera ai dipendenti il CEO si mostrava inconsolabile: «Come potete ben immaginare la cosa non è avvenuta senza una profonda sofferenza dal punto di vista sentimentale da parte di tutti i soci, ma soprattutto da parte delle famiglie, di cui anch’ io faccio parte, che ne hanno curato con impegno e sacrificio la gestione attraverso un secolo di storia». Del resto – da qualche tempo – questo caso di port professional ownership genovese in fuga non è certo il primo né l’ultimo. Per cui – ahinoi – si direbbe abbia ragione il tandem Toti-Bucci, quando sostiene con le sue scelte devastanti che l’unico modo praticabile dalle nostre parti per fare finanza sarebbe quello di vendersi a pezzi il territorio e i suoi beni più pregiati.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi (tra gli altri):

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Arnaldo Bagnasco, Susie Bandelli. Enzo Barnabà, Marco Bersani, Marco Baruzzo, Pieraldo Canessa, Nuccia Canevarollo, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Alberto Diaspro, Marco Fabbri, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Andrea Moizo, Paola Panzera, Enrico Pignone, Bernardo Ratti, Adrano Sansa, Ferruccio Sansa, Sandro Sanvenero, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Orietta Sammarruco, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Francesco Sylos Labini, Rino Tortorelli, Giulio A. Tozzi, Gianmarco Veruggio

POSTA

Riceviamo da Daniela Cassini questo interessante calendario di incontri sanremesi:

Riceviamo da Luca Garibaldi, capogruppo PD nel consiglio di Regione Liguria

In Liguria 7 persone su 10 non ricevono una visita medica in tempi ragionevoli

In Liguria 7 persone su 10 non ricevono una visita medica in tempi ragionevoli

In Liguria ben 7 persone su 10 ritengono difficile ottenere una visita medica in tempi ragionevoli. 3 liguri su 4 definiscono i tempi di attesa per una prestazione medica lenti. Quasi 9 liguri su 10 si sono trovati almeno una volta a doversi inserire in liste d’attesa che ritenevano troppo lunghe. Uno su tre ha dovuto aspettare almeno sei mesi per un esame: ben il 57,4% per potersi curare ricorre a strutture private e il 5% ha rinunciato a curarsi. Sono solo alcuni dei dati emersi dalla ricerca sulla sanità promossa Gruppo del Partito Democratico in Regione e condotta da Quorum/Youtrend: i risultati sono stati presentati in una conferenza stampa dal gruppo consiliare del PD in Regione Liguria.

È intervenuto il fondatore di Quorum Davide Policastro che ha sottolineato che pur essendo la lentezza un concetto soggettivo, il fatto che un cittadino ligure su tre dichiari di essersi trovato nell’ultimo anno davanti a liste d’attesa superiori ai 6 mesi dà un fondamento oggettivo a questa percezione. Questo problema. viene generalmente risolto dai liguri con il ricorso a strutture private (il 57,4% di loro), mentre solo in seconda battuta viene accettato il posto assegnato (23,2%). Il 5% rinuncia alle cure, un dato che supera l’8% tra pensionati e disoccupati. Non si dispone del dato di quanti ricorrono a servizi in altre regioni.

Accanto alla lentezza, una parte dei cittadini liguri fa i conti anche con le distanze dai luoghi di cura: il 23,6 per cento degli intervistati si è dovuto curare fuori dalla propria Asl di appartenenza e il 30,5 per cento che non trova appuntamento vicino casa ricorre a una struttura privata. Per il 49,5% le sedi di cura sono ragionevolmente vicine e il 40,5% di coloro che non ritenevano ragionevolmente vicina la sede della prestazione hanno comunque accettato la sede proposta.

La medicina territoriale e i medici di base soddisfano il 57,4 per cento degli intervistati, che invece sono più critici su assistenza domiciliare agli anziani e Pronto Soccorso; giudicati insufficienti rispettivamente da un terzo e da quasi il 40% di coloro che vi hanno ricorso.

I due elementi più spesso indicati da migliorare, sono l’accesso alle visite di controllo -per il 44,1% dei liguri- e l’assistenza domiciliare -39,2% -; mentre per quanto riguarda il sistema ospedaliero il problema principale pare essere la carenza di personale per il 55,6%. Più in generale, nell’ambito del disegno del prossimo Piano Socio-Sanitario di Regione Liguria, per il 43,6% dei cittadini la riduzione delle liste d’attesa dovrebbe essere il primo tema da affrontare, seguito dal potenziamento dei Pronto Soccorso, della rete di medicina territoriale e di medicina per gli anziani.

Piace molto la proposta dello psicologo di base: il 79,5% dei liguri ritiene l’introduzione di questa figura molto importante per migliorare il servizio sanitario ligure.

Quindi, la sanità ligure non è in buona salute: i dati della ricerca raccontano di un accesso agli esami, per tempi e modi, lentissimo e spesso difficile per gran parte dei liguri. Che poi metà dei cittadini sia costretto a ricorrere al privato dimostra l’implosione del sistema pubblico di cui la giunta Toti è responsabile. E preoccupa il fatto che il 5% dei liguri rinunci a curarsi perché non può permetterselo.

Dalla ricerca emerge anche una domanda di maggiore rete territoriale: medici di base e assistenza domiciliare, temi su cui in questi anni non si è intervenuto abbastanza e che dovrebbero essere al centro della sanità di domani; vicina alle persone, pubblica, accessibile.

Vogliamo mettere queste priorità al centro della discussione del nuovo piano sociosanitario, con un confronto aperto su un nuovo modello di sanità, diverso da quello che Toti propone e che sta portando a questi risultati: la presentazione è stata l’inizio di un percorso di discussione e confronto che come Gruppo del Partito Democratico vogliamo mettere in campo nelle prossime settimane.

Luca Garibaldi

ECO DELLA STAMPA

Dal Fatto Quotidiano del 6 marzo 2023

La diga di Genova in ritardo di oltre un anno

L’appalto integrato da 950 milioni di euro per la nuova diga foranea di Genova è stato aggiudicato a ottobre, ma la cordata affidataria, guidata da Webuild, s’è già mossa per cambiare il progetto e tagliare alcuni dei controlli ambientali previsti. Malgrado l’opera sia con due commissari il simbolo delle semplificazioni di modello Genova e Pnrr, il ritardo è notevole: l’inizio lavori era a gennaio 2022, ma non s’è arrivati nemmeno al progetto esecutivo. Sicché il pretesto della modifica è il rischio di perdere il finanziamento Pnrr da 500 milioni a causa dei “tempi tecnici incompatibili con il cronoprogramma di progetto”, essendo “necessari almeno due anni, a fronte di un periodo di 15 mesi previsto” scrive Webuild nel documento depositato al ministero dell’Ambiente per modificare la Valutazione di impatto ambientale riguardante le “modalità di riutilizzo dei materiali dello scanno di imbasamento della diga esistente”.

Il problema è serio. Il progetto prevede la demolizione di 2.200 metri della diga esistente, fino a una profondità di 18,5 metri, e “una strategia di massimo riutilizzo dei materiali con chiari benefici di carattere logistico, ambientale, funzionale, economico”. Ma se per i massi artificiali di calcestruzzo e i massi naturali salpati (riportati in superficie) di peso e dimensioni idonei per la formazione di scogliere e mantellate di protezione è previsto il riutilizzo diretto, “gli elementi di pezzatura più contenuta, derivanti dal salpamento del pietrame di imbasamento e dalla demolizione degli elementi ciclopici in calcestruzzo della diga esistente” (oltre 1,1 milioni di metri cubi), potranno essere usati nella nuova diga solo previ caratterizzazione e accertamento dell’idoneità al recupero e dopo esser stati “ulteriormente ridotti di pezzatura e vagliati ” con l’utilizzo di appositi impianti. Una previsione logica: demolendo materiale di natura incerta, in acqua da decenni, occorre comprenderne bene la composizione prima di disporne il riutilizzo o il conferimento in discarica, ad esempio per verificare “l’eventuale presenza di amianto negli aggregati del calcestruzzo”. Per farlo occorre “frantumare e vagliare” ciò che risulterà dalla demolizione. I materiali di risulta sono quindi stati classificati genericamente come “rifiuti”, individuando le possibili discariche e facendo riferimento al Codice europeo dei rifiuti, in modo da “condurre le determinazioni analitiche previste dalla normativa vigente” e classificare cosa sia recuperabile e reimmergibile e cosa (e come) sia da smaltire. Procedura troppo lunga per Webuild, che con l’Autorità portuale propone di modificare la Via: derubricando i materiali di demolizione a “sottoprodotti”, ci si potrà accontentare di una analisi preliminare e, una volta demoliti, pietre e massi della diga esistente, invece di essere portati a terra per i controlli, potranno essere direttamente scaricati via mare nell’imbasamento della nuova diga.

Andrea Moizo

FATTI DI LIGURIA

Fuoco, fuochino, fochetto, focone. Boom

La triste storia del progetto dei quattro assi per la mobilità genovese è densa di fatti e, soprattutto, densa di cambi di idee, di spostamenti, di modifiche. Sempre approvate e finanziate dal governo, nonostante le numerose incongruità e cambiamenti.

In questo caso si parla dei rischi di incidenti rilevanti legati a incendi ed esplosione dei depositi degli autobus, in particolare autobus con pile elettriche. In tutta Europa questi depositi vengono trattati come impianti a rischio di grave incidente e vengono collocati in periferia, lontani da abitazioni e altre costruzioni. Abbiamo visto come questo fatto abbia avuto dei risvolti significativi quando nell’ultimo mese ben tre impianti di questo tipo sono andati a fuoco in Germania e in Francia. A Genova è intenzioni dell’amministrazione di inserire depositi e pile elettriche in due magazzini già esistenti, uno a Gavette e l’altro a Staglieno. Inutilmente abbiamo chiesto ripetutamente quali misure di protezione sono previste trovandosi in un’area urbana vicino alla scuola, a un distributore di gas, a una delle strade principali e numerose abitazioni. Altrettanto scontato che anche stavolta l’amministrazione non ci ha dato questa informazione. Cioè hanno preso tali decisioni senza sapere dove collocare l’elemento a rischio di incendi ed esplosioni; lasciato nelle vicinanze di scuole e residenze. Questo è figlio di una progettazione urbanistica inesistente e di una evidente incompetenza dei tecnici progettisti che dovrebbero per prima cosa garantire la sicurezza dei cittadini. Sicurezza dei cittadini a cui in questo momento i tecnici e l’amministrazione non sono in grado di dare alcuna risposta. Ma decidono comunque, senza avere la benché minima idea di dove collocare le pile elettriche e di quali strumenti di protezione questi depositi si avvarranno. E passi per i politici (l’assessore in questione è un avvocato), ma è impensabili che i tecnici che hanno firmato il progetto dei quattro assi, oltre a quelli che hanno esaminato e finanziato il progetto, abbiano fatto tale verifica; che evidentemente non è una loro priorità o – ancor peggio – non è nelle loro competenze. Purtroppo questo è possibile perché in Italia non esiste una legge apposita, non esistono dei protocolli di sicurezza sulle sulla gestione dei depositi e comunque delle precauzioni in presenza di pile elettriche. Questo vale anche per i garage e, i parcheggi. Sicché, avendo già deciso dove, quanto e con quali soldi a disposizione, si chiederà ai vigili del fuoco di dare il consenso a questa serie di installazioni senza che possano fare riferimento ad una legge; e soprattutto mettendoli nella situazione di non poter prevedere aggravi significativi di costi o annullamento di posizionamenti già decisi preventivamente dall’amministrazione e approvati dal Consiglio Comunale. Come si diceva, un fatto molto pericoloso, riguardando sia i futuri depositi degli autobus, ma anche gli attuali, già stracolmi di messi elettrici senza alcuna certificazione di garanzia. E vale anche per tutti i parcheggi sotterranei e quelli a raso esistenti. Perché, in caso di incidente, esplosione o incendio, ad oggi non esiste un protocollo per la messa in sicurezza. Mentre per gli amministratori ci sono solo le famose “linee guida”. Per la serie: fa un po’ come c**** credi, tanto le responsabilità te le prendi tu.

Andrea Agostini

Il futuro di Ansaldo Energia: continua il macabro balletto

L’ottobre scorso la Voce aveva pubblicato notizie estremamente preoccupanti sullo stato di Ansaldo Energia, provenienti da fonte assolutamente attendibile: le giustificazioni fornite dall’allora AD Giuseppe Marino (quota Luigi di Maio) sulla crisi, definita congiunturale, dell’azienda per l’annullamento di tre contratti Enel, che metteva gravemente a repentaglio l’occupazione, erano frottole: tali contratti non erano mai stati firmati. Mentre l’azienda languiva (e langue) nell’anemia finanziaria, sicché le banche non concedevano più fideiussioni per poter concorrere a tender internazionali. Ergo, o Cassa Depositi e Prestiti rifinanziava semestralmente oppure l’unica soluzione era la svendita a Siemens, con il salvataggio al massimo di 300 posti di lavoro sugli attuali 2.500.

Questa la realtà, sistematicamente occultata mentre arrivava il nuovo AD Fabrizio Fabbri (in quota a chi?) che – a quanto si dice – almeno dovrebbe conoscere il che cosa di cui tratta l’azienda genovese, a differenza del suo predecessore. Dunque, tutto risolto, come lasciano intendere la stampa locale e Giovanni Toti? Stando alle fonti informate che abbiamo ascoltato, non è proprio così. L’Ansaldo per ora ha nel carniere soltanto la costruzione di quattro turbine di vecchia generazione per l’Azerbaijan. Un portafoglio ordini per reggere fino all’estate; il tempo per ottenere l’aiuto atteso dal governo: qualche centrale Enel da riconvertire e le garanzie per ricevere l’attesa ricapitalizzazione; visto che la mancanza di liquidità, impedendo di pagare i fornitori, impedisce l’afflusso dei minimi indispensabili per tirare avanti. A partire dalle risme di carta per gli uffici. Per di più il diavolo ci ha messo la coda: l’improvviso incidente sul grande tornio verticale che ha spedito un operaio in coma, a lottare tra la vita e la morte. Tra l’altro un ulteriore inciampo per l’esecuzione della minimale commessa Azerbaijan, messa a repentaglio per l’assenza dei materiali necessari e il blocco delle attrezzature sotto verifica per i controlli di sicurezza che evitino nuovi incidenti alle maestranze.

Una situazione allarmante che non solo viene ignorata dai media, ma che lascia indifferente pure la business community ligure. Molto più interessata agli inviti di inizio marzo per la cena-vip organizzata da Giovanni Toti, in stretta sinergia con il sindaco Marco Bucci e il presidente di Port Autority Paolo Signorini, allo scopo di finanziare la sua componente politica “Noi Moderati”, al modico prezzo di 450 euro a coperto. Stando a quanto scrivono i giornali i partecipanti si aggiravano sui 350, con relativa informazione sul menù gourmet della cena. Nella beata indifferenza agli scambi affaristici obiettivo reale dell’evento. Che non era certo affrontare i temi di una politica industriale a base regionale, in cui una rivitalizzata Ansaldo Energia dovrebbe svolgere un ruolo di traino. Per la competitività del sistema produttivo d’area non meno che per l’occupazione.

PFP

Piano Energetico Ligure 2020-2030: pura dichiarazione di sentimenti

Il 9 gennaio è stata pubblicata la versione preliminare del Piano Energetico Regionale 2020-2030. Il piano esce con tre anni di ritardo, il precedente piano era scaduto nel 2020, in un contesto in cui si devono rispettare gli ambiziosi programmi europei che impongono la riduzione delle emissioni emesse di CO2 del 55% entro il 2030, unitamente ad un incremento dei consumi elettrici dal 23% attuale al 30 %, con una produzione da fonti rinnovabili che dovrà essere del 55-60%.

Cosa prevede quindi il piano regionale per concorrere a questi obiettivi? Quale osservazione generale si può dire che più che un piano regionale per l’energia ed il clima il documento in oggetto sembra un corso parauniversitario (per UNIGE Senior?), anche ben fatto e completo, su quello che è previsto dalle normative europee e nazionali e sulle tecnologie esistenti con riferimento ai temi dell’efficienza energetica, delle fonti di energia rinnovabili e dell’innovazione tecnologica.

Infatti nel documento mancano le azioni positive che la Regione potrebbe o vorrebbe fare al fine di facilitare la transizione ecologica. Sostanzialmente l’intenzione della Regione è di stare alla finestra e di vedere cosa accade senza alcun ruolo attivo, se non quello meramente informativo nei riguardi della pubblica amministrazione. Eppure nel cap. 3 si evidenzia come anche la Liguria dipenda dalle importazioni di energia e che conseguentemente “la Regione Liguria intende (…) contribuire attivamente agli obiettivi di rafforzamento della sicurezza energetica, favorendo la costruzione di un sistema territoriale resiliente ed efficiente sotto i profili del consumo e della produzione decentralizzata di energia.”. Obiettivo del tutto condivisibile, peccato che poi manchino le azioni concrete per coglierlo.

Ad esempio nel Piano si afferma che “L’obiettivo di Burden Sharing 2020 (cioè la ripartizione degli obiettivi energetici nazionali in sotto-obiettivi energetici regionali) risulta conseguito a livello nazionale, ma non a scala regionale: la Liguria si attesta infatti a 7,9% al 2020, a fronte del 14,1% atteso. (…) tale percentuale, che rappresenta poco più della metà dell’obiettivo, si e mantenuta generalmente stabile dal 2017 al 2020, con una crescita di appena 0,5% tra il 2016 ed il 2020.”

Quindi si prende atto che un obiettivo raggiunto a livello nazionale non è stato perseguito a livello regionale. Logica vorrebbe che si studiassero le cause di questo mancato raggiungimento per porvi rimedio. Non una riga è spesa in tal senso, siamo di fronte ad una mera presa d’atto. Infatti si afferma: “Pertanto, a fronte della contrazione dei consumi finali totali (…), la mancata crescita delle fonti rinnovabili tra il 2016 ed il 2020 determina il mancato conseguimento dell’obiettivo di Burden Sharing regionale, che passa dal 7,4% del 2016 al dato definitivo 2020 pari a 7,9%, ben lontano dal target fissato al 14,1%. Perché non sono cresciute le rinnovabili? Non viene detto.

Personalmente penso invece che come ente legislativo la Regione abbiamo molti compiti da svolgere al fine dell’attuazione del “green deal” europeo, tra cui il contrasto alla povertà energetica. Bene la parte tecnica insomma (a parte il capitolo sul nucleare su cui vorrei tornare), mancano totalmente le scelte politiche.

Mauro Solari

Il senso dimenticato del Carnevale

Da tempo lo studio della cultura popolare non è più nell’attenzione della sinistra italiana: l’oblio ha reso tutto terribilmente piatto, omologato e le classi subalterne non sanno più elaborare il loro contributo d’originalità. Anche nel Tigullio. Oggi, con non poco imbarazzo, si ritiene popolare il festival di Sanremo e il termine gramsciano non segna più l’autonomia culturale, ma il solo share, il consenso degli spettatori sprofondati nei casalinghi divani. Questa incredibile anomalia ha cancellato l’intero calendario delle festività, sia religiose che laiche, privilegiando il solo successo partecipativo e regalando al mercato dei consumi le festività più importanti e significative. In questi giorni siamo nel cuore della Quaresima e da pochi giorni è passato il Carnevale. Ebbene, la festività del Carnevale, la più significativa culturalmente e politicamente, si è trasformata in una scadenza omologata in banali sfilate, bimbi con i costumi degli eroi televisivi, eventi di piazza smarriti nel vuoto totale di presenze; nell’assenza di qualsiasi traccia storica. Eppure, lo straordinario quadro di Bruegel il Vecchio ci rammenta “La Lotta tra Carnevale e Quaresima”: opera dai forti contrasti, di vero scontro tra il mondo alla rovescia laico-popolare e il rigore della morale religiosa, dove il divertimento era visto come una trasgressione pericolosa. Dopo più di quattro secoli, il quadro continua a rappresentare il contrasto tra queste due visioni del mondo; immagine dello scontro contro tutti i poteri nella visione popolare. Il Carnevale ripeteva in modo orgoglioso il piacere del cibo, la vivacità del vino, l’evasione nel canto e il ballo collettivo, tra salami e salcicce, brocche straripanti di vino. E non manca nel quadro la cornamusa e la ghironda, strumenti maledetti perché atti a produrre gli indiavolati suoni a bordone per strascinanti coreografie. Quasi in rotta di collisione col mondo del Canevale, la smunta e malaticcia Quaresima, dipinta magra e triste, il suo carretto trainato da un frate e da una monaca, con una pala-lancia su cui sono poste due aringhe. I due pesci secchi contrastano in modo abissale con l’eccesso proteico del Carnevale. Questa scena voleva solo riassumere cosa era il Carnevale e cosa ha rappresentato per comunità come quella nella quale vivo. Solo pochi anni orsono erano presenti vere e proprie azioni sceniche, lampi di teatro di strada spontanei, dove gruppi ripetevano azioni visibili nell’opera di Bruegel. La maschera di riferimento era il Rebello, una sorta di scalcinato travestimento, con caratteri sessuali fuori dagli standard biologici, dove la ricerca di momenti d’incontro restituiva azioni drammaturgiche uniche, sempre paradossali e capaci di sollevare ilarità collettiva. Come mai oggi non rimane quasi nulla di quella visione fantastica? Se i Rebelli tornassero non sarebbero più capiti e sarebbero estranei, incapaci di dialogare col nuovo Carnevale stereotipato. La cultura è cambiata, spesso si confonde con la gestione del tempo libero e dilaga nell’intrattenimento; le azioni collettive del mondo laico smarrite nelle quotidiane banalità del linguaggio degli eventi. Che fare? I guasti al nostro immaginario sociale sono ancora riparabili? Al momento non pare siano presenti negli ordini del giorno e neppure nei programmi dei tanti fenomeni che si affacciano nel dibattito politico. Il vecchio Carnevale Brugheliano continuerà a sfidare la decadente Quaresima. La loro lotta sarà circoscritta a quel quadro, estranea alla nostra quotidianità. Eppure era la sfida con una posta in gioco di notevole valore: la nostra cultura.

GV

L’ultima follia: il medico a gettone

Nel caravanserraglio di neologismi escogitati per gettare fumo negli occhi della cittadinanza, che mai deve rendersi conto dello scempio in atto nella sanità pubblica, spicca la trovata di un’ultima invenzione linguistica truffaldina: la figura del “medico a gettone”, che richiama alla mente una lavanderia self service mentre si riferisce all’ennesima tipologia professionale dequalificata; in bilico tra l’auto-sfruttamento e la prestazione di cura svilita dagli effetti del precariato.

Dunque, nell’opera di costante dimagrimento degli organici medici, a unico scopo del taglio dei costi, che ha come ovvia conseguenza l’anoressia delle strutture sanitarie, si è inventato il ricorso a “medici giornalieri”. Ossia medici che lavorano per una cooperativa e pagati per il turno che svolgono: adesso in un posto, domani in un altro. Il tutto incentivato da un vantaggio materiale: è fino al 70% l’incremento del guadagno di chi rinuncia all’assunzione in un ospedale e decide di affidarsi alle cooperative lavorando come libero professionista. Ennesima esemplificazione del mantra liberista che invitava i dipendenti a “imprenditorializzarsi” (rinunciando alle tutele dell’appartenenza a una categoria). Il fenomeno è esploso durante la pandemia e l’ingresso nelle corsie d’ospedale avviene soprattutto durante i turni di notte, sabato e domenica e nei festivi. Il compito prevalente di tali medici è occuparsi delle urgenze: parti, bambini con problemi di salute e pronto soccorso. Il tutto senza nessun controllo sanitario e senza orari (sono frequenti i casi di gettonisti che – forzati dall’opportunità di incassare di più – operano senza sosta accumulando perfino quattro turni, nell’indifferenza all’appannamento della qualità professionale indotto dalla fatica). Sicché fece scalpore la morte, avvenuta il 13 gennaio scorso, di una donna che era stata appena dismessa dall’ospedale di Novi Ligure da una dottoressa a contratto-

Una soluzione – appunto, di abbattimento dei costi della cura attraverso l’auto-sfruttamento avido – di cui si è fatto largo uso in Liguria in quattro Asl su cinque, nell’emergenza ma anche nei reparti, per sopperire alle carenze di specialisti che non si intendono rimpiazzare con soluzioni stabilizzate.

Perfino il nuovo assessore alla salute Angelo Gratarola prende le distanze da tale scelta, che – come detto – risponde soltanto a una logica bassamente contabile, sia degli amministratori che dei prestatori d’opera, a scapito della cura e delle esigenze del paziente: “un provvedimento straordinario che deve essere limitato nel tempo. Una buona attività sanitaria può essere fatta soltanto se si conosce l’ambiente in cui si lavora e si fa parte di quel territorio”.

PFP

Scajola uno e trino, nella crisi idrica del ponente

Dopo l’endorsement di Toti, Scajola è riuscito nello straordinario risultato di dividere i rivali sulla strada delle elezioni comunali. Nel capoluogo ponentino ci si avvicina allo scontro elettorale con una giostra di candidature, da destra a sinistra, che darà ben presto il via libera al ‘tutti contro tutti’. Con la nomina di commissario ad acta dell’Ato idrico del presidente della provincia di Imperia, si è completato il ‘capolavoro’, sebbene continui la mortificazione di una classe politica che si è mostrata incapace e inefficiente da anni. Scajola, quasi ne fosse estraneo, nelle vesti commissariali potrà occuparsi della gestione dell’acqua con meno ‘lacci e laccioli’, un campo libero con pieni poteri per portare in porto la privatizzazione del servizio idrico.

Intanto per provare a dare risposte alla crisi idrica, è avvenuto un confronto tra la Provincia, il Prefetto e Rivieracqua. Si è parlato di condotte colabrodo, disservizi dei cittadini e del potenziamento del lago artificiale del Ferraia, in alta Vall’Arroscia, già approvato dal consiglio provinciale e finalizzato al servizio irriguo. La realizzazione di piccoli invasi, ma soprattutto il recupero di fonti e pozzi abbandonati, che dovranno essere ripristinati, non basteranno a fronteggiare un’emergenza ormai strutturale. Le dispersioni dell’acqua immessa nella rete e le continue falle – l’ultimo caso è quello che ha provocato ingenti danni a Borgo Marina nel capoluogo – ma soprattutto quelle che affliggono il dianese e Andora, dimostrano quanto siano mancati sistematicamente interventi sugli acquedotti. Se negli ultimi vent’anni fossero stati effettuati gli investimenti necessari, non servirebbero fondi straordinari come quelli del Pnrr per il raddoppio dell’acquedotto del Roja, che la comunità del ponente attende da troppo tempo.

Come ricorda il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, all’indomani del tavolo tecnico del Governo per la gestione della risorsa acqua, la relazione annuale ARERA 2020 (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) dichiara che in media il 43,7% dell’acqua viene dispersa dalle tubature, con picchi oltre il 50% nelle isole e al sud. Ma ancora una volta con valori per la Liguria e il ponente in particolare, con criticità molto rilevanti.

La situazione di emergenza climatica, la siccità e il fenomeno della desertificazione del territorio, potranno essere più facilmente utilizzate con la gestione commissariale, per giustificare misure di razionamento dell’acqua, sospensioni programmate di erogazioni, divieti e limitazioni.

Non è bastato dunque disapplicare il Referendum del 2011, oggi ci troviamo di fronte ad una nuova possibile restrizione di democrazia che sottrarrà al territorio anche il controllo della propria acqua, sottoponendo i cittadini a centellinare questa risorsa vitale, pagata come oro ai gestori. Occorrerebbe assumere, come tema fondamentale per il futuro, un piano sistemico di ristrutturazione delle reti, all’interno di una gestione interamente pubblica che si occupi anche del riassetto idrogeologico e della messa in sicurezza del territorio.

La crisi idrica che stiamo attraversando va affrontata con responsabilità rendendo partecipi delle scelte intraprese i cittadini e le comunità, con la consapevolezza che se impatterà sulla popolazione in modo discriminatorio, a maggior ragione, l’acqua dovrà restare fuori dalle dinamiche del profitto. Il sindaco di Imperia, nonché presidente della provincia e commissario dell’Ato idrico chiarisca quali scelte intende intraprendere, alle porte di una primavera ed un’estate che si preannunciano più critiche di quelle passate.

MG

Disparità di genere e alta formazione STEM in Liguria

Le disparità di genere continuano nei corsi di laurea delle discipline tecnico-scientifiche, sono radicate nella società, crescono in famiglia, si rafforzano nell’ambito educativo per esprimersi compiutamente in ambito professionale. Benché in Liguria i dati sul numero di donne che frequentano l’Università e sugli esiti del loro percorso accademico fino alla laurea siano in continuo miglioramento, con un numero di frequenze e risultati migliori degli studenti maschi, il numero di laureate occupate, il tipo di carriera intrapresa e la retribuzione mostrano il contrario. Poiché l’ingresso nel mondo del lavoro è più facile e le retribuzioni sono mediamente più alte per chi in generale proviene da facoltà scientifiche-tecnologiche, è giusto chiedersi in che misura il problema della disparità sia presente in queste facoltà; le cosiddette STEM, acronimo di Science, Technology, Engeneering e Mathematics. Il documento dell’Università di Genova Bilancio di Genere 2020 evidenzia in Liguria una presenza femminile tra gli iscritti ad Ingegneria di solo il 23% e nel 2019 il settore informatico e delle comunicazioni raggiunge il punto più basso con il 14% di iscritte alla triennale e il 14% alla magistrale. A livello nazionale un rapporto Istat 2020 afferma che gli uomini che si laureano in discipline scientifiche e tecnologiche in Italia sono il 37 % mentre le donne il 17%. Dato per scontato che le ragioni del divario non siano le scarse capacità o le difficoltà di apprendimento, in quanto le donne ottengono in media votazioni più alte e completano il corso di studio più e prima dei colleghi maschi, bisogna ricordare come ancora siano presenti condizionamenti culturali ed educativi lamentati da anni. È interessante riportare un risultato di un rapporto di Save the Children “Con gli occhi delle bambine”, ottenuto da una ricerca datata 2017 su due campioni equivalenti di bambini e di bambine cui viene descritto un soggetto particolarmente brillante. Già dai 6 anni sia i bambini che le bambine attribuiscono al soggetto il genere maschile, ad indicare uno stereotipo già formato sulle minori abilità e capacità intellettuali femminili, spesso alimentato dall’educazione in famiglia. Ancora oggi si continua a ritenere le donne più adatte a studi umanistici. Ma a condizionare gli orientamenti delle scelte delle donne vi è anche l’ineludibile realtà che relega le giovani mamme al loro ruolo di cura della famiglia, spesso inconciliabile con professioni che per questo penalizzano le donne, anche a livello retributivo, e non tutelano abbastanza le esigenze di flessibilità, che spesso si scaricano solo su queste ultime. Così, secondo numerose indagini, a cinque anni dalla laurea, in presenza di figli il divario occupazionale aumenta e, a livello retributivo, gli uomini percepiscono in media il 20% in più delle donne. Da un lato Leonardo, azienda presente sul territorio ligure che occupa in gran parte profili STEM, si vuole indirizzare verso obiettivi di parità di genere, puntando su percentuali del 30% di assunzioni femminili in area STEM entro il 2025, e Fincantieri si fregia di aver aumentato la presenza femminile nel Gruppo, crescono le iniziative a livello di comunicazione per descrivere il problema, con convegni, giornate di studio, celebrazioni. Eppure il Comune di Genova ha minacciato di sospendere i contratti a 50 operatori a tempo determinato degli asili nido e scuole di infanzia comunali per mancanza di coperture finanziarie, generando le vivaci proteste di genitori e lavoratori che hanno costretto l’Amministrazione Comunale ad un parziale dietrofront. Insomma, c’è ancora molta strada da fare sulla via dell’emancipazione, anche per non disperdere la creatività e le capacità femminili.

Nuccia Canevarollo

Il 6 marzo scorso, in un’affollata conferenza a Palazzo Ducale di Genova, lo storico dell’arte Stefano Zuffi ha illustrato l’opera dello straordinario pittore fiammingo del XV secolo Hieronymus Bosch; prologo alla mostra milanese delle sue opere. Tra cui il capolavoro intitolato “Il giardino delle delizie”. Ce ne riferisce questo articolo, con un retro-pensiero come suggerimento per gli operatori culturali genovesi: l’idea molto francese di organizzare eventi artistici “monografici”: concentrati sulla valorizzazione un’unica opera. Vedi il delizioso museo di Bayeux, che espone un solo oggetto d’arte: l’arazzo ricamato dalla principessa Matilde, moglie di Guglielmo il conquistatore, per illustrarne le gesta.

Bosch, Milano chiama Genova

Al Palazzo Reale di Milano si è conclusa il 12 marzo la mostra intitolata “Bosch e un altro Rinascimento” che espone, tra l’altro, l’opera considerata il capolavoro dell’autore: “Il giardino delle delizie” in prestito dal Prado di Madrid. Si tratta di un trittico composto da un pannello centrale di forma quasi quadrata, cui sono accostate due ante richiudibili; che quando sono chiuse mostrano una rappresentazione del mondo sferico, resa con la tecnica della grisaglia (in banco e nero), che si pensa raffiguri il terzo giorno della creazione come narrato nella Genesi: Ipse dixit et facta sunt. Ipse mandavit et creata sunt. Pensiamo all’emozione di chi ha potuto assisterne all’apertura, e da una rappresentazione cupa e spoglia improvvisamente si trova immerso in uno strepitoso brulicare di un’infinità di creature. Creature appunto. Ma quali? A sinistra “il Paradiso terrestre” con la nascita di Eva dalla costola di Adamo, resa con colori brillanti e smaltati tipici della migliore tradizione fiamminga, con le tonalità dei verdi e dell’ocra, e dove spiccano bianco, rosa e blu. Da notare che Dio ha un aspetto giovane, occhi azzurri e riccioli biondi. Quindi una rappresentazione lontana da quelle comunemente conosciute del Dio Padre, ma basata sul concetto di Cristo come parola di Dio.

Molti dettagli sembrano lontani dall’innocenza che ci si aspetterebbe nel giardino dell’Eden: tra gli innumerevoli particolari notiamo dei coniglietti che giocano nell’erba, simboli di fertilità, e una dracaena, l’arbusto cui viene associata la vita eterna. Al centro il “Giardino delle delizie”: una distesa verde in cui abbondano figure maschili e femminili nude, circondate da una straordinaria varietà di animali. Piante e fiori: creature fantastiche che si confondono con elementi reali e che probabilmente assumono significati simbolici. A destra “l’Inferno”, conosciuto anche come l’inferno musicale, a causa dei numerosi strumenti usati come mezzi di tortura per le punizioni carnali inflitte ai dannati. In una scena di forte pathos, si svelano le atrocità della guerra mentre sullo sfondo risalta una città in fiamme, in cui gli edifici esplodono colorando l’acqua di sangue.

Lo storico dell’arte Carl Justi, osservando i primi due pannelli ambientati in un’atmosfera tropicale, ha ipotizzato che questa scelta fosse legata alla scoperta dell’America: infatti il periodo cui risale la realizzazione del trittico fu tempo di scoperte e avventure, raccontate da viaggiatori e scrittori, e pare evidente il richiamo alla letteratura di viaggi esotici. Le tante scoperte geografiche dell’epoca resero reali luoghi fino a quel momento solo vagheggiati e alcuni pensatori misero in forse le certezze sull’esistenza del paradiso. Ma forse le parole più giuste per descrivere quest’opera, che a distanza di cinque secoli affascina sempre le folle, sono quelle dello storico Erwin Panofsky che scrisse: “nonostante le molte ingegnose, dotte e in parte estremamente utili ricerche dedite al compito di decifrare Jerome Bosh, non posso fare a meno di credere che il vero segreto dei suoi magnifici incubi e fantasticherie debba ancora essere svelato. Abbiamo scavato alcune brecce attraverso la porta di una stanza chiusa, ma in qualche modo non ci sembra d’aver trovato ancora la chiave”.

Orietta Sammarruco

Alla ricerca della solidarietà invisibile

Nonostante le apparenze, la solidarietà sembra essere molto praticata a Genova e dintorni, se più di duecento (fonte: smart.comune.genova.it/contenuti/educazione-civica-e-scuola), sono le associazioni di volontariato che – sulla carta – si contano sul nostro territorio, oltre a quelle che costituiscono diramazioni di organismi a livello nazionale.

I genovesi – ad onta della loro fama – saprebbero dunque essere solidali e generosi, ma senza darlo a vedere? Sarà per questa ragione che – a quanto ci risulta – non esiste una qualche forma di monitoraggio e razionale coordinamento delle risorse: ogni associazione preferisce operare in silenzio, nell’ombra, come se il bene prediligesse l’essere non visto: ‘maniman…’.

Il male, invece, sarebbe caciarone, sguaiato, sempre in cerca di consenso e finanziamenti. Persino simpatico, in fondo.

È interessante scorrere l’elenco di queste associazioni ‘di volontariato e solidarietà’ che, rete invisibile e forse non consapevole, copre la città ‘metropolitana’, sotto l’etichetta ‘Volontariato e solidarietà’. Si va dalle associazioni ‘generaliste’ a quelle di quartiere, dai patronati agli scout, dalla tutela dei minori alla lotta contro le malattie più devastanti, dagli ‘amici del gatto’ alla solidarietà col popolo palestinese, dai ‘Creativi della Notte’ alle associazioni per il diritto alla casa, e via di seguito. Questo generoso e un po’ confuso panorama non può non lasciare perplesso chi vorrebbe addentrarsi nel mondo del volontariato: manca una mappa, una bussola aggiornata cui indirizzare il proprio interesse e magari anche la propria disponibilità.

Spetterebbe al Comune, crediamo, provvedere a questa esigenza, sia verificando puntualmente lo stato di salute di questa miriade di benemerite iniziative, sia intervenendo ad assicurare la razionalità degli interventi sul campo, contro il rischio di sovrapposizioni, paradossali forme di concorrenza, utilizzazioni improprie dell’iniziativa.

L’intervento del Comune sarebbe tanto più indispensabile, quanto più ci si accorgesse – come si avverte da chi opera ‘sul campo’ – di un pericoloso degenerare del volontariato verso forme meno spontanee e più ‘retribuite’ di partecipazione alle gravissime situazioni di disagio che caratterizzano la vita urbana.

Va di moda l’espressione ‘stati generali’. Sarebbe forse il caso di indire un forum (altra espressione di moda cui non riusciamo tuttavia a sottrarci) con cui inaugurare una discussione pubblica sul tema della solidarietà in tempi di indifferenza ed egoismo collettivi.

Vuoi vedere che l’Amministrazione cittadina possa mostrarsi dotata di orecchie più efficienti di quelle, tradizionali, ‘da mercante’?

MM

Elezioni a Sarzana. Il PD va contromano

È ancora fresco il risultato della recente vittoria alle primarie del PD di Elly Schlein e la chiara indicazione della partecipazione al voto di elettori che in buona parte avevano smesso di votarlo.

Questi elettori chiedevano una netta svolta a sinistra del PD, che cominciasse ad occuparsi dei problemi quotidiani di milioni di persone. Lo chiedeva la vecchia base elettorale dei lavoratori dipendenti, un quarto dei quali vive sotto la soglia di povertà; lo chiedevano i nuovi lavoratori alle prese con precariato, incertezze sul futuro e trattamenti economici da fame; lo chiedevano fasce di ceto medio impoverite da un capitalismo sempre più accentratore di ricchezza nelle mani di pochi. Con povertà crescente per il 90% della popolazione.

La Schlein ha subito dato segnali chiari a Firenze nella grandiosa manifestazione antifascista, quando si è abbracciata con Conte e con Landini. L’indirizzo del PD a guida Schlein non è verso il “terzo polo” (ammesso che esista), ma a sinistra, verso il sindacato, i movimenti, i 5 Stelle e l’area frammentata oltre il PD. Ma a Sarzana il PD ha scelto una strada in netto contrasto con queste indicazioni. Con Guccinelli ha promosso la candidatura di un ex sindaco di trent’anni prima, ex assessore regionale nelle giunte Burlando, uscito anni fa dal PD, che ha fatto una vera OPA sul PD stesso; tagliando ogni rapporto sia con l’area a sinistra del PD sia con i 5 Stelle, che presentano una candidatura autonoma, appoggiata da Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Verdi e Civici.

Forse la sua candidatura è stata un po’ prematura. Forse nessuno aveva previsto la vittoria della Schlein. I gruppi dirigenti passati attraverso PCI, PDS, DS e PD, oggi in buona parte esterni al PD, hanno colto l’occasione per riproporre l’eterno personale, anche se assai stagionato anagraficamente. Quel gruppo che ha portato le vie esterne di Sarzana, che avrebbero dovuto essere di scorrimento veloce, a diventare un imbuto di traffico perennemente intasato a causa dell’indiscriminata realizzazione di brutti capannoni commerciali; che non si è fatto scrupolo di cementificare il territorio e di lasciare la pregiata frazione a mare di Marinella nel più completo degrado. Guccinelli si fa forte di un momento aureo delle sue vecchie amministrazioni, dovuto a una fortissima terziarizzazione dell’economia locale, modello oggi completamente in crisi, e sulla voglia di rivincita di anziani elettori del PCI, PDS, DS, PD che vedono in lui la possibilità di battere quella destra che dopo 73 anni ha conquistato il comune alle scorse elezioni.

Il 14 maggio a sostegno dello stesso Guccinelli ci saranno ben sei liste (tre sue liste civiche, una lista renziano/calendiana, una ispirata dall’ex senatore Forcieri, e una del PD). Non è difficile prevedere che il PD rischia di fare la fine del vaso di coccio, stritolato tra l’attrazione dei suoi elettori pro candidatura Guccinelli e di quelli interni allo stesso PD che l’hanno osteggiata e ben difficilmente la voteranno; oltre a quanti alle primarie sono andati a votare per un ribaltamento di queste pratiche gestite da numeri ristretti di persone.

A Sarzana il voto popolare alla Schlein ha sconvolto ogni previsione e ribaltato il voto tra gli iscritti, a favore di Bonaccini. Per cui i dirigenti del PD ora si trovano nella scomoda posizione di aver imboccato una campagna elettorale contromano, contro le intenzioni della nuova segretaria, contro le chiare indicazioni del suo elettorato e perfino contro personaggi come Renzi, che dichiara “con questo PD non voglio aver niente a che fare”; o della locale leader dei renziani che ha rilasciato dichiarazioni di fuoco contro la neo segretaria del PD.

NC

Oggi il nostro citizen journalism non prende in esame una struttura ma un intero quartiere, carico di storia. E fascino.

Nostalgia delle Bocca di Rosa e di Princesa

Addio Lugano bella, o dolce terra mia…una vecchia canzone anarchica. Mettiamo Genova al posto di Lugano. Il suo centro storico medievale più grande d’Europa sta cambiando. In peggio, sicuramente. Una discesa catastrofica partita da lontano, agli inizi degli anni Settanta con il vergognoso scempio di via Madre di Dio. Per legge del contrappasso la società San Gallo che acquistò l’intera zona era di proprietà della Curia genovese e il progettista che ne consigliò la distruzione l’architetto Lorenzo Dasso, ovviamente dello studio di Renzo Piano, per non scordare le sue imprese. Forse, pentito, lasciò la professione per diventare pescatore e cuoco. Con l’abbattimento delle antiche case (compresa quella natale di Nicolò Paganini) di un intero e antico quartiere si fece posto a orrendi palazzoni rossi, simbolo di un degrado estetico ed etico, sede del potere regionale. Scempio per fortuna mai dimenticato dagli abitanti della zona, che nel 1981 eressero una colonna infame “a vergogna dei viventi e a monito dei venturi…” dedicata “all’avidità degli speculatori e alle colpevoli debolezze dei reggitori della nostra città”. Si può ammirare passeggiando tra Piazza Sarzano e Via del Dragone. Ai giorni nostri sono i i “bassi”, cari a Don Gallo e a Fabrizio de Andrè, a essere condannati a morte. Fino a pochi anni questo Fort Alamo era abitato da personaggi da film di Fellini: artigiani e bottegai dividevano il territorio, tra mugugni e risa, con tante Bocche di Rosa e con i primi travestiti che non disdegnavano il mestiere, trovando proprio a Genova un porto sicuro dove non essere messi al confino, derisi e malmenati. Voglio ricordare Ursula, in particolare, morta due anni fa a 82 anni. Venuto da Napoli, cantava con la sua voce da basso nel Coro della Maddalena e per oltre mezzo secolo ha gestito una clientela fidata e assidua, a prezzi modici: venti euro. Con quelle stesse banconote, ben ripiegate insieme, pagava l’affitto cash alla proprietà del suo storico basso, a pochi metri da quella che è oggi Piazzetta Don Gallo. Esponente di primo piano di Princesa, l’associazione fondata nel 2009 proprio dal prete con il sigaro, a difesa dei transgender. Erano cento i bassi, oggi attivi ne sono rimasti cinque. Gli spacciatori di morte hanno preso il posto di botteghe, osterie e locali, e i bassi, oggi venduti a prezzi stracciati, diventano depositi di bici, masserizie varie, droga. Fort Alamo è ormai circondato e resisterà ancora per poco: alle promesse elettorali di qualche lustro di chi voleva recuperare il quartiere alla gente, alla storia, ai suoi abitanti, al turismo perfino, non ci crede più nessuno. Forse nei palazzi del potere si aspetta che tutto vada definitivamente in malora, per poi accordarsi, come cinquant’anni fa, con qualche nuovo speculatore, e abbattere ciò che resta, per farne dei mega centri direzionali, i bordelli della finanza. Visto che ho citato Fort Alamo mi è venuto in mente Toro Seduto: “Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte e pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”.

CAM

Numero 45, 28 febbraio 2023

Indice

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PILLOLE

Bucci subisce o condivide la toponomastica fascista?

Il povero Bucci prova ancora imbarazzo per certe scelte o è soltanto il tappetino dei nipotini neri?

Lo hanno spinto a intitolare la darsena di Nervi a Luigi Ferraro, ufficiale della criminale X Mas che “operò” agli ordini dei nazisti al tempo della Repubblica di Salò. Ercolino sempre in piedi, poi fonda la Technisub: la scusa per celebrarlo (coraggio fascisti genovesi, perché non cambiare via Garibaldi in Via Costanzo Ciano?). Pure l’esponente di maggioranza di Genova vince ha votato contro. Ma a parità il voto dell’assessore Alessandra Brusoni dagli occhiali rossi (chissà, rivendicare questo rosso un giorno potrebbe venirle bene) ha fatto la differenza. Settemila firme contrarie di cittadini non sono bastate. Genova alzi la testa, e torni a lottare contro questo schifo.

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Una piccola storia di oltraggi, anche verso la lingua italiana

Nuova goodnews: una giovane donna di 28 anni, residente a Genova, laureata in ingegneria, si è sfogata su Tik Tok. Dopo un complimentato tirocinio presso uno studio si è vista offrire alla fine una collaborazione a partita IVA a 750 euro netti. Ha rifiutato sdegnata, dopo tutto il lavoro, le premesse e le promesse. “Sono ingegnere edile”, dichiara con giusto orgoglio, e oggi, superata la delusione fa la libera professionista. Dice anche di essere stata fortunata perché almeno oggi è pagata il giusto, mentre le aziende offrono stipendi inadeguati al ruolo come se ti facessero un regalo. Ma mentre lei si dichiara “ingegnere”, il Secolo XIX titola “ingegnera”. La neo-lingua: ingegneri e ingegnere plurali maschile e femminile. E al singolare ingegnero e ingegnera.

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Che ne sarà dei muscolai spezzini?

I muscoli (per cortesia non chiamateli “cozze”, espressione dialettale romanesca e meridionale. Dialetto per dialetto, tanto vale usare il nostro. L’italiano sarebbe mitili, ma nessuno lo usa), stanno scomparendo dal Golfo della Spezia. Le attività dei muscolai, figura ibrida a metà tra pescatore e allevatore, sono in difficoltà. Prima i dragaggi del porto, poi le invasioni delle orate, che proliferano perché fuggono dai vivai di allevamento, e ora il riscaldamento delle acque. Da tempo i poveri muscolai devono operare in aree sempre più anguste, a terra come in mare, fagocitati dall’implacabile dilatarsi delle attività portuali. Bisogna intervenire. Si ipotizza un trasferimento fuori diga, anche davanti alla foce del Magra, dove le acque sono più fresche, pulite e nutrienti.

EDITORIALI

Contro l’alternativa ricattatoria armi o valori umani

Come a Taranto i lavoratori dell’Ilva avvelenatrice dell’ambiente sono forzati a scegliere tra salute e lavoro, qualcosa di analogo viene imposto anche alla Spezia delle armi, dove si costringono i dipendenti (e la cittadinanza) alla scelta lacerante tra occupazione e principi di civiltà.

Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, istituto indipendente dedicato alla ricerca su conflitti, armamenti e disarmo, l’Italia è al quarto posto nel mondo come produttore di armi, tramite soprattutto Leonardo e Finmeccanica. Il primo acquirente è l’Egitto (capito perché la storia di Patrick Zaki viene seguita con le pinze?), ma stanno aumentando le vendite anche in Qatar (capite perché non c’è stata alcuna protesta dall’Italia per i 6.500 lavoratori morti per fare gli stadi per il mondiale di calcio?). L’Oto Melara (per chi non lo sapesse è Leonardo), occupa per lo spezzino un ruolo fondamentale per l’occupazione, sia diretta che per l’indotto. É nell’occhio del ciclone, perché da un anno è in vendita, senza girare intorno alle parole, forse alla tedesco/francese KNDS che farebbe delle aziende del gruppo il solito spezzatino di aziende e persone. Oppure alla Fincantieri, ovvero se non è zuppa è pan bagnato. E tra Leonardo e Fincantieri l’Italia esporta armi da guerra per 13,8 miliardi, e ne spende (dati 2022 in aumento di altri 800 ml nel 2023) 25,7. Al di là del passivo tra fatturato (che non è l’utile) e spesa, qui sorge un fondamentale dilemma etico, ovvero quando due opzioni entrambe valide cozzano tra loro. Da una parte l’occupazione, il lavoro, la dignità che ne consegue, il tutto sancito dagli articoli 1 e 4 della Costituzione. Dall’altro non solo l’art 11 della stessa (ripudio della guerra), ma anche i principi fondamentali dell’Uomo, etici, sociali e religiosi (di qualunque fede), perché ogni arma da guerra prodotta significa la morte di esseri umani, quello è il suo scopo finale. Da dilemma etico si passa quindi anche a quello morale, personale. Ciò che per ciascuna persona è giusto o sbagliato. Prima di dare le dimissioni in tronco dalla finanza, agli inizi della carriera avevo proprio tra i miei clienti l’Oto Melara. E quando telefonavo al direttore finanziario per offrirgli dieci o venti miliardi (di lire) come denaro caldo (operazione che si chiude in 24/48 ore) sapevo che con quella telefonata aiutavo l’azienda a costruire un carro armato. Avevo il dovere etico di farla, perché la banca mi dava lavoro e quello altrettanto importante di interrogarmi sulla mia complicità di morte di esseri umani. C’è soluzione? No. Quanto meno non nell’immediato. Però immagino per i miei figli un paese in cui attraverso un lento processo di riconversione mentale ed etico ancora prima che industriale (la prima condizione è necessaria per arrivare alla seconda) l’Oto Melara (sineddoche per un discorso più vasto) produca apparecchiature sanitarie, diventi un polo tecnologico, il più importante osservatorio al mondo di armamenti da osservare e evitare, come uno della Shoa. Un sogno utopico e distopico, ma un argomento su cui si deve riflettere, senza mettere la testa sotto la sabbia, perché credo fermamente che lo scopo della vita non sia il PIL quanto – piuttosto- il benessere e la serenità propria e del prossimo. Tanto è tutta una questione economica, le guerre si fanno per questo, da sempre, anche le Crociate: l’industria delle armi, prima al mondo, supera anche quella farmacologia con 1,8 trilioni contro l’1,5. Magari prendiamoci a pugni, ma senza spararci, e poi a farci una pizza insieme.

CAM

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Liguria, le due vie dello sviluppo

Nell’editoriale del professor Sylos Labini, apparso sullo scorso numero della nostra news, venivano fatte affermazioni molto franche e altrettanto dure sui compiti non ottemperati da una realtà come l’Istituto Italiano di tecnologia, lautamente finanziata dallo Stato; che potrebbero essere sintetizzate nel che fare ad oggi negletto di “favorire lo sviluppo del sistema economico”. E non dimentichiamo l’altra critica molto condivisibile di Sylos all’Istituto: il sistematico ricorso alla precarizzazione dei ricercatori, che sta producendo forti tensioni sindacali nella sede di Morego: stando al comunicato FLC CGIL – USP, oggi, “martedì 28 febbraio dalle ore 9.30 in Largo Pertini a Genova si terrà lo sciopero di 8 ore del personale tecnico e amministrativo della Fondazione IIT (Istituto Italiano di Tecnologia)”.

Rispetto a tali addebiti abbiamo chiesto ad Alberto Diaspro, direttore di ricerca dell’Istituto, se volesse intervenire ancora una volta al riguardo, ma la risposta è stata cortesemente diplomatica: «credo che la domanda di Sylos Labini, di cui so poco a parte credo la parentela illustre e perché non del mio campo direi, vada posta al direttore scientifico di IIT. Non per sottrarmi ma perché io potrei avere una visione parziale, già espressa, sul tema. Al di là di ogni possibile polemica o strumentalizzazione potrebbe essere un tema interessante per un confronto tra i diversi attori sul territorio. Mi interessa ascoltarlo ma non parteciparvi perché serve preparazione e studio che dedico alle problematiche scientifiche verso le quali ho dedicato buona parte della mia vita. Ringrazio per avermelo segnalato. Un caro saluto».

Sicché restiamo in attesa dell’appuntamento pubblico, auspicato dal professor Diaspro, per approfondire la questione del rapporto tra ricerca e riqualificazione territoriale, a cui la Voce del Circolo Pertini sarà ben lieta di collaborare.

Intanto riprendiamo l’altra tematica delle strategie per lo sviluppo, a cui ci richiamava Sylos Labini. E così facendo rinverdiamo una delle questioni che la nostra news incominciò a proporre nei suoi primi numeri, sintetizzata nella domanda: “esiste una politica (post-)industriale di Regione Liguria?”.

Strategie che possono essere di due tipi: mercificazione o specializzazione.

La prima è la strada battuta dalla Presidenza regionale di Giovanni Toti, della vendita all’incanto di pezzi di territorio e di asset relativi. Come ad esempio l’ospedale di Bordighera. Un via che porta alla cessione di beni pubblici. Che fa finanza (poi si vedrà a vantaggio di chi) ma non crea volani che riproducano capitale sociale. Dunque, si traduce in un sostanziale impoverimento dell’area.

L’altra è la via che caratterizza la nostra storia patria dagli albori e si interrompe all’ultimo quarto del Novecento; e cioè fare cose che altri non sanno fare come scelta collettiva della comunità cittadina: dal commercio di lunga distanza nell’epopea dei fondaci dell’Età di mezzo all’essere centro del sistema-Mondo finanziario come banchieri dell’impero spagnolo, alla prima industrializzazione meccanica ed elettromeccanica di fine Ottocento, poi alla grande siderurgia del Piano Sinigaglia sotto l’egida delle Partecipazioni Statali. Soluzioni competitive molto diverse, ma sempre connotate da un tasso altissimo di innovazione d’impresa. La via smarrita nell’ultimo mezzo secolo, ma che è certamente la più in linea con il nostro genius loci. E riprenderne consapevolezza, trasformata in mobilitazione civica orientata al futuro, potrebbe essere il salto di qualità che rivitalizza la titubante opposizione all’attuale governo regionale, incapace di promuovere sviluppo in quanto prigioniero delle sue logiche meramente affaristiche.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi (tra gli altri):

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Arnaldo Bagnasco, Susie Bandelli. Enzo Barnabà, Marco Bersani, Marco Baruzzo, Pieraldo Canessa, Nuccia Canevarollo, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Alberto Diaspro, Marco Fabbri, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Andrea Moizo, Paola Panzera, Enrico Pignone, Bernardo Ratti, Adrano Sansa, Ferruccio Sansa, Sandro Sanvenero, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Orietta Sammarruco, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Francesco Sylos Labini, Rino Tortorelli, Giulio A. Tozzi, Gianmarco Veruggio

POSTA

L’amica Carla Scarsi ci segnala

L’ECO DELLA STAMPA

Da GenovaQuotidiana del 20 febbraio Cronaca Archivi - GenovaQuotidiana

Nidi e scuole d’infanzia: da mercoledì 50 docenti a casa

Carenza di organico cronica e sostituzione del personale insufficiente: serve dignità per le lavoratrici e i lavoratori del servizio scolastico comunale 0/6, per i nidi e le scuole dell’infanzia di Genova. Una situazione che ha portato al collasso i servizi educativi 0/6 del Comune di Genova. La denuncia arriva dalla segretaria regionale della CISL Funzione Pubblica Liguria che aggiunge: “Da mercoledì 22 febbraio 2023, il carico di lavoro del personale educativo/scolastico sarà insostenibile, non sarà quindi possibile garantire l’apertura dei nidi e delle scuole dell’infanzia, impedendo alla cittadinanza di usufruire di uno dei servizi più importanti di Genova. Una situazione che la CislFP Liguria aveva previsto, per la quale aveva già lanciato l’allarme mesi addietro all’interno dei tavoli sindacali, visti i piani assunzionali che prevedevano uno scarso investimento sui servizi educativi e un sistema di sostituzione che faceva acqua da tutte le parti. Come Cisl FP Liguria, avevamo già proposto sistemi organizzativi potenziati, criteri oggettivi per la creazione degli organici e un ritorno ad un’organizzazione decentrata del lavoro, che potesse permettere al territorio di reperire le risorse necessarie per far fronte alle necessità e garantire quindi i servizi educativi alle famiglie. Una proposta addirittura inviata nell’estate 2022, che non ha mai ricevuto risposta. Siamo preoccupati per la sorte di tutto il servizio educativo 0/6, per chi vi lavora all’interno ma ancora di più per i circa 50 lavoratori che da mercoledì 22 febbraio rimarranno a casa senza lavoro. Quest’ultimi sono gli stessi dipendenti che fino ad oggi hanno contribuito fortemente alla tenuta dei servizi, per i quali il Comune di Genova non ha alcuno scrupolo. Insegnanti, Educatori e Collaboratori Scolastici, trattati come numeri e non come persone. Bambine e bambine a cui verranno tolti i punti di riferimento e ancora peggio il diritto di poter frequentare un nido o una scuola d’infanzia, perché senza personale sufficiente, le scuole non potranno rimanere aperte. Il patto con le famiglie, disatteso”, si legge ancora nella nota stampa. La Cisl FP Liguria chiede al Sindaco e all’Assessore al Bilancio di ripensare il più velocemente possibile alle ultime scelte assunte. “Siamo pronti a scendere in piazza insieme a tutti i lavoratori e alle famiglie se non arriverà una risposta in tempi brevi”.

«Le assunzioni a tempo determinato erano per emergenza Covid con coperture governative che ora sono venute a mancare a livello centrale – dichiara l’assessore ai Servizi educativi 0-6 anni Marta Brusoni -. Come amministrazione è da tempo che ci siamo attivati per trovare una copertura a bilancio perché non vogliamo disperdere le professionalità interne, indispensabili per dare un’offerta qualificata e una continuità all’offerta formativa nei nostri nidi e nelle nostre scuole dell’infanzia. Abbiamo già aperto dei tavoli tecnici per arrivare a una soluzione condivisa, sul cui raggiungimento è indispensabile che ci sia l’impegno di tutti. Legittimo protestare e scioperare, ma è fondamentale la collaborazione. Nessuno vuole né lasciare lavoratori a casa né andare a ridurre dei servizi e per questo vorrei fosse chiaro che stiamo lavorando con i nostri tecnici e con il Bilancio da settimane per arrivare a mantenere in servizio tutti gli insegnanti».

FATTI DI LIGURIA

Prosegue la riflessione sullo Skymetro iniziata già sul numero scorso della news

Skymetro, da mostro a bruco, seconda puntata

Insieme alle associazioni che stanno combattendo per evitare il “mostro inutile”, forse anche Controinformazione – La Voce del Circolo Pertini – ha dato il suo contributo. Perché ora, alla faccia delle dichiarazioni, l’amministrazione genovese sembra aver finalmente compreso che non può fare tutto quello che gli pare. Durante la recente e infuocata commissione in Bassa Valbisagno l’assessore

 

Campora ha dichiarato che se lo skymetro sarà comunque fatto (ahinoi) non passerà da Corso Galliera e non ci saranno piloni nel Bisagno. Una mezza vittoria, comunque. La furbata di convocare l’assemblea alle 8.30 del mattino non è stata sufficiente per impedire un’agguerrita e folta partecipazione dei cittadini. Come Gatto Silvestri che si arrampica vanamente sugli specchi Campora ha fatto un doppio carpiato all’indietro, mantenendo il minimo indispensabile per consentire l’arrivo dei soldi.

Skymetro, anche in Bassa Valbisagno nasce il comitato del no: "I prezzi  delle case crolleranno" - Genova 24


Come siamo, come saremo? Che ne dite?

In pratica è venuta fuori un’alternativa molto meno invasiva quanto meno dal punto di vista estetico. “Da Brignole – ha detto – si arriverà fino alla stazione di Marassi che sorgerà in sponde destra, dopodiché si attraverserà il torrente in diagonale e si proseguirà sullo stesso lato fino al capolinea a monte”. Quel piazzale Fleming in cui la gente si troverà in una specie di cul de sac senza auto e senza mezzi per raggiungere le sedi di lavoro. Il progetto definitivo, su queste basi, dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere completato entro la fine del corrente anno. Quindi niente abbattimento di alberi, niente sopraelevata sulla rive gauche all’altezza del quarto piano dei palazzi. Il nuovo Skimetro, con i tiranti che sostituirebbero i piloni, lo hanno rinominato “bruco”, ma sarebbe meglio chiamarlo verme. I primi appartengono allo stato larvale del lepidottero, che poi diventano farfalle, una bellezza, i vermi, invertebrati, rimangono tali, anche in senso allegorico e metaforico. Qui però il progetto, come l’assessore, si ingarbuglia, perché questa nuova soluzione, pur migliorativa (siamo passati da mostro a verme, il bruco è un’altra storia), imporrebbe una curva sul Bisagno per passare da una sponda (destra) all’altra (sinistra). E ciò renderebbe necessario l’uso di piloni, in netto contrasto con le promesse di Campora. Allora i progettisti stanno pensando a una struttura strallata (tipo Ponte Morandi), ovvero sostenuta da cavi d’acciaio. Un bel rebus. D’altra parte i quattrocento milioni previsti vanno spesi in qualche modo, è una bella pacchia cui non si può in alcun modo rinunciare. L’unica speranza è che fra ritardi e complicanze nella progettazione, alla fine lo Stato ritiri il finanziamento per manifesta inutilità e ce la saremmo cavata con le sole spese (inutili) di progettazione. Orate fratres et cives…

CAM

Quale futuro per Leonardo (ex Oto-Melara)?

É ancora in stallo tra dure polemiche la vendita da parte di Leonardo degli stabilimenti ex Oto-Melara di La Spezia e Brescia, e lo stabilimento WASS di Livorno produttore di siluri e droni subacquei. Era stata fatta un’offerta da parte del consorzio franco-tedesco KNDS. Altro interessamento è arrivato da Fincantieri che, da sempre, equipaggia le proprie navi del settore militare con armamenti prodotti da Oto-Melara.

Sorprende un po’ la volontà di vendere un’azienda che macina utili e che ha un portafoglio di commesse; è leader mondiale indiscussa nel settore dei cannoni navali; ha, recentemente, ottenuto una straordinaria commessa dal Brasile per la fornitura di 221 veicoli blindati Centauro. La motivazione di Leonardo è dettata dalla volontà di “fare cassa” per poter comprare una quota importante dell’azienda tedesca Hensoldt, che le consentirebbe un importante rafforzamento nel settore dell’elettronica. La vera anomalia, tutta italiana, è che un’operazione di cessione di attività e stabilimenti che coinvolge due aziende di Stato, operanti in un settore così delicato non venga gestita direttamente, preventivamente e senza troppi clamori, dal governo; che di fatto è l’azionista di maggioranza di entrambi i gruppi. L’offerta di Fincantieri che consentirebbe di mantenere all’interno del perimetro industriale nazionale aziende leader come OTO e WASS significa infatti salvaguardare nel tempo capacità produttive, posti di lavoro e competitività sui mercati. Sicché non è comprensibile la latitanza dell’esecutivo su questo tema.

A meno che non si voglia avviare, sull’onda del dibattito sull’offerta straniera finanziariamente più ricca, la svendita dell’industria italiana ad alta tecnologia di valore strategico. É infatti di tutta evidenza che cedere le ex Oto Melara e WASS significa consentire ai concorrenti esteri di acquisire il know-how e le eccellenze nazionali in settori strategici, col rischio che entro qualche anno gli stabilimenti italiani vengano chiusi per concentrare la produzione in Francia e Germania.

Ad oggi lavorano negli stabilimenti Oto Melara 1100 dipendenti alla Spezia e 100 a Brescia. É vero che sul fronte dei mezzi corazzati Oto Melara non è più da tempo competitiva ma rivitalizzarla, come intende fare Fincantieri per inserirla all’interno di progetti di cooperazione europea come il carro armato franco-tedesco MGCS o il nuovo cingolato da combattimento, è cosa ben diversa dal cederla alla concorrenza.

Nei grandi programmi europei l’Italia può entrare da protagonista; più ad alto profilo nel settore navale, certamente con meno pretese in quello terrestre, ma sempre mantenendo sovranità, impianti produttivi e maestranze qualificate. La cessione di Oto Melara potrebbe inoltre anche mettere in discussione la quota di Leonardo in MBDA, il colosso-consorzio europeo per la produzione di missili e sistemi di puntamento, che ha il proprio stabilimento italiano proprio alla Spezia. Leonardo ne detiene una quota pari al 25% e l’azienda offre lavoro a manodopera specializzatissima ad alta qualificazione professionale.

Si tratta in ogni caso di imprese ad elevato livello tecnologico che costituiscono un importante patrimonio sia di know-how che occupazionale.

NC

Toti dà i numeri a caso (e l’intervistatore fa scena muta)

Toti dichiara che ci vuole più autonomia per i porti liguri, con una maggiore presenza degli enti locali e una maggiore quota di entrate girate dallo Stato in ragione della quantità dei traffici movimentati.

Per questo dichiara sul Secolo XIX del 22 scorso al giornalista che lo intervista: «Le nostre banchine generano il 50% dei traffici italiani con un ritorno di appena 12 milioni l’anno»

Il giornalista è rimasto muto di fronte a tali numeri, una pessima abitudine che i giornalisti liguri hanno preso di fronte alle autorità politiche e istituzionali della regione. Alcuni di mia conoscenza affermano che le risposte sono di responsabilità dell’intervistato, ma io faccio presente che compro la copia del giornale perché mi aspetto che il giornalista faccia il mestiere di porre delle domande per conto dei cittadini e non gli propini sole risposte di chi già è al potere. In ogni caso, Toti come quasi sempre quando parla di porti fornisce dei numeri a caso, quelli che gli fanno comodo.

Le banchine liguri non generano il 50% dei traffici italiani, bensì il 15,8% (fonte: Assoporti 2021). Se invece Toti voleva più brevemente indicare la quota dei container (per cui stiamo spendendo un paio di miliardi per la nuova diga foranea a Genova dopo averne spesi diverse centinaia per i nuovi terminal di Vado e Bettolo) allora saliamo ma solo al 36,8% (fonte: idem). Altro che 8 milioni di container nei porti liguri narrati un giorno sì e uno no dai titoloni dei giornali e nelle conferenze stampa, piuttosto siamo fermi a 4 milioni e dal 2017 siamo addirittura in calo, perdendo quasi l’1% all’anno di container.

Per quanto riguarda “un ritorno di appena 12 milioni l’anno” Toti segnala solo la quota di IVA spettante, ma non dice che nei bilanci 2021 delle Autorità portuali di Genova, Savona e La Spezia sono iscritte entrate tra correnti (tributarie per lo più) e trasferimenti in conto capitale per circa 1 miliardo di euro. Da dove arrivano i trasferimenti se non dallo Stato? Visto che il giornalista ha taciuto, vediamo se almeno tra i politici qualcuno obietterà sugli argomenti faziosi che Toti usa per mettere le mani sul demanio portuale, per sé e per i suoi sostenitori politici e finanziari.

Riccardo Degl’Innocenti

Lugano bella a Chiavari

Alcune considerazioni sulla campagna di stampa riguardo al 41bis, in particolare sulla criminalizzazione degli anarchici e del loro pensiero da parte della stampa conservatrice. Vorrei soffermarmi sulle esperienze culturali dei primissimi anni Settanta, in quel tempo giovane studente alla ricerca della “buona strada” per costruire un Paese giusto, in un continuo confronto col mondo del lavoro, in un mare della politica assolutamente agitato. A Chiavari nacque uno dei tanti Circoli Culturali, un luogo per costruire quella creatività che ci avrebbe portato “al potere”. Il primo grande dibattito fu sulla forma politica che doveva avere il Circolo: si decise che eravamo un Collettivo Culturale; termine che indicava una sorta d’arcipelago al nostro interno, dai compagni anarchici ai giovano socialisti e comunisti: si delineava “un campo largo”, con un serrato dibattito tra politica parlamentare e movimentismo extraparlamentare. La ricerca della vena “creativa” ci portò a realizzare un primo spettacolo, una produzione da offrire alle tante feste di partito che animavano l’estate, la scelta cadde sul “canzoniere”, un collage di canzoni da eseguire intercalate da motivazioni storiche e culturali. La prima canzone era “Addio Lugano bella” e l’introduzione richiamava l’esperienza dell’anarchico Pietro Gori, una forte personalità del movimento di fine Ottocento costretto a trovare rifugio a Lugano, era il 9 luglio del 1894, per le accuse rivolte dalla stampa che lo riteneva l’ispiratore dell’attentato al presidente francese Sadi Carnot. In realtà, prima dell’assassinio del presidente, avvenuto il 24 giugno, il governo italiano aveva varato dei provvedimenti molto restrittivi: le tre leggi Crispi che miravano all’indebolimento del movimento d’opposizione di sinistra e agli anarchici. La storia ci insegnerà che Gori non fu mai sostenitore d’azioni terroristiche, la sua attività era esclusivamente mirata alla costituzione di un rinnovato “Partito Anarchico Socialista Rivoluzionario”. Il nuovo partito, su posizioni radicali e anti parlamentari, era in fase di elaborazione proprio in Svizzera, nella località di Capolago sin dal 1891. Dopo la stretta liberticida del governo Crispi fu naturale trovare rifugio in Svizzera dove operava già da tempo una piccola comunità di rifugiati della sinistra italiana. L’alloggio di Gori diventa un nuovo centro di dibattito e d’iniziativa politica, idee che vedranno il forte coinvolgimento dei lavoratori ticinesi. Questa la situazione nella quale il governo Svizzero si ritroverà, sotto una forte pressione politica, anche nella libera terra ticinese vengono presi provvedimenti contro i rifugiati che saranno costretti all’allontanamento. L’azione contro gli esuli italiani è sostenuta dal Corriere Ticinese che arriva ad aizzare le popolazioni contro gli italiani; cui corrispondono i provvedimenti del Consiglio Federale, che nel gennaio del 1895 emette gli ordini d’immediato arresto ed espulsione di quattordici dirigenti anarchici di Lugano. In quei giorni trascorsi in carcere Gori scrisse la canzone che diventerà patrimonio dell’intero movimento operaio italiano. Questa era la nostra storia in piazza e nelle feste dei partiti, un palco dove la canzone era eseguita per raccontare il pensiero anarchico: “Addio Lugano bella o dolce terra pia – cacciati senza colpa gli anarchici van via -e partono cantando con la speranza in cuor – E partono cantando con la speranza in cuor”. Non mancava l’applauso e spesso raccontavamo che la Rai di quegli anni aveva ospitato il Canzoniere di Giorgio Gaber, Toffolo, Jannacci, Profazzio e Pisu. Altri tempi? Certamente, ben più di cinquanta anni orsono, ma la storia vera è bene raccontarla per i valori che ci rappresenta, difendendola da coloro che criminalizzano uomini che non si piegavano e ci hanno lasciato una canzone come traccia dei loro nobili pensieri.

GV

La privatizzazione dell’ospedale di Bordighera

(battistrada della nuova sanità totiana)

Ormai è cosa fatta. La Regione ha annunciato la privatizzazione dell’ospedale Saint Charles. Dopo un lungo iter che ha visto negli anni le perplessità della comunità, le timide resistenze della politica locale, le dimissioni del Direttore Generale dell’azienda sanitaria imperiese e la svolta con l’approvazione di una delibera regionale di Giunta vincolante per la Asl1, è stata affidata al colosso privato italiano GVM Care & Research la gestione dell’ospedale bordigotto.

Nella struttura trovano spazio diverse specialità, dalla chirurgia generale, quella vascolare al recupero e alla riabilitazione funzionale, con una dotazione di 77 posti letto più 10 per il day hospital (contro i 119 complessivi precedenti). La durata del contratto stipulato è di sette anni con la possibilità di rinnovo per altri cinque, mentre sul piano economico, l’Asl1 corrisponderà 15,1 milioni annui di cui 6,3 per le attività ambulatoriali, 7,9 per la degenza e solo 848 mila euro per il Pronto soccorso, un nodo cruciale della trattativa, perché scarsamente remunerativo e che non è ancora dato sapere se sarà in grado di trattare i codici rossi. Resta da conoscere quale profitto verrà ricavato dal Gruppo privato e accreditato, sovvenzionato da soldi pubblici. Una fetta di risorse collettive che viene sottratta al Servizio Sanitario Regionale e all’ammodernamento della sanità pubblica.

Una situazione quella dell’estremo ponente ligure che tra i presìdi di Imperia, Sanremo e Bordighera arriva a coprire 490 posti letto per acuti, a fronte di un fabbisogno, secondo il coefficiente 3×1000 su una popolazione di circa 200 mila abitanti, di 600 posti letto (ne mancano almeno 100 all’appello).

In un territorio estremamente complesso, costretto tra mare e monti, con un entroterra profondo e privo di adeguate comunicazioni, dove i lunghi tempi di percorrenza possono determinare un aumento del rischio clinico.

C’è poi la questione delle tempistiche infinite che riguarda qualsiasi prestazione sanitaria, si tratti di esami strumentali, di visite specialistiche o di accessi al Pronto soccorso. Il programma Restart, introdotto per ridurre le liste d’attesa, dissangua da una parte le finanze pubbliche e rafforza dall’altra il modello privato, anche non accreditato.

La visione aziendalista e privatistica di Toti procede avanti tutta. Dopo aver dichiarato di voler privatizzare il 15% delle strutture pubbliche sanitarie ne fanno le spese i cittadini liguri, da Albenga alla Val Bormida, da Pietra Ligure allo spezzino tra reparti chiusi o a rischio di chiusura, servizi territoriali assenti o in forte difficoltà, esami e prevenzioni in ritardo. Intanto la regione Liguria spende 115 milioni in meno nella sanità destinandoli altrove e assegna un costo del ticket pro capite di 43 euro contro una media nazionale di 38 (dati della Corte dei Conti).

Non basta tagliare i fondi e porre tetti di spesa come limiti invalicabili per impedire la privatizzazione della sanità. È in atto uno snaturamento del Servizio Sanitario Nazionale, senza modificarne l’impianto normativo, che sta conducendo a grandi passi verso il collasso la sanità pubblica. Su una cosa sono d’accordo sindacati, ordini, comunità scientifica e cittadini: la vera emergenza del sistema sanitario pubblico coincide con la carenza cronica di personale, una emergenza silenziosa. Ce ne siamo resi conto con la diminuzione dei medici di medicina generale e la continua perdita di posti di lavoro negli ospedali. Se gli operatori sono il capitale umano essenziale e insostituibile, allora di questo passo, non è possibile non compromettere l’esistenza stessa dei servizi. Neanche la pandemia è riuscita a rimuovere il vero ostacolo che sono i tetti alle assunzioni imposti alla sanità dalla grave miopia politica (Dl 35 del 2019).

MG

Essere donne a Savona

Recentemente mi sono soffermata a riflettere sulla presenza delle donne nella società savonese dopo aver letto un articolo ANSA che recitava: “Savona è la provincia italiana con più donne che amministrano un’impresa, il 29,8% del totale, al secondo posto Imperia con il 29,1% rispetto alla media nazionale del 25,1%. Lo rileva la seconda ‘Indagine sull’indice della qualità di vita delle donne’ in Italia condotta nell’ambito della 33ma ‘Indagine sulla qualità della vita’ del Sole 24 Ore”.

In effetti nella politica ed in alcune aziende le donne savonesi già da tempo hanno preso spazio soprattutto negli ultimi anni.

Abbiamo avuto anche un sindaco donna la passata legislatura ed oggi abbiamo un vicesindaco ed una giunta con una forte presenza femminile, ruoli di spicco nell’azienda trasporti TPL ed anche in alcune cooperative di servizi sociali. Il questore di Savona è una donna.

Quello che per un periodo di tempo non è stato pro donna a Savona è stato il supporto alla famiglia; e purtroppo proprio durante il periodo in cui il sindaco era donna. Se è vero che ci siamo conquistate posti al sole, dall’altra parte spesso lo abbiamo fatto con fatica senza poter avere servizi dedicati ai nostri figli. A volte la scelta è stata, come si legge anche dal dato nazionale, tra famiglia e carriera.

Quello che ancora non vedo è una rete si supporto adeguata, orari non compatibili con le scuole, mancanza di servizi per supporto alle famiglie e di conseguenza alle donne.

La mia percezione è che nel savonese ci sono stati dei passi avanti e ci sono molte figure femminili di indubbio valore che sono ottimi esempi anche per le ragazze che si apprestano decidere del loro futuro (e ci sono uomini che offrono opportunità e spazi), ma la strada per arrivare ad eliminare le discriminazioni, soprattutto salariali, è ancora lunga e faticosa. Infatti a pari livello le donne prendono uno stipendio che mediamente è inferiore.

Sarebbe bello poi che questo percorso fosse al di la delle quote rosa ma per meriti e per un cambio di mentalità, così come per il doloroso problema dei femminicidi e della violenza sulle donne.

Ognuna di noi deve insegnare ai propri figli maschi il rispetto al di là del genere e questa è la più grande sfida per il futuro, nella speranza che mentre noi insegniamo questi valori i nostri compagni ne diano l’esempio sostenendo le nostre carriere e aiutandoci nella gestione dei figli e della casa. Comportamenti che sicuramente migliorerebbe la qualità della vita delle donne e delle famiglie.

Susie Bandelli

Il Grechetto ci fa riscoprire uno strumento musicale dimenticato: la dulciana

La Chiesa di San Luca, che si trova nel cuore dell’omonima Via e precisamente in una piazzetta dove è quasi sovrastata dagli alti palazzi che la circondano, è una piccola, deliziosa bomboniera barocca al cui interno sono contenute importantissime opere pittoriche e scultoree. In realtà le origini della Chiesa sono assai precedenti, infatti il primo edificio sorse nel XII secolo come cappella gentilizia delle famiglie Spinola e Grimaldi, ma proprio nel Seicento venne ricostruita ex novo.

Osserviamo per un momento la facciata, che è detta “a salienti”, cioè con numerosi spioventi posti a diverse altezze, ed è ornata con motivi marmorei, al di sopra dei quali si apre una importante lunetta e ammiriamo anche il campanile a torre.

L’interno della Chiesa ha una sola navata che termina con un abside molto sviluppato e a forma semicircolare, che ospita una serie di affreschi raffiguranti episodi della vita di San Luca e scene mariane; tra le quali, nella volta della cupola, l’Incoronazione della Vergine di Domenico Piola.

Sull’altare si fa notare per bellezza e movimento l’Immacolata con Angeli di Filippo Parodi e nella nicchia di destra rispetto all’entrata commuove il ligneo Cristo deposto dello stesso autore.

La versatile originalità del Grechetto: la Natività di San Luca a Genova
 

Ma il nostro sguardo viene rapito da quello che è considerato, a ragione, uno dei capolavori di Giovan Battista Castiglione detto il Grechetto, che nel 1645 dipinse la Natività; senz’altro una delle opere pittoriche più interessanti del centro storico di Genova. Molto si è scritto circa questo quadro, sul significato delle figure che vi appaiono, a cominciare dal pastore-satiro con la corona di Dioniso che si staglia prepotente in primo piano e suona uno strumento a fiato.

Ma di quale strumento si tratta?

Proprio di una “Dulciana”, strumento molto usato nel Cinquecento e nel Seicento, ma andato rapidamente in disuso già a partire dal Settecento: nel quadro del Grechetto per la precisione appare una “Dulciana basso”. Questo strumento aveva un suono dolce e al tempo stesso vigoroso che lo rendeva molto versatile, adatto sia a composizioni di carattere liturgico, sia a danze e brani di genere arcadico/ pastorale di carattere amoroso e sensuale. Non sappiamo se Grechetto abbia scelto di dipingere questo strumento solo per ragioni figurative o perché lo trovava più adatto di altri a rafforzare il concetto di omaggio a Gesù da parte della istintiva naturalità e sensualità dell’umanità intera, identificata nella religione pagana e simboleggiata appunto dal bacchico pastore -satiro, in quanto non ci sono fonti al riguardo. 

Per chi avesse la curiosità di sentire il suono della Dulciana basso, il consiglio è di regalarsi 5 minuti di solitudine e silenzio nei quali ascoltare il brano “Vestiva i colli” del compositore spagnolo Bartolome’ de Selva y Salaverde: il brano ha una bella melodia molto appassionata e sensuale (l’autore era un monaco agostiniano, ma si sa come andavano queste cose…Aramis diventa prima Abate e poi Vescovo).

Orietta Sammarruco
l’Immacolata con Angeli di Filippo Parodi

A proposito delle minacce incombenti sul Parco di Portofino

Ennio Flaiano diceva che gli italiani odiano la natura: appena possono la sommergono di cemento oppure la ‘addomesticano’. La tormentata vicenda del Parco di Portofino è l’ennesima conferma della verità di questa affermazione.

L’area del Monte di Portofino è un miracolo della natura, come pochi altri al mondo, come pochi altri meritevole di una tutela gelosa e severa. Stupisce che non sia ancora inclusa nell’elenco dei beni ambientali ‘patrimonio dell’umanità’. Eppure (come aveva ragione Flaiano!) il tentativo di garantirne la migliore difesa contro l’avversione italiana per i miracoli della natura, sottraendo il Parco alla Regione e affidandolo allo Stato, sembra destinato al più inglorioso dei fallimenti: almeno sino a quando Toti e la Lega saranno al governo.

“Quel Parco nazionale non s’ha da fare, né oggi né mai”, sembra il loro motto. Vi si oppongono soprattutto alcuni comuni, che temono possa derivare – dall’ampliamento dell’area protetta – una significativa riduzione delle aree edificabili e ‘urbanizzabili’, nonché una limitazione per l’attività venatoria, essendo notoriamente i cacciatori una specie ‘protetta’ per ragioni elettorali.

Per loro quello di Portofino deve rimanere un ‘parco’, ma nel senso tutto italiano che ne vede un’occasione di profitto più che di conservazione di un bene collettivo di valore inestimabile. Anche la natura può essere ‘gentrificata’, con piste ciclabili, zone da pic-nic, ristorantini, comodi parcheggi e – naturalmente – un congruo numero di residence. Il parco, per molti, dev’essere soprattutto un ‘parco divertimenti’ per il “famigerato” tempo libero.

Da ambientale, la questione è diventata, come si può immaginare, squisitamente politica. Il ‘parco nazionale’ è stato voluto da un senatore del PD: è ‘di sinistra’ e – quindi – va per questo combattuto da destra. Tanto più che la cultura locale (e la sua proiezione elettorale) non sembra preoccuparsi troppo dei problemi legati all’ambiente e alla difesa del paesaggio.

Come spesso accade, tuttavia, le ragioni politiche amano spostarsi sul piano legale, che offre – allo stesso tempo – un comodo alibi e un percorso pieno di ostacoli e tranelli procedurali in cui l’iniziativa ‘avversaria’ finisce per smarrirsi. Si cercano compromessi, si aprono i famosi ‘tavoli’; sindaci (di sinistra) favorevoli, sindaci (di destra) contrari, e anche sindaci all’oscuro di tutto questo farraginoso andare e venire dal Tar al Consiglio di Stato.

Il Tar della Liguria, nel marzo dello scorso anno, aveva annullato la perimetrazione provvisoria del Parco Nazionale, per una superficie di 5.363 ettari, che estendeva grandemente (con divieto anche di esercizio della caccia) la superficie originaria del parco ‘regionale’, di soli 1.056 ettari.

Ora, con una recentissima sentenza (n.625 del 18 gennaio 2023, quarta sezione), il Consiglio di Stato ha accolto i ricorsi presentati dal Ministero dell’Ambiente nei confronti di diversi comuni rientranti nella nuova perimetrazione del Parco, annullando la sentenza del Tar Liguria cui ha rinviato nuovamente, per ragioni formali e per l’integrazione del contraddittorio, la questione sui confini – allo stato solo provvisori – del futuro Parco Nazionale di Portofino.

Il destino del Parco tornerà così ad essere discusso davanti al Tar. Tenuto conto degli interessi in gioco e dei mutamenti politico-istituzionali intervenuti dopo le elezioni nazionali dello scorso settembre, non è difficile immaginare quali e quanti nuovi ostacoli stiano per frapporsi alla creazione di un Parco Nazionale dai confini più estesi e soprattutto affidato, quanto alla sua gestione, a organismi capaci di sottrarsi alle logiche politiche e agli interessi locali.

MM

Il turismo è una risorsa. Ma o si governa o se ne è governati

Tutto è partito dalla duplice constatazione sulle navi da crociera alla Spezia. Da un lato l’inquinamento derivante dai fumi di scarico delle grandi ammiraglie marine, dall’altro la grande invasione di massa di un turismo “mordi e fuggi”, che causa diversi problemi e genera ben scarso utile nel territorio. L’idea è partita dal Circolo Pertini, che ha messo insieme una vasta alleanza strutturata in una vera e propria rete – la rete Ambiente Altro Turismo – formata oltre che dal Circolo Pertini da Cittadinanza Attiva, Italia Nostra, Legambiente e VAS Verdi Ambiente e società.

Le associazioni hanno promosso un convegno nell’ex cinema Diana, oggi Sun Space. Un locale che appariva un po’ eccessivo come capienza e – invece – si è dimostrato quasi insufficiente, dato l’altissimo numero di partecipanti.

Di grande qualità gli interventi, dopo l’introduzione di Gino di Sacco, coordinatore del Circolo Pertini alla Spezia; interessantissimo il documentario sulle navi da crociera a Venezia, ad opera di Giovanni Berengo Gardin, presentato da un esponente del comitato veneziano contro le navi da crociera.

L’intervento della sindaca di Rio Maggiore ha gettato un grido di allarme dei danni del turismo di massa in un territorio delicato e limitato come quello delle Cinque Terre. Oggi gli abitanti, senza i quali non ci sarebbero le Cinque Terre, che sono un ambiente fortemente antropizzato (i terrazzamenti dei vigneti), sono sfrattati: o perché vendono le loro case a prezzi strabilianti o perché vengono sostituiti da strutture ricettive. Quando questo processo sarà compiuto le Cinque Terre potranno diventare forse una vetrina per uno shopping stile Disneyland, ma non esisteranno più.

Impressionati invece i dati sull’inquinamento rilevati da Arpal. Anche se la stessa agenzia, che impegna un numero di centraline limitato e non posizionate correttamente, fornisce dati “diluiti” nell’arco delle 24 ore e non nei momenti di picco dell’inquinamento.

Ora le compagnie e l’autorità portuale, nel silenzio di Regione e Comune, vorrebbero quadruplicare gli approdi delle navi da crociera. I visitatori, che non rimangono a bordo, sono accompagnati per il 90% a Pisa, Lucca, Firenze o alle Cinque Terre. In città rimangono solo spiccioli.

Questo tipo di turismo non è turismo. Nessuno dorme negli alberghi della zona, pochissimi mangiano in un ristorante, irrilevanti le cadute economiche, pesante l’inquinamento, il traffico e le moltitudini ingombranti.

Le alternative esistono. Sono nella valorizzazione del territorio, dai musei spezzini alla natura della Val di Vara, ai Castelli di Lunigiana, alla via Francigena; come alla valorizzazione di tipologie di turismo a basso impatto: quello delle escursioni, il cicloturismo, il turismo equestre, il diving, le arrampicate e poi il turismo enogastronomico e molto altro. Il professor Rossano Pazzagli dell’Università del Molise è stato molto chiaro: “Il turismo o si governa o si subisce”.

Sicché le cinque associazioni hanno lanciato il sasso nello stagno. La proposta è quella di un Piano Regolatore del Turismo realizzato su una scala come minimo provinciale; ma che non escluda contatti e sinergie con le aree vicine come la Lunigiana, la Garfagnana, La Versilia e il Tigullio.

NC

In questo numero Citizen Journalism affronta la travagliata vicenda di un gioiello dell’edilizia popolare agricola a Levante

Degrado, speculazione e rigenerazione del borgo storico di Marinella

Con l’approvazione fortemente contestata del piano di rigenerazione del Borgo Storico di Marinella in consiglio comunale si è conclusa una tappa del travagliato iter della frazione a mare del comune di Sarzana: Marinella è da sempre al centro degli interessi e delle polemiche politiche. Un’area di immenso pregio, costituita da un lato da quella che fu la più grande azienda agricola della Liguria, realizzata sulla vasta pianura alla foce del fiume Magra e ripartita tra i comuni di Sarzana e Ameglia, dall’altro da 4 chilometri di lunga spiaggia sabbiosa; proprio là dove finiscono le “coste iscoscese” della Liguria, per lasciar posto alle spiagge della Versilia. Infine il vecchio borgo agricolo. Un vero gioiello di edilizia popolare agricola, realizzazione all’avanguardia per l’epoca, edificato a inizio ‘900 dall’imprenditore Carlo Fabbricotti.

Oggi, fallita l’azienda agricola del Monte dei Paschi, si sta provvedendo a vendere l’area a privati, purtroppo suddividendola in grossi lotti, col rischio di inficiare l’unicum di una vastissima area agricola e verde, proprio alle spalle delle spiagge e della strada litoranea. Sul vecchio borgo, che presenta un enorme patrimonio immobiliare tra case, ex stalle, ex pollerie, fienili e capannoni, lasciato colpevolmente decadere e, oggi, abitato, da poche decine di residenti, l’amministrazione comunale di Sarzana ha presentato un piano di rigenerazione. Piano a lungo annunciato, ma rimasto del tutto sconosciuto nei suoi contenuti, sino a pochi giorni fa, quando è stato finalmente presentato in consiglio comunale. Al piano è allegato il PINQUA (Progetto Innovativo per la Qualità dell’Abitare), finanziato dal ministero con 15 milioni di euro e destinato al recupero per edilizia sociale di 28 appartamenti ricavati dalla ristrutturazione di alcune delle antiche cascine del borgo. Un’ottima iniziativa che non può che essere salutata positivamente, visto che riqualifica il borgo, genera investimenti e lavoro senza nessun consumo di suolo.

Il problema è che l’amministrazione di destra ha legato l’approvazione del PINQUA a quella del progetto di rigenerazione urbana, che prevede un nuovo e gravissimo vulnus al territorio con la realizzazione di edifici per ben 7.700 metri quadrati corrispondenti a 24.000 metri cubi, di cui 5.500mq destinati a una RSA di lusso proprio di fronte al borgo storico. Un vero scempio, dopo quelli gravissimi operati negli anni ’60 e ’70 dalle giunte di sinistra dell’epoca. A ciò si aggiunge inoltre la trasformazione della ex grande colonia Olivetti in un hotel di lusso da parte del gruppo Bulgarella.

La giunta comunale strumentalizza lo strumento del PINQUA, con la scusa che la proprietà non cederebbe gli edifici destinati a edilizia abitativa sociale se non gli si consente di realizzare il suo piano di cementificazione. Un’amministrazione dovrebbe saper bene che esistono altri strumenti per acquisire immobili, dalla confisca all’esproprio con l’occupazione d’urgenza. Nel frattempo si continua a latitare volutamente sugli strumenti di pianificazione urbanistica che dovrebbero offrire una soluzione definitiva ed equilibrata al territorio. Nel 2018 la vecchia amministrazione di Centro-Sinistra aveva affidato allo Studio Boeri-Giuliani la redazione del nuovo Piano Regolatore (PUC), sula quale è scesa una cappa di silenzio. Si preferisce sfruttare una ignobile legge regionale sulle ristrutturazioni, fatta da Toti, che consente un aumento delle cubature del 40% sulle ristrutturazioni degli immobili, con buona pace del territorio.

NC

Numero 44, 15 febbraio 2023

Indice

uno strumento di contro-informazione per il dibattito pubblico ligure

LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI

Numero 44, 15 febbraio 2023

I vari argomenti trattati potranno anche essere letti e commentati nel Gruppo di Facebook CONTROINFORMAZIONE al link https://www.facebook.com/groups/540444987595900

I lettori che apprezzano queste nostre news sono invitati a fornirci gli indirizzi email di altre persone interessate a ricevere la Voce del Circolo Pertini (info@vocecircolopertini.it)

PILLOLE

Dopo Novi Ligure in Liguria, ennesima gaffe del Toti disinformato cronico

“Oltre mille scalini ma ne vale la pena. In questo primo giorno della merla, nonostante l’aria frizzante splende il sole: domenica perfetta per una gita in Liguria”. Lo ha scritto Giovanni Toti sulla sua pagina

Il borgo ligure di Monesteroli raggiungibile solo da un'antica scalinata

Facebook per attrarre i turisti. Allegata una foto bellissima della scalinata che porta in mare a Monesteroli ai bordi delle 5 Terre. Posto stupendo. Bellezza unica in un ambiente incontaminato.

Peccato che la mitica scalinata di Monesteroli sia chiusa da un anno per rischio smottamento. Non volendo, Toti esalta l’ignavia del governo regionale e del comune della Spezia, nel quale ricade l’area di Monesteroli sul lato non del Golfo, ma sul mare aperto lato 5 Terre. Il comune ha chiuso la scalinata. La Regione ignora le interrogazioni in consiglio regionale e Toti pubblica foto mendaci.

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Deserto sanitario in Liguria

Sono ben 36 i comuni liguri, tutti nell’entroterra, che non avranno né una Casa di Comunità né un Ospedale di Comunità. Si tratta del 15% del totale dei comuni liguri. Il problema riguarda 24876 persone che abitano in questi comuni, che grazie al PNRR avrebbero potuto avere un’assistenza sanitaria di prossimità e che invece non l’avranno grazie all’ignavia della giunta regionale ligure.

Il fenomeno viene definito “desertificazione sanitaria”. Nella graduatoria nazionale occupiamo l’ultimo posto con la Val d’Aosta. La giunta Toti dimostra ancora una volta di ignorare la programmazione sanitaria e manifesta disprezzo verso gli abitanti dei piccoli comuni montani, dove la popolazione è prevalentemente anziana e più di altre avrebbe bisogno di assistenza sanitaria.

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Toti e la Santa Inquisizione ligure contro le donne

Bocciata l’ordine del giorno che prevedeva un bando per l’assunzione di nuovi ginecologi nelle strutture sanitarie liguri riservato a soli ginecologi non-obiettori.

L’alto numero di “obiettori” non certo per profonda concezione religiosa, ma per ragioni di basso opportunismo, sta creando seri problemi alle donne che devono ricorrere all’interruzione di gravidanza. Mentre in Francia non esiste il diritto all’obiezione di coscienza (se non vuoi fare aborti, non fare il ginecologo!), a oltre 50 anni dall’ingresso in vigore della legge non si dovrebbero creare situazioni vergognose come questa. In altre regioni si sono fatti bandi simili e i nuovi assunti sono vincolati a praticare l’interruzione di gravidanza. In Liguria Toti e l’inquisizione non lo vogliono.

EDITORIALI

Nell’ultima uscita del dicembre 2022 e nella prima del gennaio 2023 la Voce ha ospitato un confronto epistolare tra la nostra redazione e Alberto Diaspro, direttore di ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologie, sorto venti anni fa alla periferia di Genova. Una discussione sul ruolo di questo Ente, di diritto privato ma lautamente finanziato dallo Stato, e sul suo contributo promesso per una ripresa competitiva del territorio ligure. Discussione che ha lasciato irrisolte svariate perplessità su quanto avviene effettivamente sulla collina di Morego e sulla sua finalizzazione pratica. Intanto stanno arrivando notizie di tensioni e scioperi da parte dei dipendenti di Fondazione IIT per le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Su questo tema scottante ora ospitiamo un contributo di un autorevole scienziato – l’astrofisico Francesco Sylos Labini – che già in passato aveva espresso perplessità sulla scarsa trasparenza nella governance dell’Istituto.

Francesco Sylos Labini - THE INNOVATION GROUP L’IIT vent’anni dopo

Sono passati venti anni da quando si svolse sul sito lavoce.info un dibattito tra diversi economisti sulla fondazione di un nuovo istituto di ricerca. Alberto Alesina e Francesco Giavazzi diedero a questa operazione un forte connotato ideologico: “riversare più fondi in questo sistema è come buttarli al vento…” l’unico modo per garantire “…rigore, controlli ed incentivi… è muoversi all’esterno dell’università italiana di oggi. Vittorio Grilli ci sta provando con l’IIT: è per questo che cerchiamo di aiutarlo mentre tutti i conservatori lo criticano”. L’economista Vittorio Grilli diventò il Presidente del nuovo Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) nel 2005. L’IIT è stato dunque fondato con una struttura giuridica completamente diversa rispetto agli altri enti di ricerca italiana: alcune delle caratteristiche chiave erano l’eseguo numero di posizioni a tempo indeterminato, cosa peculiare per un istituto di ricerca, e un consiglio di amministrazione caratterizzato dalla presenza di imprenditori di varia estrazione oltre ad avere una governance nominata dal Ministero dell’Economia invece che da quello dell’Università e della Ricerca.

All’epoca alcuni di noi si domandavano quale avrebbe dovuta essere la missione del nuovo istituto e in che cosa avrebbe dovuto differenziarsi dagli altri enti di ricerca già esistenti, in primis il CNR. Nel corso di questi vent’anni l’IIT è stato al centro di polemiche, basti qui ricordare gli interventi della Senatrice Elena Cattaneo sui finanziamenti, sulla trasparenza della gestione, ecc. Quello che però ancora non si capisce è quali sono i risultati tecnologici, dato che “L’IIT ha l’obiettivo di promuovere eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata e di favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale”. Visto che nella ricerca di base la concorrenza non manca, grazie ai diversi enti di ricerca vigilati dal Ministero dell’Università, la missione principale per un ente vigilato dal Ministero dell’Economia avrebbe dovuto essere quello di “favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale”.

Qualche tempo fa l’ormai ex direttore scientifico Roberto Cingolani, in diverse interviste su media nazionali, affermava che uno dei progetti di punta dell’Istituto Italiano di Tecnologia era il robot iCub che “sarà un prodotto a metà strada fra l’automobile e lo smartphone e potrebbe essere l’occasione per riconvertire gran parte degli impianti dell’industria automobilistica oggi inutilizzati”. Non sembra che gli impianti dell’industria automobilistica siano stati riconvertiti. Dunque, quale è stato il risultato particolare dell’IIT? E come può funzionare un istituto di ricerca senza personale a tempo indeterminato? Per fare un paragone, in Germania la rete di istituti di ricerca della società Fraunhofer per lo sviluppo della ricerca applicata supporta in modo sistematico i collegamenti tra

scienza e industria, ed è bilanciata dalla rete degli istituti della società Max Planck per lo sviluppo della scienza, che invece è orientata verso la ricerca di base. Se il CNR dovrebbe svolgere il ruolo della società Max Planck, l’IIT quello dell’organizzazione Fraunhofer, dove lavorano circa 23.000 tra ricercatori e ingegneri, con un budget di ricerca annuo di circa 1,7 miliardi di euro, di cui solo il 30% è finanziato attraverso fondi pubblici (governo federale o governo locale), mentre il 70% proviene da contratti con industrie o da bandi per progetti di ricerca applicata, sia a livello nazionale che internazionale. Al di là delle polemiche, come si confronta l’IIT con questi numeri?

Francesco Sylos Labini

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Autonomia differenziata: la Liguria resta ai margini (ma non se ne accorge)

È stato presentato il disegno di legge sulla cosiddetta “autonomia differenziata! sulla base delle richieste, avanzate in base all’art. 116.3 della Costituzione dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.

La discussione si è sinora opportunamente concentrata sul processo decisionale e in particolare sul ruolo che in quel processo deve avere il Parlamento. E questo è un bene, perché tanto nelle ipotesi costruite nel 2019 dal governo Conte I quanto nel disegno di legge Calderoli, il ruolo delle Camere è mortificato, ridotto alla formulazione di pareri consultivi e ad un’eventuale approvazione a scatola chiusa. Quasi che si voglia cambiare profondamente l’Italia senza che il Legislativo abbia tempo e modo di valutarne portata e conseguenze.

È comprensibile la preoccupazione dei rappresentanti dei territori del paese a minor reddito perché questo potrebbe determinare un ampliarsi degli scarti esistenti, già notevoli.

I poter richiesti dalle regioni sono sterminati. Vanno da scuola, università, sanità (poveretti noi liguri!), ricerca, infrastrutture, assetto del territorio, ambiente, acqua, energia, lavoro, immigrazione, paesaggio, beni culturali, previdenza complementare, ecc.

Le contraddizioni tra le forze politiche non sono poche. La stessa Meloni, oggi sostiene il presidenzialismo, quindi una forma di accentramento, e, pochi anni fa, propose addirittura la soppressione delle regioni. Oggi sostiene la legge. Il PD è contrario, ma tra i promotori delle richieste di autonomia c’è il presidente della Regione Emilia- Romagna Bonaccini, attualmente candidato alla segreteria nazionale del partito.

I commentatori l’hanno definita “la secessione dei ricchi”. Generalmente gli amministratori e i cittadini delle regioni meridionali sono molto preoccupati. Molti hanno parlato di una contrapposizione Nord contro Sud.

Ma è proprio così? Siamo così sicuri che una regione settentrionale come la Liguria abbia da guadagnarci in una forte spinta all’autonomia regionale?

Alcuni dati riguardanti la Liguria dovrebbero farci riflettere. Pensiamo alla disastrosa conduzione della sanità pubblica. Un ultimo esempio? In un solo anno abbiamo registrato un calo delle visite specialistiche del 24%. Un invito esplicito a rivolgersi al privato a pagamento. Ci salva la possibilità di utilizzare prestazioni sanitarie fuori regione, visto che il Servizio Sanitario è nazionale. Sarà sempre così con l’autonomia di ogni regione?

E che dire della formazione scolastica e professionale, delle qualifiche per determinati mestieri. Sarà valida una qualifica ligure per lavorare in Piemonte o in Puglia? Saranno valide le qualifiche della Toscana e della Campania in Liguria?

Toti attacca il centralismo e dice che il problema è la eccessiva centralizzazione dei poteri pubblici.

La Liguria è in una posizione ibrida tra flussi di risorse versate alla Stato e risorse che arrivano dallo Stato. È esattamente nella posizione di mezzo. I due flussi si equilibrano. Non fa dunque parte né delle regioni che avrebbero vantaggio, né di quelle svantaggiate. Il problema sembra derivare piuttosto dalle sue modeste dimensioni. Poche sono le regioni più piccole e con meno abitanti. Ha una popolazione anziana e ha un’economia basata sull’interscambio (porti, turismo, ecc.). L’esperienza delle gestioni regionali come la sanità, l’emergenza covid, il lavoro, la formazione professionale sono negative e non c’è nulla di buono da sperare.

NC

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi (tra gli altri):

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Arnaldo Bagnasco, Susie Bandelli. Enzo Barnabà, Marco Bersani, Marco Baruzzo, Pieraldo Canessa, Nuccia Canevarollo, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Alberto Diaspro, Marco Fabbri, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Andrea Moizo, Paola Panzera, Enrico Pignone, Bernardo Ratti, Adrano Sansa, Ferruccio Sansa, Sandro Sanvenero, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Orietta Sammarruco, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Francesco Sylos Labini, Rino Tortorelli, Giulio A. Tozzi, Gianmarco Veruggio

POSTA

Nello scorso numero de La Voce, davamo conto della nascita di Rete Genovese, quale embrione di un soggetto collettivo contrapposto a questa maggioranza che persegue soltanto la mercificazione di tutto quanto è monetizzabile, alla faccia dei cittadini. Riferivamo inoltre della prima azione di territorio dell’alleanza civica, che il 28 gennaio aveva organizzato presidi in tutti i quartieri cittadini per motivare il proprio legittimo dissenso. Il Sindaco Bucci non ha apprezzato questo impegno partecipativo e lo ha manifestato pubblicamente. Ospitiamo la contro-replica della Rete.

Lettera al Sindaco

Gentile Sig. Sindaco,

rispondiamo in merito al Suo pensiero espresso nell’articolo di Emanuele Rossi su Il Secolo XIX del 29 gennaio.

Noi stessi abbiamo, in ogni occasione, affermato e ribadito che la partecipazione non è fatta dai comitati bensì dai cittadini. Partecipazione infatti è l’esistenza di procedure aperte a tutti i cittadini, organizzati o singoli, che producono decisioni riconosciute legittime da tutte le parti in causa.

Una partecipazione che si rende necessaria nel momento in cui le scelte non prendono in considerazione i pericoli, esistenti o futuri, per la salute e la sicurezza dei cittadini e ancor meno si pongono l’obiettivo di migliorare la qualità di vita, in una città che ne avrebbe primaria necessità. Assistiamo infatti a progetti rispondenti ad una logica esclusivamente mercantile che non considera l’impatto ambientale, i rischi per la salute della popolazione e cerca anche di omettere quella minima garanzia offerta dalla Valutazione d’Impatto Ambientale.

Sia ben chiaro, a noi non interessa fare sterili polemiche su piccoli dettagli progettuali: siamo preoccupati per il prevalere degli interessi privati che ruotano intorno alle opere e della perdurante mancata attenzione, che dovrebbe essere prioritaria, ai diritti e ai bisogni diffusi e alla cura di una comunità che con quelle opere dovrà convivere.

Le ricordiamo che nel gennaio 2017 è stata approvata dal Consiglio Comunale una delibera di iniziativa popolare contenente un’articolata proposta di regolamento della partecipazione, regolamento peraltro previsto dallo Statuto Comunale.

Nonostante le nostre reiterate insistenze, la Giunta e Lei in persona rifiutaste di discutere l’attuazione della delibera. L’ufficio partecipazione venne soppresso e la funzionaria addetta fu trasferita ad altre mansioni.

Così facendo Lei ha scelto l’opzione zero, quella stessa scelta che rimprovera a noi, ritenendo preferibile un rapporto discrezionale e paternalistico con la popolazione, che le lascia sostanzialmente le mani libere.

La delibera del 2017 è ancora lì, che aspetta di essere finalmente attuata, adempiendo così anche a una precisa disposizione dello Statuto Comunale.

Se Lei vorrà riprendere il percorso verso una vera partecipazione dei cittadini, troverà in noi, e speriamo anche in tanti altri, interlocutori attenti ai contenuti, scevri da faziosità e preconcetti.

Da quale punto vuole dunque cominciare, visto che per noi le questioni sono ancora tutte aperte?

Con i nostri saluti.

La Rete Genovese

2 febbraio 2023

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Riceviamo da Riccardo Degl’Innocenti questa segnalazione significativa

A riscuotere?

Il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare ligure occidentale Paolo Emilio Signorini, in carica dalla fine del 2016 e riconfermato sino alla fine del 2024, è stato indicato dai media come probabile prossimo amministratore delegato di IREN di cui il Comune di Genova detiene la partecipazione di maggioranza relativa e il titolo per indicare l’amministratore delegato.

Stamattina in un’intervista al Secolo XIX, alla domanda del giornalista “Sono vere le voci di un suo passaggio all’IREN” ha risposto: “Su questa vicenda non commento. Nel caso, sarebbe una decisione del Sindaco e del Comune di Genova”.

Dunque, il presidente del maggiore porto italiano, nominato dal Ministro e con ancora oltre 20 mesi di mandato davanti, invece di avere riguardo del suo ruolo di funzionario dello Stato afferma in buona sostanza “nel caso” di obbedire al Sindaco. Del resto, il presidente del porto guadagna poco meno di 200mila euro all’anno, mentre l’AD di IREN sale a circa 500mila. Quali meriti Signorini avrebbe acquisito in questi anni per meritare una tale promozione economica e professionale da dirigente pubblico all’apice di un importante gruppo industriale quotato in borsa? Oltre ovviamente a quello di avere obbedito al Commissario Bucci sul trasferimento dei depositi chimici in mezzo alle banchine del porto commerciale di Sampierdarena.

9 febbraio 2023

Riccardo Degl’Innocenti

ECO DELLA STAMPA

Da Il Fatto Quotidiano dell’8 febbraio

Ritrasse la leghista Pucciarelli, entra in Cda Spezia, sindaco indagato per abuso d’ufficio

Di Alessandra Barucchi, “artista contemporanea”, fino a qualche tempo fa si sapeva solo che era una pittrice. L’autrice di un ritratto per l’amica senatrice leghista Stefania Pucciarelli, già sottosegretaria alla Difesa nel governo Draghi: un bel primo piano, sullo sfondo un galeone e il mare azzurro, in contrasto con la fluente chioma bionda della parlamentare. Dopo avere realizzato quel dipinto, Barucchi viene nominata nel consiglio d’amministrazione di Atc, l’Azienda di trasporti di La Spezia, feudo della Pucciarelli. Lo statuto della società prevede che i membri del Cda, come requisito, “abbiano maturato un’esperienza tecnica o amministrativa adeguata”. Non è chiaro quale fosse la competenza in tema di trasporti della ritrattista (come titolo di studio ha la licenza media), ma adesso ne deve rispondere chi ha messo la firma su quella nomina: il sindaco di La Spezia, Luigi Peracchini, amministratore totiano al secondo mandato, che guida una giunta di centrodestra. L’accusa nei confronti di Peracchini è di abuso d’ufficio (reato che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha annunciato di voler cancellare): un favoritismo, in sostanza, in violazione della legge. È quanto sostiene sia accaduto chi ha presentato l’esposto, Alessandro Rosson, avvocato ed ex consigliere provinciale leghista, vicino a un altro big del Carroccio locale, Gianmarco Medusei, presidente del Consiglio regionale ligure. Rosson contesta la nomina di un altro consigliere di Atc, sempre firmata da Peracchini, in questo caso nella sua veste di presidente della Provincia spezzina. Si tratta dell’incarico affidato in un primo momento a Michele Battegazzore, e revocato nel giro di 48 ore in favore di un altro candidato, Mavi Ancillai. Il dietrofront sarebbe stato giustificato con il fatto che che la mail recante la candidatura del secondo sarebbe finita nello “s p a m”. La tesi di Rosson è che la nomina di Ancillai, di area totiana, servisse in realtà a fare spazio alla ritrattista della senatrice, e a far fuori Battegazzore, titolato ma appartenente a una corrente del partito perdente. Pochi giorni fa, il gip Mario De Bellis ha respinto la richiesta d’archiviazione avanzata dal procuratore Antonio Patrono e disposto nuove indagini, in particolare l’audizione di Medusei e dell’ex consigliera comunale leghista Lorella Cozzani, per chiedere loro “se sono a conoscenza di pressioni e minacce volte a far cambiare la nomina”.

Marco Grasso

FATTI DI LIGURIA

Ancora sul mostro Skymetro. Prima puntata

Una bella notizia: a Santa Margherita Ligure un gattino incastrato nel pluviale di un giardino è stato salvato dai Vigili del Fuoco. Che hanno fatto un lavoro di fino per non ferire l’animaletto, rimuovendo il cemento pezzetto dopo pezzetto con punta e mazzetta. La metafora sorge spontanea come diceva illo tempore il beneamato Riccardo Pazzaglia, il professore di Quelli della Notte (chi non lo ricorda lo cerchi nei video del web): perché nonostante gli artigli (che con la M e l’apostrofo più di sette secoli fa dette origine al mio cognome) e i denti affilati, mi sento un gatto che necessita di essere salvato, dalle idiozie da una parte e dal malaffare dall’altra. Idiozia e malaffare che paiono congiungersi in modo eclatante di fronte all’ennesimo orrore proposto dalla giunta genovese. Lo skymetro: una metropolitana che a un’altezza del quarto piano delle case dovrebbe percorrere il Bisagno dal centro alla periferia. Un mostro dal costo di quattrocento settantuno milioni, che poi, come al solito, diventeranno più di ottocento. Un’opera tanto faraonica quanto inutile, orribile a vedersi e distruttiva. E pure ipocrita: si parla (e giustamente) delle alternative alla sopraelevata in modo da diminuire inquinamento e ridare bellezza al lungo mare, e poi si va a replicarla su rotaie da un’altra parte. Otto chilometri che da Brignole arriverebbero a Ponte Fleming in undici minuti: perché e a quale scopo? Per favorire ulteriori insediamenti industriali? Per aumentare il valore dei terreni vicini già in mano a qualche furbo immobiliarista? Non esiste un motivo valido che giustifichi una mostruosità del genere. Il punto d’arrivo, inoltre, in mezzo al nulla e a qualche casa popolare non serve a chi lavora nelle aziende sparse nel territorio, che continuerebbero a usare l’auto. Immaginiamo il percorso: arrivo a Brignole con l’auto e non so dove parcheggiarla, ma per un colpo di fortuna trovo un buco in divieto di sosta e prego San Cristoforo che non mi facciano la multa. Prendo lo Skymetro e arrivo al Ponte Fleming. La mia azienda dista almeno un paio di chilometri e non ci sono autobus che mi portino a destinazione. Sono costretto a farmela a piedi, magari piove e fa freddo. Non sono scemo, parto da casa con l’auto e arrivo in azienda, e alla fine ci guadagno in termini di tempo e di denaro. E per almeno otto mesi all’anno ci vado in scooter. A pensare male, visti i costi di realizzazione si potrebbe pensare che ne uscirebbero mazzette a pioggia, ma noi non pensiamo male, siamo convinti dell’onestà dei proponenti. E i cittadini invece che ne pensano? Niente, perché tutto questo sta passando senza che siano sentiti gli abitanti dei quartieri interessati. Ci sono però associazioni come Opposizione Skymetro che da qualche tempo stanno cercando di contrastare l’arrivo del mostro, anche sul piano legale. Pare infatti che il progetto dello Skymetro finanziato dallo Stato non generi “i benefici perseguiti dalla legge che stanzia le risorse, cioè aumento della quota di spostamenti col trasporto pubblico e riduzione di inquinamento nelle aree urbane in procedura di infrazione europea”. No pasaràn! (a seguire nel prossimo numero)

CAM

Il Porto agli ordini del Comandante

L’analisi del movimento delle navi è un aspetto trascurato dall’Autorità di Sistema Portuale, nonostante le informazioni siano disponibili in tempo reale.

La notizia è che nel 2022, dopo solo due anni di esercizio, nel Genoa Mediterranean Gateway di Bettolo il numero delle navi MSC, le uniche sinora servite dal terminal di proprietà dello stesso gruppo ginevrino del comandante Gianluigi Aponte, hanno superato quelle MSC che nello stesso periodo hanno fatto scalo nel terminal PSA di Genova Prà. Quest’ultimo sino dagli anni 90 terminal di riferimento MSC.

Non un fatto scontato: se è logico che MSC indirizzi le sue navi nel proprio terminal, non si tratta di traffico aggiuntivo bensì sostitutivo, diversamente dagli annunci delle istituzioni portuali e politiche, cittadine e regionali. Nel 2022 sono arrivate a Bettolo 121 navi portacontenitori MSC mentre solo 108 della stessa compagnia hanno scalato Prà. Nel 2017 queste ultime erano state 252 per scendere a precipizio a 121 nel 2021. È pur vero che il numero totale delle navi lavorate a Prà è sceso anch’esso da 765 nel 2017 a 418 nel 2021, a fronte però di un aumento del numero medio di teus movimentati, che è passato da poco più di 2000 teus nel 2017 a circa 3500 nel 2022, mentre la quota di navi MSC sul totale delle navi lavorate è sceso dal 33% al 26%.

Inoltre, il traffico complessivo del terminal di Prà, che è il più grande gateway marittimo di contenitori d’Italia, è rimasto sotto i valori del 2017 e continua a ristagnare nonostante le previsioni fantamilionarie dei commissari Signorini, Bucci e Toti. Questo accade certo per motivi economici generali, ma anche a causa dei traffici che Genova perde a favore del terminal di Savona-Vado, un investimento pubblico che pure doveva aggiungere, non sostituire. Ad aggravare il quadro, anche nel porto di La Spezia il traffico container, dominato da MSC che detiene anche il 40% del terminal LSCT, è in crisi con sensibili riduzioni, verosimilmente per spostamenti di navi e merci in altri porti, a cominciare da Genova.

A questo proposito, conviene alla città e al porto, soprattutto ai suoi lavoratori che qui hanno le proprie radici (non come i capitali multinazionali che oggi spadroneggiano su una direzione pubblica sottomessa) ricordare la sentenza di del comandante Aponte: «comandiamo noi, perché comandano i volumi. Chi ha i volumi è quello che si può permettere di far vivere un terminal o di farlo morire se trasloca. Noi creiamo posti di lavoro».

Circa i posti di lavoro, se esaminiamo la situazione di Bettolo in cui risultano impiegati 65 addetti, di cui almeno un quarto a tempo determinato, e in cui si utilizza una quota di lavoratori temporanei della CULMV ben al di sotto della media di impiego degli altri terminal full container genovesi, sinora non pare che Aponte abbia mantenuto la parola data. Peraltro, è di questi giorni un’inchiesta della Procura che solleva alcuni gravi interrogativi circa la mobilità a Genova di alcuni portuali dal terminal di Gioia Tauro, sempre appartenente al Gruppo MSC; obiettivamente non giustificata dal mercato del lavoro portuale genovese che presenta una ragguardevole offerta quantitativa e professionale, soprattutto di giovani in attesa di poter lavorare in porto. Ci auguriamo che questa ombra sia al più presto dissolta dalle indagini giudiziarie. Altrimenti il tono arrogante del Comandante sulle sorti dei porti e dei lavoratori dipendenti dai suoi volumi risulterebbe intollerabile.

Riccardo Degl’Innocenti

A proposito di Carlo Castellano e del tormentone Erzelli

Genova deve rispetto e riconoscenza a Carlo Castellano: rispetto per le infinite sofferenze inflittegli dall’attentato brigatista del 1977, che gli hanno meritato la condizione di grande invalido civile. E, anche, riconoscenza per avere ‘situato’ a Genova un’attività, all’epoca innovativa, per la produzione di apparecchiature di diagnostica medica.

Ma Genova deve sempre a lui, Castellano, un vero e proprio tormentone, dal nome ormai fatale (o infausto) di Erzelli. Da decenni siamo costretti a interrogarci sulla domanda ‘che fare della collina degli Erzelli?’; tanto che si potrebbe applicare a quel sito il detto coniato dai genovesi per la Bella di Torriglia: ‘Tutti la vogliono ma nessuno se la piglia’. Ossia la spianata di 44 ettari ricavata dallo sbancamento della collina di Monte Croce, battuta dal vento e difficile da raggiungere, disabitata e, sino al 2009, utilizzata da Aldo Spinelli come deposito (inquinante) di container.

Ma nessuno sembra seriamente intenzionato a ‘pigliarsela’, trasferendovi le proprie attività, mentre fioriscono le proposte più allettanti che dovrebbero condurre a esiti positivi – a spese dello Stato – quella che sin dal principio si è proposta come un’operazione immobiliare di vasta portata, ma che allo stato attuale non ha ancora generato i profitti sperati.

E dire che l’operazione per il ‘parco scientifico e tecnologico’ era nata sotto la buona stella di Renzo Piano. Proprio agli Erzelli – sito disabitato e cava a cielo aperto – l’impresa di suo padre aveva collocato il proprio quartier generale. E proprio là, in cima a quella inospitale collina- l’archistar realizzò, nel 1969, il primo ‘studio sperimentale’. È quindi comprensibile che Piano si sia lasciato coinvolgere nel progetto della concentrazione di aziende hi-tech, collegata alla facoltà di ingegneria, che si progettava di far trasferire dalla sede della villa di Albaro. Ma proprio Renzo Piano si è tirato fuori dal progetto, non volendo apporre la propria firma a un progetto che sacrificava buona parte degli spazi verdi a favore dell’edilizia residenziale.

La facoltà di ingegneria, che da allora costituisce il boccone più appetitoso dell’operazione (oltre a fornire il più credibile alibi per il vantato ‘polo tecnologico’, ancora ben lontano dalla sua realizzazione) si dibatte da anni nel tentativo di sottrarsi a un’operazione rischiosa dal punto di vista finanziario, tecnico e logistico. Anche chi – privato o pubblico – si è adattato o accetta di adattarsi alla nuova collocazione, lo fa con molta reticenza e in misura parziale, soprattutto per la persistente mancanza di collegamenti infrastrutturali verso il famoso, ma ancora inesistente ‘polo tecnologico’. Per ora c’è solo un autobus che si inerpica per i tornanti che conducono in cima alla collina: qualcuno ha pensato a dipingerli a colori vivaci per rendere più gradevole l’ascesa. L’amministrazione comunale – da parte sua – si destreggia tra i progetti di una stazione ferroviaria, una monorotaia, una cabinovia e – da ultimo – una funicolare.

L’alternativa più recente – che, data la situazione rasenta la follia – è quella di un ospedale del Ponente, che convoglierebbe in cima all’inospitale collina battuta dai venti centinaia, se non migliaia di sanitari, utenti e visitatori.

Si vedono già le ambulanze intasare i famosi tornanti degli Erzelli, dominati da quella che qualcuno ha ormai definito ‘la collina del disonore’. Rimane allora la domanda, sospesa sulla città come una nube nera: ’Che ne sarà della collina degli Erzelli?’

MM

Proseguiamo nella raccolta comparativa di tessere poco o per nulla note della nostra storia patria

La questione carceraria dopo l’8 settembre 1943 (e ai giorni nostri)

Da diversi giorni imperversa la polemica sulle visite in carcere ai detenuti sottoposti al provvedimento del 41bis. A questo riguardo vorrei proporre una riflessione di carattere storico sullo stato delle carceri dopo l’8 settembre del 1943, cioè in pieno regime fascista repubblichino. Mi sono trovato a visitare alcuni archivi carcerari del Chiavarese per ricostruire arresti e reclusioni, sino a verificare alcune “condanne” eseguite nel corso del 1944, il tutto con dovizia di documenti attestanti i fatti richiamati. Con mia grande sorpresa e stupore, ho potuto rilevare che, in alcuni momenti di quel drammatico percorso storico, le carceri non tenevano aggiornati i registri dei detenuti. Tale aspetto l’ho rilevato in uno specifico periodo: tra il mese di luglio del 1944 e il 25 aprile del 1945; nove mesi che videro la presenza sul territorio della Divisione Monterosa e la fondazione delle Brigate Nere. Quel mese di luglio segnava uno spartiacque netto nelle attività repressive delle azioni partigiane e le popolazioni civili, in particolare nei grandi rastrellamenti attuati sul territorio della VI Zona nella Liguria di Levante. Controllando le carte verificavo azioni con notevoli numeri di fermati, le pagine di Fiamma Repubblicana, il settimanale del famigerato brigatista nero Vito Spiotta, riportavano cronache e foto di quanti erano stati condotti al carcere di Chiavari. Sulla base di questi dati, assolutamente documentati, ricercavo i loro movimenti e gli ingressi nelle celle di reclusione, i periodi di permanenza e i reati indicati per gli arresti: nulla di tutto ciò era riscontrabile, nessun registro era tenuto aggiornato. Questo dato ci richiama al funzionamento del carcere e ai più elementari diritti da applicarsi per essere condotti in stato di arresto e privato della libertà. Un vuoto normativo totale segnava quei mesi drammatici. Ecco la prima riflessione: lo stato dei detenuti e le normative della vita carceraria non possono essere aggirati, non applicati; le personalità istituzionali preposte a tali verifiche devono assolutamente controllare, verificare, intervenire. Certamente chi ha attivato la polemica gioca sul pregiudizio che il carcerato sia persona fuori dal campo dei diritti e la pena corrisponda ad un regime “duro e spietato” come ci racconta Silvio Pellico. La società civile la si misura nel grado di capacità che esprime nel garantire la legalità; norma che deve essere praticata anche in carcere. Ho verificato anche lo stato di alcune condanne; la Monterosa era tenutaria del Tribunale di Guerra competente per il chiavarese. Se verifichiamo una delle esecuzioni più spietate, la fucilazione del Parroco di Valletti Don G.B. Bobbio, possiamo ragionare sul significato di quel tribunale e l’esercizio della condanna. Ebbene, don Bobbio è arrestato durante il rastrellamento del 29/30 dicembre 1944, condotto in carcere e passato per le armi il 3 gennaio a Chiavari. Processo? Condanna? Il Tribunale di Guerra di Chiavari si riunisce per un’udienza il 27 dicembre del 1944, nessuna traccia di Don Bobbio, l’udienza successiva è in data 13 gennaio 1945, anche in questo caso le carte verificate non riportano nessun provvedimento su Don Bobbio. Per concludere, il periodo riportato rappresenta un’esperienza storica drammatica e criminale, dove era totalmente assente il concetto di legalità. Perciò è assolutamente necessario avere strumenti per verificare e controllare, perché in democrazia ogni istituzione conserva regole e diritti per tutti: anche all’interno delle carceri e per i reclusi.

GV

In Liguria la più alta percentuale di colpiti da Covid

L’allarme relativo al Covid si è allentato. Forse troppo e troppo presto. Oltre all’assuefazione e all’abitudine di convivere con il virus concorre anche il silenzio sui dati della diffusione della pandemia. Non fornendo informazioni è come se il contagio non esistesse.

Purtroppo i dati ci dicono il contrario e un dato appare particolarmente preoccupante per la Liguria, regione notoriamente alle prese con un servizio sanitario in fase di demolizione da parte delle mire privatistiche della giunta Toti.

La Liguria raggiunge così un record negativo preoccupante. E’ la regione che conta la più alta percentuale di contagi nei luoghi di lavoro. Ben 1056 contagi nei luoghi di lavoro in Liguria nel periodo ottobre/dicembre 2022. Si tratta nella maggioranza di lavoratori in settori “a rischio”, medici, infermieri, fisioterapisti, personale di servizio sanitario, ma anche impiegati in servizi aperti al pubblico, insegnanti, commessi di attività commerciali, agenti di polizia e vigili urbani.

La provincia più colpita a livello nazionale è Genova, dove ben 662 lavoratori hanno contratto il virus svolgendo le proprie attività lavorative, rappresentano il 62,7% dei contagiati sul lavoro a livello regionale, con un incremento rispetto al quadrimestre precedente del 6,4%.

Al secondo posto troviamo ancora una provincia ligure. La Spezia è la zona che ha visto la maggiore crescita percentuale dei contagi in ambiente di lavoro con un aumento del 13,5%. Ancora una ligure al terzo posto con Imperia con un incremento dell’8%.

In totale la Liguria rappresenta una percentuale doppia di contagi sul lavoro rispetto alla media di incidenza dei suoi abitanti sul totale nazionale. Fortunatamente, grazie anche alla diffusione massiccia delle vaccinazioni, non si è registrato nessun caso mortale tra i colpiti. Un dato particolare è che la maggioranza dei colpiti sono donne, in numero addirittura doppio rispetto agli uomini, forse dovuto all’alta percentuale di lavoro femminile in alcuni dei settori più colpiti (medici, infermiere, commesse, fisioterapiste, ecc.).

Secondo un parere di dirigenti INAIL il dato è da attribuire in parte alla correttezza dei datori di lavoro liguri che, nel presentare all’INAIL le denunce d’infortunio di pertinenza dell’INAIL a differenza delle denunce di malattia ordinaria che non vengono denunciate all’INAIL. Altra spiegazione, sempre da fonte INAIL, è quella della media età ligure, che è la più alta d’Italia.

Non è invece pervenuto un commento da parte dell’assessorato alla sanità della Regione Liguria, che continua a fare la “politica dello struzzo” rispetto a tutto quanto concerne la diffusione del virus e, più in generale, i dati sulla gestione sanitaria.

NC

Festival di Sanremo. Tappeti verdi e propaganda

Come ogni edizione che si rispetti, anche la 73esima kermesse del festival della canzone è stata un palcoscenico per la Città dei Fiori e per tutto il Paese, che verrà ricordata fra i tanti clamori per la presenza, seppur fugace, del Capo dello Stato. Forse è ancora presto per sapere se quella appena terminata sia l’ultima trasmessa dalla Rai, dopo che una sentenza del Tar ha stabilito l’appartenenza del marchio del festival al Comune di Sanremo, che potrebbe assegnare la manifestazione al miglior offerente, attraverso un bando ad evidenza pubblica.

Tuttavia non è presto per sapere che questo è stato certamente un anno da record per la raccolta pubblicitaria, raggiunto per Viale Mazzini il sorprendente traguardo di 50 milioni di euro.

Poco importa se sia stata offerta anche la Costituzione sull’altare dello show e al servizio della promozione. Interessa ancora meno se, come per la precedente edizione, Eni abbia sfruttato la vetrina di Sanremo per fare greenwashing e promuovere un’immagine di azienda attenta all’ambiente che non corrisponde affatto alla realtà. Così come sono stati utilizzati nelle vie intorno al teatro Ariston, “green carpet” realizzati con un mix di erba vera e sintetica, la multinazionale energetica del cane a sei zampe, ha messo in bella mostra il suo abito nuovo, la società Plenitude, che integra rinnovabili e mobilità elettrica, per lasciare in secondo piano il marchio originale e la vocazione alle energie fossili che, bilanci alla mano, garantiscono la maggiore fonte di business e rappresentano ancora i principali obiettivi di crescita nel piano strategico aziendale 2021-2024 (fonte Greenpeace).

Per non farsi mancare nulla, tra gli sponsor sono comparsi nuovamente anche Suzuki e Costa Crociere, appartenenti a due dei settori – quello dell’automotive e del trasporto marittimo – che più contribuiscono all’inquinamento e alla crisi climatica.

Alla faccia della tanto sbandierata transizione ecologica!

Il fondo è stato raggiunto con lo spazio regalato a un messaggio del Presidente ucraino Zelensky. Anche se le polemiche sono sempre servite ad alimentare gli indici d’ascolto, va detto che si è trattato di un momento di mera propaganda bellica sulla pelle delle popolazioni che vivono l’incubo del conflitto, mentre si sta sempre più alzando l’asticella dello scontro armato. Anziché inneggiare alla vittoria, si sarebbe potuto rilanciare il tema della pace, ormai uscito completamente di scena, fra l’altro nella stessa città in cui Alfred Nobel istituì il Premio e che fa parte da anni del Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace.

Si è chiuso dunque il sipario su una rassegna e una città che, tra sponsor, riflettori e un turismo mordi e fuggi, si mostrano sempre più inadeguate ad offrire, nel bene e nel male, anche solo una lettura delle crisi del nostro tempo. Una città prigioniera del marketing anche nella propria rappresentazione, dai tappeti verdi dei tavoli da gioco del Casinò a quelli erbosi e sintetici, sfoggiati per la promozione ambientale. Il sollievo è stato veder finalmente salpare la maxi nave da crociera attraccata in rada. Una presenza ingombrante e sproporzionata, da 200mila tonnellate di stazza, che deturpa il fragile ecosistema marino e offende il paesaggio.

MG

Quote rosa record a Pieve

È un fatto che la conciliazione fra la vita e il lavoro sia al centro delle politiche a livello europeo, nazionale e locale. Pare che non ci sia altro modo per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini che farlo per legge, come avevano già accertato i Paesi scandinavi negli anni ’80 e ’90, per sostenere la partecipazione femminile al mondo del lavoro e all’interno dei Consigli di Amministrazione.

I sistemi del welfare e quelli del lavoro sono (quasi) sempre strutturati secondo un modello tradizionale, che fa perno su una presunta disponibilità delle donne di più tempo libero (o di un giratempo di Hermione Granger): il 72% delle ore di lavoro di cura della coppia dove sono presenti figli è sulla schiena dalle madri. La copertura scolastica (pubblica o privata) per la prima infanzia, a fine 2018 era del 24,7% (ISTAT 2019), ben lontano dall’Obiettivo di Barcellona che avrebbe dovuto essere raggiunto già dal 2010 e che era fissato al 33%. (Fra parentesi, è interessante e deprimente leggere che la percentuale dei servizi pubblici in questo settore è scesa dal 56% del 2014 al 51%. Meditiamoci su).

È un fatto anche che le “quote rosa” non abbiano avuto grande riscontro negli Enti locali, in particolare nei piccoli Comuni sotto ai 5000 abitanti. Il Centro Studi Enti Locali aveva realizzato per Adnkronos nel 2021 una ricerca da cui emergeva come solo un Comune su due avesse raggiunto in quella tornata elettorale di 351 Comuni l’obiettivo “quote rosa”. Addirittura i candidati uomini erano il 75% in 176 casi e in 63 casi anche più dell’80%. Le candidate donne avevano superato gli uomini solo in un centinaio di Comuni. In tutti gli altri casi, cioè nel 93% di quelli andati al voto due anni fa, le donne (4955 su 10.099) erano decisamente al di sotto della metà. E le candidate “Sindache”? La percentuale risultava ancora peggiore: su 1539 Comuni che sono andati al voto nell’ultima tornata elettorale, le donne erano solo 255 su 1.539, cioè circa il 16%. Fra i Sindaci le donne rappresentano solo il 13,7%, leggermente più alta la percentuale di donne tra i vicesindaci (24,3%).

Accade però che a Pieve Ligure il Capogruppo di minoranza Enrico Montobbio abbia rassegnato le sue dimissioni, che sono state accolte nello scorso Consiglio Comunale del 31 gennaio, e che quindi sia stato dato il benvenuto alla nuova Consigliera, l’Avvocata Chiara Medinelli, che prende il terzo posto rimasto vacante in minoranza (e che ha sottolineato subito “AvvocatA, per favore!”).

A questo punto il Consiglio Comunale del paesino rivierasco (circa 2500 abitanti) risulta composto da 7 donne e 4 uomini – compresa Paola Negro come Prima Cittadina.

“Nella ricerca dei candidati, non si è trattato di aver voluto applicare le “quote rosa”, ma del riconoscere che esistono alcune competenze e abilità che le donne hanno nella governance e che sarebbero state utili per andare incontro alle Cittadine e ai Cittadini”, ha detto la Sindaca. Ad esempio? La disponibilità all’ascolto, al dialogo, il saper fare gruppo, la maggior attitudine a prendere decisioni condivise. La capacità femminile di fare squadra è di fatto un valore imprescindibile, così come quella di creare reti.

Ma cosa prevede la Legge? Nei Comuni sotto ai 5mila abitanti – il 70% dei Comuni italiani – la Legge 215 del 2012 prevede semplicemente che “nelle liste dei candidati sia assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi”. Ci troviamo – forse per la prima volta in Italia – di fronte a un Consiglio Comunale che se Pieve Ligure fosse di qualche centinaio di anime in più, (più di 3000 abitanti anziché i suoi 2500), dovrebbe occuparsi di rispettare le “quote azzurre”. Meditiamoci su.

Carla Scarsi

“Girovagando per le nostre città d’arte” è una prospettiva che la Voce propone ai nostri amici e amiche, soprattutto ai più giovani. Per vivere consapevolmente la nostra storia patria: chi siamo e da dove veniamo.

Rileggendo un quadro di G.B. Paggi

Uno dei più antichi gioielli del Centro Storico di Genova è la Chiesa di Santa Maria di Castello, ahimè poco conosciuta nonostante l’opera meritoria dei volontari, presenti tutti i giorni, che accolgono i visitatori e con competenza ed entusiasmo sono pronti ad illustrare la straordinaria collezione di opere contenute in questo scrigno che, come spesso accade in città, a fronte di un aspetto esterno rigoroso e non particolarmente attraente, all’interno regala emozioni e bellezza infinite.

L’attuale edificio di Santa Maria di Castello è la basilica romanica a tre navate con transetto e tre absidi edificata nel primo quarto del XII secolo ad opera di maestranze antelamiche. L’aspetto primitivo della chiesa è stato in parte alterato dalle ristrutturazioni dei secoli XV e XVI, ma le delizie sono contenute all’interno .A differenza di quanto è avvenuto nella navata destra, in cui a causa della presenza del chiostro gli altari sono stati addossati al muro, la parete della navata sinistra è stata sfondata nella seconda metà del XV secolo per la costruzione di cinque cappelle, entriamo quindi nella seconda cappella, dove ci accoglie la pala d’altare di Giovanni Battista Paggi (1554-1627) che raffigura la Guarigione di San Vincenzo. Se non vi è dubbio che il più importante committente di opere d’arte al mondo è stata la Chiesa Cattolica, altrettanto indubbio è l’uso politico e spesso propagandistico di affreschi e quadri. A partire dall’antichità l’immagine è stato il veicolo di più immediata comprensione per il popolo e la Chiesa è stata straordinariamente efficace nella comunicazione, regalando peraltro all’umanità tutta un patrimonio di infinita bellezza.

Guardando questa pala, al di là della maestria del pittore, uomo di strepitosa caratura artistica, manierista precursore del Barocco, ma al tempo stesso animo tormentato e dalla vita tumultuosa, dobbiamo fare attenzione ad una figura particolare, l’angioletto in basso al centro. Che cosa sta facendo? Sta spremendo un limone, bevanda che verrà data a San Vincenzo e che, per intercessione di Cristo, in un atteggiamento di dolcezza commovente, lo guarirà. Ovviamente la spremuta di limone rappresenta la grazia e il suo potere salvifico, ma se ci pensiamo bene, c’è anche un significato più semplice ed immediato. Infatti all’epoca una delle malattie più diffuse a Genova era proprio lo scorbuto, malattia causata da una grave e prolungata carenza di vitamina C, solitamente dovuta ad una dieta inadeguata. Con un approccio terapeutico casuale, ma efficace sin dalla fine del Cinquecento (siamo nel periodo dei grandi viaggi, ad esempio di Magellano) nelle navi per contrastare lo scorbuto si iniziò a somministrare tè al cedro e si cominciò a comprendere l’importanza di integrare la dieta con il succo degli agrumi. In questo quadro, quindi, oltre al messaggio spirituale, risulta ben chiaro l’invito ad un comportamento pratico: per salvare l’anima seguire la parola di Cristo e per contrastare lo scorbuto, usare gli agrumi.

Orietta Sammarruco

Qualità della vita dei giovani a Genova: problematica

Che Genova sia la città più anziana d’Italia – più che un luogo comune – è una verità accettata da tutti. Che non sia – di conseguenza – un paese per giovani, è altrettanto accertato.

Manca però un esame complessivo di questa realtà, tale da confermarla e – forse – suggerire qualche rimedio ai vecchi che governano la nostra città.

Tralasciando la stucchevole polemica sul numero degli abitanti (residenza anagrafica vs. ‘celle’ telefoniche?) consideriamo alcuni dati obiettivi e incontestabili. Le morti eccedono le nascite. I ‘giovani’ non vi nascono più o, se vi nascono, una volta cresciuti preferiscono andare altrove a mettere alla prova la propria giovinezza. Chi può, va a studiare fuori Genova o addirittura all’estero. Chi non può rimane a ‘godersi’ la povertà delle risorse che la città riserva loro. L’università vede diminuire il numero dei propri iscritti, mentre è sempre più ridotto il numero di chi – da fuori – sceglie la nostra Università in ragione di qualche – perduta – eccellenza.

Un recente studio del Sole 24 Ore sulla ‘Qualità della vita dei giovani’ in Italia, denuncia con spietata chiarezza la condizione genovese rispetto al Paese nel suo complesso. I dati riguardano i ragazzi tra i 18 e 35 anni (anche questi ultimi mantenuti allo stato di ragazzi), la cui condizione è stata esaminata sulla base di 12 indicatori che misurano alcuni aspetti fondamentali, destinati a influenzare la loro vita. Rispetto a questi indici, Genova rimane sempre, fatalmente relegata agli ultimi posti della classifica per province. Nella classifica generale, Genova è al 103° posto su 107. Al 99° per impianti sportivi. Al 76° per saldo migratorio (rapporto tra giovani che se ne vanno e giovani che arrivano). Al 77° posto per imprese con titolari under 35. Al 106° posto – penultima – per amministratori comunali under 40. Al 106° posto per canoni di locazione inaccessibili perché troppo cari. All’86° per età media del parto. All’87° per imprese che fanno E Commerce. Al 59° per disoccupazione giovanile.

Genova si riscatta però col numero di bar e discoteche, ottenendo l’ottavo posto mentre Savona – altra città ligure in crisi – conquista addirittura l’unico primato ligure.

Benedetti giovani, che invece di studiare, cercare un lavoro, dedicarsi allo sport, non sanno fare altro che perdersi nella movida, nell’alcool, nello stordimento delle discoteche!

E, qua, viene in soccorso il recente report dell’ASL3 Liguria, sui dati del Centro Alcoologico provinciale. Al di sotto dei 18 anni è normale consumare alcoolici con gli amici, nella modalità alla moda del ‘binge drinking’, e fumare praticamente di tutto. Coerentemente, già a 16-17 anni circa il 40% dei ragazzi non pratica più un’attività sportiva regolare.

L’indagine dell’ASL mostra un dato curioso e paradossale: proprio loro, i famosi ‘ggiovani’, non tendono ad assolversi o ad accusare gli adulti per la propria fragilità, ma chiedono – loro, i ragazzi – che siano gli adulti a essere meni infantili, meno razzisti, più responsabili verso il bene comune.

Che proprio gli anziani rimbambi(ni)ti debbano decidersi a dare ascolto alla fresca, ironica saggezza dei nostri ragazzi?

MM

Scrivono Francesca Bria ed Evgeny Morozov, grandi esploratori dell’universo informatico: «l’aggettivo “smart” è la quintessenza dell’era digitale in cui viviamo, che ha promesso così tanto ma mantenuto così poco. Tutto sembra essere “intelligente”, dallo spazzolino dei denti fino alle città; le smart cities che nell’ultimo decennio hanno conquistato l’immaginario collettivo e plasmato il lavoro di urbanisti, funzionari, politici e interi settori industriali. Sono però molte anche le critiche: lo scollegamento con i problemi reali della gente, la ricerca tecnocratica del dominio, l’ossessione per sorveglianza e controllo, l’incapacità di pensare a strategie che mettano i cittadini – non le aziende o gli urbanisti – al centro del processo di sviluppo».

La nostra collaboratrice Nuccia Canevarollo ci riferisce un’iniziativa di sensibilizzazione al tema in corso a Genova.

Al Ducale si parla di Intelligenza Artificiale

Da tempo sappiamo di vivere in una città che si presume all’ avanguardia nel panorama internazionale per quanto riguarda l’intelligenza artificiale (IA), attraverso quelle realtà che vengono indicate dai tecno-entusiasti come eccellenze nella ricerca del settore, l’IIT e Unige. D’altro canto, Genova e la Liguria hanno visto ormai numerose applicazioni di IA di natura molto pratica, come la collaborazione tra Tribunale di Genova e Scuola Superiore S. Anna per un’analisi di alcune sentenze con strumenti tecnologici per avere indicazioni giurisprudenziali. Anche AMT in collaborazione con Start 4.0 è impegnata in un progetto finalizzato a regolare i flussi di movimento tra il porto e la città ed efficientare il trasporto pubblico. Nel settore alimentare campioni di olio di olive taggiasche sono stati analizzati e sottoposti a tecniche di riconoscimento con impiego di IA per identificare le decine di composti chimici diversi che contraddistinguono l’olio extra vergine. In un precedente numero della Voce si è data notizia di come la politica locale abbia opportunisticamente annunciato il progetto del primo centro di medicina computazionale in Italia ad Erzelli. Frattanto tutti sperimentiamo gli usi globalizzati di software basati appunto su IA, come Google, o di intelligenza artificiale integrata nei nostri smartphone tramite funzioni diverse come fotocamere, assistenti vocali, riconoscimento facciale ed altro ancora. Mentre cresce il dibattito sulle potenzialità e i rischi che stiamo affrontando, con conferenze, convegni e seminari. A Palazzo Ducale è in corso una serie di incontri promossi da UnigeSenior sul tema. Certo non possiamo né vogliamo sfuggire allo sviluppo tecnologico, che è già tra noi. In un bell’articolo sull’ultimo numero di Limes ‘L’intelligenza non è artificiale’ Teresa Numerigo scrive: “È importante gestire questa trasformazione per preservare giustizia, uguaglianza e fratellanza fra gli esseri umani”. In tale prospettiva, per evitare possibili abusi, è però fondamentale comprendere i limiti attuali dell’IA, che sono ancora molti. Autorevoli ricercatori sostengono addirittura che la tecnologia non può essere definita “intelligenza” perché, essendo solo in grado di risolvere problemi per i quali è programmata, non è versatile e intuitiva come gli umani. Il filosofo informatico Judea Pearl sostiene che fino a quando gli algoritmi e le macchine non potranno ragionare su causa ed effetto (il semantico), saremo molto lontani dalla versatilità umana. Ritornando ancora dal livello filosofico alla quotidianità, si ravvisa la necessità che gli sviluppi e le applicazioni future siano governate al meglio. Infatti abbiamo infatti notizia di impieghi già operanti da ritenere pericolosi, come il servizio che il Regno Unito offre ai cittadini, attraverso l’azienda Babylon Health, con l’applicazione Symptom Checker Chatbot. La chat fornisce indicazioni sullo stato di salute in base ai sintomi comunicati, ogni commento è superfluo. È per questo che l’Ordine dei Medici italiano sta lavorando a una revisione del codice deontologico che garantisca che le applicazioni di medicina digitale siano strumenti di lavoro per un ruolo del medico sempre più specializzato, ma ancora più attivo. È quanto dovrà accadere in tutti i campi di applicazione, quello di cui la politica dovrà occuparsi, non tanto per fare dell’innovazione uno sterile strumento di propaganda, basato magari su effetti speciali, ma per perseguire quei benefici utili al benessere dell’uomo. Per garantirci, se non un futuro migliore, almeno un futuro.

Nuccia Canevarollo

Arriva alla Spezia la nave dei migranti. Grazie al volontariato

È arrivata nel porto della Spezia la nave Geo Barents delle ONG, in questo caso di “medici senza frontiere”, che ha raccolto 237 migranti, sottraendoli a il rischio di una morte in mare. Dei 237 migrante ben 87 erano minori, di cui 74 non accompagnati. I genitori alla disperazione s’indebitano, raccolgono quello che possono per offrire ai figli una possibilità di vita e di fuga da guerre, carestie, desertificazione e aumento delle temperature.

Gli ultimi decreti del governo Meloni hanno costretto la nave a compiere 1500 Km in più rispetto ai suoi approdi naturali, pari a 3 giorni navigazione, accompagnati dal maltempo, per persone stremate, bisognose di cure e assistenza.

Il sindaco della Spezia Peracchini è stato sconcertante nelle sue dichiarazioni “non è competenza dei comuni”, dicendo poi che non avevano risorse e attrezzature necessarie. La Regione Liguria ha brillato per assenza.

Fortuna vuole la presenza delle associazioni del volontariato, con la CGIL e la Caritas in prima linea; insieme alle pubbliche assistenza locali e alla Croce Rossa. Così è stata subito prestata l’assistenza medica. Molti, soprattutto donne e bambini, mostravano ustioni dal mix di benzina e acqua di mare che si raccoglie sul fondo dei gommoni.

I volontari si sono mobilitati in maniera pronta e generosa. Sono stati raccolti maglioni, vestiti, coperte, sono state allestite strutture di ricezione riscaldate e predisposti pasti caldi. Persino alcuni ristoratori di nome si sono prestati con la loro opera volontaria e con la fornitura di prodotti.

La cosa assurda è che solo una trentina di migranti rimarrà alla Spezia, la maggioranza sarà portata in altre località, tra le quali Foggia, esattamente agli antipodi della Spezia. Perché allora far fare questo inutile e lungo viaggio a quei poveretti?

La gran parte dei profughi, che scendeva dalla nave era scalza, qualcuno aveva dei poveri infradito. I vestiti erano inadeguati e leggeri. Si sono svolte le operazioni di sbarco: tamponi, visita medica, vestizione (, riconoscimento, colloquio. Due giovani donne erano incinte. Alcuni erano affetti da Covid e sono stati trasportati al reparto infettivi dell’ospedale di Sarzana.

Il primo sbarco in Liguria ha messo in luce tre aspetti. La crudele insensatezza di proporre porti così distanti dai punti di soccorso. L’inadeguatezza del Comune e della regione. La grande generosità della popolazione e delle associazioni del volontariato e la solidarietà che hanno saputo dimostrare.

Ora, secondo il decreto “Piantedosi” il comandante della nave rischia una multa pesantissima e la nave sino a due mesi di sequestro. Un assurdo giuridico che viola ogni regola nazionale e internazionale.

NC

Indice

Numero 43, 31 gennaio 2023

uno strumento di contro-informazione per il dibattito pubblico ligure

LA VOCE DEL CIRCOLO PERTINI

Numero 43, 31 gennaio 2023

Gli articoli de La Voce del Circolo Pertini possono essere letti su: https://www.vocecircolopertini.it

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PILLOLE

Zampini, chi lo capisce è bravo

Sull’house organ di Confindustria Genova, Giuseppe Zampini nella doppia veste di Delegato alla Sanità dell’associazione e vice presidente dell’ospedale Galliera magnifica il progetto di Regione

Liguria a Erzelli del “primo centro nazionale di medicina computazionale e tecnologica finalizzato al trasferimento sulla clinica dei risultati della ricerca generati dall’applicazione del calcolo computazionale ai modelli biologici e ai programmi di gestione delle tecnologie robotiche”. Detto così qualcosa di incomprensibile. Più comprensibile è la natura farlocca Medicina Computazionale Archivi - LabWorld

dei partner scientifici indicati: Unige (ma a Erzelli si trasferisce Ingegneria, non Medicina o Fisica), Liguria Digitale (cioè un buyer), IIT (non segnalato nella ricerca sulla cura). Il solito Zampini: se non rompe, strina.

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Goodnews a metà: un posto per lavorare in Comune. Ma gratis

Finalmente una buona notizia da Palazzo Tursi: la promozione dei musei del mare e della migrazione, il Mu.Ma. Impegno civico e culturale di cui rendere merito ai nostri amministratori. A tale scopo è stato lanciato un bando per personale qualificato: preferibilmente bilingue (inglese e italiano), saper usare bene excel, word ed email, avere capacità di sintesi, comunicazionali e relazionali, gestire i meccanismi dei social media. Insomma ci vuole almeno una laurea o equipollente. Stipendio? Ma che scherziamo? Gratis, ovviamente, trattasi di volontariato. Lavori per il Comune – e che cavolo! – ti basti la gloria. Una presa per il deretano. Allora perché è una goodnews? Perché fa ridere e una buona risata migliora la vita. Seppure non a chi cerca lavoro, sia chiaro.

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Perché in Liguria le autostrade costano di più?

La rete autostradale ligure è la più cara d’Italia. Lo stesso vale per i treni regionali che trasportano i pendolari. Eppure le autostrade in Liguria sono un inferno per gli utenti: cantieri continui, cambi di carreggiata, restrizioni di corsie, code e incidenti sono all’ordine del giorno. Ritardo nell’installazione dei pannelli fonoassorbenti. Dove sono stati installati sono risultati pericolosi e devono essere rimossi. Gallerie non adeguatamente illuminate, immissioni da entrate o da autogrill pericolose.

Le società autostradali sono quelle della tragedia del ponte Morandi. Eppure si concede loro un aumento dei pedaggi del 6%. Il Consiglio Regionale ha approvato all’unanimità un Odg del consigliere Luca Garibaldi (PD) che propone la sospensione per cinque anni degli aumenti. Toti tace.

EDITORIALI

Lettera aperta a Francesco Quaglia, neo Direttore Generale dell’ospedale Galliera

Caro Direttore, un comune amico descriveva la sanità genovese e ligure degli anni scorsi come “il passaggio dalla repubblica delle ASL alla monarchia Alisa”. A noi sembra che l’odierna realtà di territorio sia piuttosto quella di un’avanzata “balcanizzazione”; impressione confermata dal fatto che l’organizzazione di tale realtà sconta in Liguria la presenza di almeno quattro centri preposti al suo governo: l’assessorato regionale, oggi a guida di un professionista d’alto profilo quanto (si dice) “San-Martino-centrico”, il dipartimento relativo, la Stem (il presunto coordinamento strategico affidato a Giuseppe Profiti, anche se ormai tale manager viene segnalato stabilmente in Calabria) e – infine – l’ormai fantomatica Alisa, nata anch’essa come cento strategico sulle ceneri di Ars, ma di cui sfuggono le presenti funzioni.

È chiaro che tale frammentazione collide con i criteri del buon funzionamento della macchina, di cui tu sei uno dei massimi esperti nazionali, e lascia ampie fessure all’infiltrazione di criteri altri: dal perseguimento di interessi politici al sempre incombente rischio della speculazione affaristica. Tanto per non restare nel generico, la recente polemica sul Galliera sollevata dal Presidente di Liguria Giovanni Toti ci è parsa la ricerca del capro espiatorio su cui scaricare le responsabilità (e le colpe) di un’impasse sistemica. Non l’apertura di una seria discussione pubblica sui punti di crisi emersi da tempo in una strategia sanitaria abbacinata oltre l’accettabile dal “modello lombardo”, in cui l’ideologia pervicace del privato svalorizza il prezioso capitale rappresentato dalla sanità pubblica. L’assenza di una visione d’insieme del sistema sanitario, che parta dai bisogni e arrivi a individuare le ripartizioni dei ruoli in una logica tanto dell’efficacia nella prestazione come dell’efficienza nell’uso delle risorse.

Proprio parlando di ruoli sistemici, veniamo al tuo nuovo incarico in quell’istituto Galliera che è per tradizione e collocazione l’ospedale centrale nell’orografia oblunga di Genova; ma da tre lustri al centro di uno scontro ormai incancrenito tra i progetti della dirigenza e la perdurante ostilità della cittadinanza di quartiere. Scontro che – a nostro avviso – è stato scatenato da un disegno iniziale calato dall’alto che prevedeva scelte per fare finanza a scapito dell’ambiente e sovvertiva la vivibilità di quartiere. Dall’approccio impositivo verticistico è scaturita una contrapposizione alla Davide vs. Golia con relativo stallo, che non ha giovato minimamente all’immagine pubblica dei gestori di un bene cittadino.

Ora si è in attesa degli ultimi pronunciamenti sul contenzioso; ma – comunque vada – il dopo rimane problematico se non si bonificherà il terreno di tutto il napalm virtuale che è stato sparso. Per questo rivolgiamo a te, di recentissimo arrivo, di riconosciuta competenza e altrettanto equilibrio, la seguente domanda: non sarebbe il caso di aprire un dialogo ospedale-quartiere nelle modalità da definire, stante la tua convinzione che lo scontro è stato esacerbato da molti conflitti per errore? La ricerca di una sintesi costruttiva di cui puoi essere la risorsa principale, in quanto parte terza rispetto al passato? Sono 15 anni che assistiamo a questa guerra di religione le cui prime vittime sono i malati che stazionano per ore davanti a un pronto soccorso che non è in grado di accoglierli.

Alla precedente guerra di religione – quella dei “trent’anni” – venne posta fine con “la pace di Westfalia”. Cosa si aspetta a stipulare “la pace di Carignano”?

La Regione Liguria ai manager della sanità: “Non nominate i primari e  bloccate i progetti” - Il Secolo XIXRisponde Francesco Quaglia

Caro Pierfranco,

rispondo volentieri alle sollecitazioni mosse dalla tua lettera aperta, tuttavia mi corre l’obbligo di esprimere qualche dissenso rispetto a taluni tuoi giudizi, espressi nei primi due capoversi del tuo scritto. Non condivido le valutazioni francamente eccessive sulla “balcanizzazione” della Sanità ligure, né le considerazioni riguardanti le polemiche sul ruolo dell’Ente Ospedaliero “Ospedali Galliera”, enfatizzate oltre misura e generate da complesse dinamiche organizzative che si sono manifestate acutamente nei mesi di novembre e dicembre dello scorso anno.

Vengo al tema sul quale chiedi il mio punto di vista sul “dialogo ospedale – quartiere”, che tu auspichi quale possibile soluzione di un conflitto ormai risalente e, a mio avviso, nel nuovo ruolo di Direttore Generale appena entrato in carica, poco comprensibile, alla luce della lettura dei cospicui cartami che ha generato. Conflitto “per errore”, tu scrivi…Qualificare la natura dell’errore forse è la strada migliore per chiarire i termini della questione.

Invero, senza infingimenti, occorre essere veritieri sull’assoluta necessità che l’Ospedale possa abitare in una nuova casa, poiché l’attuale non è assolutamente in grado di fronteggiare le moderne esigenze dell’assistenza sanitaria, come la pandemia da COVID 19 ha ampiamente dimostrato: la struttura del Galliera ha reso molto più complessa la gestione dei pazienti nelle fasi più acute rispetto ad altri ospedali, determinando un’inefficiente allocazione del personale, la conseguente crescita incontrollata dei costi per indennità, condizioni di lavoro e straordinario e, soprattutto pesanti situazioni di stress lavorativo per i dipendenti e significativo disagio per i pazienti.

Se tale verità viene riconosciuta, il dialogo sarà aperto con tutti, con il quartiere, con le associazioni considerato che la struttura monumentale del Galliera deve comunque essere salvaguardata e può costituire un’opportunità per l’intera cittadinanza.

Infine, una piccola notazione sulla Pace….quella di Westafalia del 1648 sancì la nascita dell’Europa degli stati sovrani, ma non per tale circostanza i conflitti cessarono…auspico per il nuovo Galliera una comunità di intenti per il bene della Città e non una pace armata.

Con grande stima.

Francesco Quaglia

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Intrallazzi politici in salsa al basilico

Cosa sta succedendo alla politica ligure? Indizi significativi segnalerebbero il ritorno a pieno regime delle ricorrenti attitudini all’intrallazzo (o, come direbbe uno che se ne intende – Massimo D’Alema – “all’inciucio”). Attitudini ricorrenti, appunto. Difatti leggende metropolitane narrano che al tramonto della Prima Repubblica Claudio Scajola, il quale cominciava a giocare in proprio dopo essere stato a lungo il proconsole a ponente di Paolo Emilio Taviani (“un killer perfetto”, diceva PET), si incontrò con i maggiorenti dell’allora PCI locale in un ristorante genovese a fianco del Ponte Monumentale. Oggetto del summit la richiesta di appoggio alla sua riconferma quale sindaco di Imperia, accompagnata dalla celebre frase – vera captatio benevolentiae – “così battiamo quel fascista di Berlusconi”. L’accordo non andò in porto e Scajola traslocò armi e bagagli nel campo del presunto “fascista”, dove ricoprì le stesse funzioni svolte per Taviani. Altra successiva leggenda altrettanto metropolitana parla di suoi periodici incontri riservati con l’allora presidente di Regione Liguria Claudio Burlando in una villa di Albaro, per ridisegnare i confini dei reciproci potentati.

Dunque una fenomenologia della collusività bipartisan che cancella i tratti riconoscibili negli schieramenti contrapposti (con il precedente anni ‘50 della spartizione di Genova tra Taviani e i comunisti: al ras DC il centro degli affari e il levante residenziale, agli altri i quartieri operai a ponente) che ora ci viene segnalata in gestazione a San Remo, con il beneplacito dell’immarcescibile Scajola, e che è già emersa a Savona nell’accordo tra Toti e il PD per l’elezione di un totiano alla Provincia; col sindaco di centrosinistra Russo recalcitrante quanto bisognoso di finanziamenti regionali che lo renderanno inevitabilmente subalterno. Altra riprova è l’endorsement dei maggiorenti piddini liguri a favore di Stefano Bonaccini candidato alle primarie; ossia il renziano restato in sonno nel PD mentre il capocorrente Matteo Renzi andava a fondare il suo nuovo partito di scarsissimo appeal, Italia Viva. Cioè l’adesione a quel renzismo che ripropone la strategia suicida lanciata trent’anni fa da Tony Blair: puntare all’elettorato di destra dando per acquisito quello di sinistra e così perdendo sia dal tappo che dalla spina. Però con il vantaggio di essere cooptati nella corporazione trasversale del potere. Unico obiettivo riconducibile alla proposta inesistente del Bonaccini quale futuro segretario nazionale del partito, ma tale da far riemergere Claudio Burlando dal sacello e fremere di entusiasmo prezzemolina Pinotti.

Tutte ciambelle di salvataggio per un Giovanni Toti con gravi problemi all’interno della propria maggioranza. Né, se lo sguardo si volge verso La Spezia, lo spettacolo è più rassicurante, visto che sotto la sagace (?) regia di Andrea Orlando la sedicente sinistra è riuscita a far perdere una candidata degna contro un sindaco uscente abbastanza impopolare, quale Peracchini. Ma il regista re Mida alla rovescia continua a tenere ben stretti i fili del potere promettendo altri sfracelli.

Come disse anni fa Nanni Moretti, “con questi dirigenti si perderà sempre”.

La redazione de “La Voce del Circolo Pertini”

Nicola Caprioni, Daniela Cassini, Angelo Ciani, Mauro Giampaoli, Michele Marchesiello, Carlo A. Martigli, Pierfranco Pellizzetti, Getto Viarengo.

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Hanno scritto per noi (tra gli altri):

Andrea Agostini, Marco Aime, Franco Astengo, Arnaldo Bagnasco, Susie Bandelli. Enzo Barnabà, Marco Bersani, Marco Baruzzo, Pieraldo Canessa, Nuccia Canevarollo, Alessandro Cavalli, Roberto Centi, Riccardo Degl’Innocenti, Alberto Diaspro, Marco Fabbri, Erminia Federico, Maura Galli, Luca Garibaldi, Antonio Gozzi, Roberto Guarino, Monica Lanfranco, Maddalena Leali, Giuseppe Pippo Marcenaro, Antonella Marras, Andrea Moizo, Paola Panzera, Enrico Pignone, Bernardo Ratti, Adrano Sansa, Ferruccio Sansa, Sandro Sanvenero, Carla Scarsi, Sergio Schintu, Mauro Solari, Orietta Sammarruco, Piera Sommovigo, Giovanni Spalla, Angelo Spanò, Rino Tortorelli, Giulio A. Tozzi, Gianmarco Veruggio.

POSTA

Riceviamo dal Dottor Sandro Sanvenero, già presidente dell’Albo degli Odontoiatri di La Spezia

I problemi della sanità non si risolvono con gli algoritmi

Cara Voce del Circolo Pertini, ho letto gli ultimi articoli sul presente e prospettive della sanità e da medico mi preme evidenziare un aspetto fondamentale: l’allocazione non etica delle risorse economiche che, attraverso un enorme spreco denaro, porterà al collasso della sanità pubblica. Ritenere che la medicina computazionale, l’intelligenza artificiale e un algoritmo possano risolvere i problemi della sanità è un miraggio che dimostra che non viene compresa “l’essenza” della sanità e ciò, forse, è dovuto ad un grave bias cognitivo che deve essere rimosso: la medicina non è scientifica!

Ovviamente nel concetto associato alla parola “scienza”: essere l’espressione della verità e perciò in grado di dare certezze su ciò che “accadrà dopo”. Questo concetto è proprio delle “scienze esatte” che prevedono una sequenza precisa di eventi: ad esempio la matematica. L’arte medica (perché di arte si tratta) è una “scienza empirica” che basandosi sull’evidenza, utilizza il metodo sperimentale cioè il continuo controllo e rivalutazione critica del fatto che le ipotesi siano coerenti con le osservazioni sul campo; quindi il progresso delle conoscenze mediche si nutre del dibattito e confronto, di prove e di confutazioni, argomentazioni e contro argomentazioni: in una parola si nutre del “dubbio”.

Anche gli assiomi delle conoscenze mediche cambiano nel tempo, proprio perché non sono mai “verità”, a differenza di quelli delle scienze esatte (che rimangono eterni). Un esempio per capire questo fondamentale concetto. Un assioma della biologia molecolare, che ha formato medici degli ultimi decenni, si basava sulla scoperta della struttura del DNA: “un gene – una proteina”. Da anni si sa che non è così, l’assioma attuale è: “un gene – più proteine”. Di contro il teorema di Pitagora da oltre 2.500 anni è immutato ed immutabile, perché corrisponde a “verità”. Compreso questo bias, appare chiara la fallacità delle argomentazioni di chi vuole fare apparire un progresso la medicina basata sugli algoritmi e intelligenza artificiale: si tratta di un “miraggio”, della visione di una realtà inesistente, anche se appare “bella ed attraente”; le centinaia di milioni di euro che vengono spesi (e, quindi, sottratti al finanziamento della vera medicina) all’Erzelli per creare il primo centro in Italia di “medicina computazionale” saranno, nella migliore delle ipotesi, uno spreco; in realtà si tradurranno in un inferno per i pazienti (“fruitori del servizio sanitario”) che si troveranno di fronte a realtà depotenziate e definanziate e saranno, ancor più che oggi, considerati dei “numeri – codici” gestiti da un algoritmo: l’esatto contrario dell’umanizzazione delle cure. Non è possibile migliorare la sanità depotenziando i fattori umani (i sanitari) e potenziando gli aspetti tecnologici che si “autogestiscono”: la tecnologia deve essere al servizio dell’uomo, e non il contrario.

Con i migliori auguri di “buona fortuna” a fruitori del servizio del “dottor Google o Yahoo”.

Sandro Sanvenero

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Un appuntamento di vivo interesse

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Riceviamo da Andrea Agostini e Giovanni Spalla

Osservazioni al progetto di diga foranea dell’AdSP del mare ligure occidentale

1) Le pertinenti prescrizioni e istruzioni formulate dal CSLP, nel dare parere favorevole al progetto di nuova diga foranea di Genova, per il quale si è richiesto un finanziamento dal PNRR, non sono state recepite dalla AdSP MOL.

2) Le procedure, i metodi e le tecniche adottate dall’AdSP (Autorità di Sistema Portuale del mar ligure orientale) per arrivare alla proposta definitiva risultano inattendibili e immotivate tecnicamente anche perché il dibattito pubblico è stato limitato e settoriale; la messa in campo del confronto tra soluzioni alternative è risultata monca non avendo definito a priori i criteri di valutazione di pubblica utilità per determinare la soluzione ottimale. Sicché L’AdSP si è ridotta a circoscrivere la pura geometrica localizzativa in difesa e messa in sicurezza delle portacontainer giganti. È comunque inaccettabile che tale progetto sia stato circoscritto all’area del bacino di Sampierdarena; che la diga sia stata disegnata solo in funzione della difesa dalle traversie marine e per avere maggiori fondali capaci di accogliere le portacontainer di nuova generazione. Mentre il disegno della nuova diga andava determinato nel quadro di una pianificazione portuale e urbanistica estesa all’intero sistema dei bacini portuali dei due poli di Vado e Genova. Inoltre, gli obiettivi presi in considerazione per definire il progetto di nuova diga privilegiano eccessivamente attracco e movimentazione in sicurezza delle navi portacontainer di nuova generazione; scelta non del tutto giustificata nemmeno dalle previsioni dei traffici mondiali alla luce delle nuove condizioni climatiche e geopolitiche.

3) Dimensione e geometria della nuova diga foranea sono in contrasto con le attività e le movimentazioni di decollo e atterraggio dell’aeroporto, come risultava dal parere del CSLP, perché l’attuale aeroporto non è stato riprogettato tenendo soprattutto conto della nuova scala dimensionale delle navi portacontainer giganti.

4) la nuova diga foranea è stata progettata senza alcun tipo di piattaforme sul fronte terra, che invece aveva la diga del PRP 2015 (ipotesi dell’AdSP del MLO, porto di GE), prevista anche dal Contratto di Ricerca 2011 tra APGE e Unige. Tali piattaforme appaiono indispensabili perché atte a contenere in sicurezza i depositi chimici e/o petroliferi a rischio incidenti rilevanti e emissioni tossiche. Tra tali stabilimenti rientra quello della Carmagnani che il Comune intende localizzare all’interno del porto di GE, calata Somalia. Scelta incompatibile con la vita del quartiere di Sampierdarena.

5) La nuova diga è stata pensata e progettata solo nell’interesse di alcuni terminalisti e non per quello di Genova e del suo hinterland, senza alcun rispetto della sostenibilità ambientale, urbana e paesaggistica. Infatti, se la nuova diga fosse stata dotata di adeguate piattaforme avrebbe potuto contenere in sicurezza anche i nuovi hangar (oltre che i depositi chimici e petroliferi), nei quali trasferire gli attuali insediamenti delle riparazioni navali; oggi chiaramente fuori legge perché tali attività dovrebbero essere collocate distanti almeno 5 km. dai centri abitati.

6) Infine bisogna notare che le operazioni di carico e scarico delle grandi navi di nuova generazione possono già essere svolte nella nuova piastra di Vado, già attrezzata a tale scopo. Tale investimento sulla piastra di Vado, peraltro fuori centro abitato, avrebbe potuto evitare un doppione portuale, in quanto in linea con le nuove esigenze del trasporto marittimo delle merci a livello mondiale.

Giovanni Spalla e Andrea Agostini

28 gennaio, nasce la Rete Genovese

Qualcosa si muove! Non è esattamente quello che la nostra testata auspicava, ma è già qualcosa.

Cos’è che la Voce del Circolo Pertini propone dal giorno della sua nascita, due anni fa? Presto detto: l’incontro e l’avvio di una partnership permanente tra l’opposizione politica e l’opposizione sociale in Liguria, che dia vita a un soggetto collettivo in grado di scalzare questa maggioranza che persegue soltanto la mercificazione in proprio di tutto quanto è monetizzabile, alla faccia dei cittadini.

Purtroppo l’opposizione politica ad oggi è data per non pervenuta, intenta solo a presenze testimoniali o teatrali, più per fare scena che per modificare equilibri nel governo locale (pensiamo alle gag su Viagra e jeans o denunce di “tri-capodanni” strapaese, concentrate sul falso problema degli uffici regionali destinati pro tempore a camerini di antiche glorie e poco sulle fatturazioni dell’evento sminuzzate tra Mediaset e aziende sodali per tenere basso l’importo delle singole fatture. Alla faccia dell’impoverimento della nostra comunità).

Ma anche l’opposizione sociale mostra limiti evidenti, non riuscendo ad aggregarsi da Ventimiglia a Sarzana e a superare le proprie tendenze solipsistiche di ruolo, vissuto come una sorta di giardinetto personale, non di rado per pura ansia di protagonismo (per non parlare talora di un certo vassallaggio psicologico nei confronti dell’istituzione regionale e delle sue disponibilità finanziarie, che – ad esempio – l’anno scorso ci ha messo in rotta di collisione con Legambiente). Insomma, la capacità di posizionare la protesta specifica in un quadro di riferimento generale, comprendendo il senso complessivo del disegno politico contro cui si lotta.

Una situazione che più volte ci ha costretto alla funzione di voce nel deserto che predica il principio secondo cui qualunque sia l’ambito per cui l’associazionismo si batte – l’ambiente, la salute, il lavoro… – l’avversario è uno solo: la svendita pubblica dei beni comuni. Ed è per questo che quanto è avvenuto a Genova il 28 scorso ci è sembrato un buon inizio, nella speranza che cresca strada facendo. Ossia “la Rete di comitati, associazioni e movimenti di territorio”, le 22 realtà dell’associazionismo civile genovese scese simultaneamente in piazza con presidi in luoghi topici cittadini: Comitato Giardini Malinverni, Comitato Officine Sampierdarenesi, Comitato di via Vecchia e strade limitrofe, Comitato contro la cementificazione di Terralba, Opposizione Skymetro – Valbisagno sostenibile, Comitato con i piedi per terra, Comitato difesa del parco dei Forti e delle Mura di Genova, Comitato Valpolcevera Resistente San Quirico, Comitato liberi cittadini di Certosa, Comitato sotto il ponte, Comitato Cittadini Banchelle, Comitato vie Ardoino e Landi, Comitato Donne di Cornigliano, Comitato Tutela Ambiente Genova, Comitato Nuova Ecologia, Circolo San Bernardo, Associazione Amici di Ponte Carrega, Associazione Mobilità Genova, Rete Cittadina Insieme per la Salute di Tutti, Italia Nostra Onlus, ISDE Medici per l’ambiente, Medicina Democratica movimento di lotta per la salute.

Ora attendiamo l’avvio di una fase costituente su scala regionale; ossia la dimensione in cui va affrontato e contrastato l’avversario: Giovanni Toti e i suoi sodali.

PFP

In Liguria la più alta percentuale di colpiti da Covid

L’allarme relativo al Covid si è allentato. Forse troppo e troppo presto. Oltre all’assuefazione e all’abitudine di convivere con il virus concorre anche il silenzio sui dati della diffusione della pandemia. Non fornendo informazioni è come se il contagio non esistesse.

Purtroppo i dati ci dicono il contrario e un dato appare particolarmente preoccupante per la Liguria, regione notoriamente alle prese con un servizio sanitario in fase di demolizione da parte delle mire privatistiche della giunta Toti.

La Liguria raggiunge così un record negativo preoccupante. E’ la regione che conta la più alta percentuale di contagi nei luoghi di lavoro. Ben 1056 contagi nei luoghi di lavoro in Liguria nel periodo ottobre/dicembre 2022. Si tratta nella maggioranza di lavoratori in settori “a rischio”, medici, infermieri, fisioterapisti, personale di servizio sanitario, ma anche impiegati in servizi aperti al pubblico, insegnanti, commessi di attività commerciali, agenti di polizia e vigili urbani.

La provincia più colpita a livello nazionale è Genova, dove ben 662 lavoratori hanno contratto il virus svolgendo le proprie attività lavorative, rappresentano il 62,7% dei contagiati sul lavoro a livello regionale, con un incremento rispetto al quadrimestre precedente del 6,4%.

Al secondo posto troviamo ancora una provincia ligure. La Spezia è la zona che ha visto la maggiore crescita percentuale dei contagi in ambiente di lavoro con un aumento del 13,5%. Ancora una ligure al terzo posto con Imperia con un incremento dell’8%.

In totale la Liguria rappresenta una percentuale doppia di contagi sul lavoro rispetto alla media di incidenza dei suoi abitanti sul totale nazionale. Fortunatamente, grazie anche alla diffusione massiccia delle vaccinazioni, non si è registrato nessun caso mortale tra i colpiti. Un dato particolare è che la maggioranza dei colpiti sono donne, in numero addirittura doppio rispetto agli uomini, forse dovuto all’alta percentuale di lavoro femminile in alcuni dei settori più colpiti (medici, infermiere, commesse, fisioterapiste, ecc.).

Secondo un parere di dirigenti INAIL il dato è da attribuire in parte alla correttezza dei datori di lavoro liguri che, nel presentare all’INAIL le denunce d’infortunio di pertinenza dell’INAIL a differenza delle denunce di malattia ordinaria che non vengono denunciate all’INAIL. Altra spiegazione, sempre da fonte INAIL, è quella della media età ligure, che è la più alta d’Italia.

Non è invece pervenuto un commento da parte dell’assessorato alla sanità della Regione Liguria, che continua a fare la “politica dello struzzo” rispetto a tutto quanto concerne la diffusione del virus e, più in generale, i dati sulla gestione sanitaria.

NC

Un’opera attesa da tanto tempo ma con un percorso progettuale controverso, che lascia intravvedere pericoli incombenti.

Eppure Bucci, ormai preda della sindrome cronica del realizzatore selvaggio, liquida le critiche del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (progetto da rifare) con un’alzata di spalle. Un tempo si diceva che la gatta frettolosa ha fatto gattini ciechi. Ma questo non è uno scherzo: il gatto-Bucci sta celebrando la sua io-mania sulla pelle dei concittadini

Progetto Tunnel sub-portuale: più ombre che luci, ma Bucci non si ferma

Il progetto di un tunnel che colleghi la zona della lanterna, piazza Cavour e la Foce passando sotto il porto antico non è una novità. All’inizio degli anni 2000 vi fu anzi un dibattito se preferire un ponte tra la zona di San Benigno e il quartiere del Molo oppure, appunto, preferire un tunnel. Vinse l’idea del tunnel, sicuramente meno impattante. Personalmente è un progetto che ho sempre condiviso. Un tunnel che scarichi dal traffico la sopraelevata e via Gramsci (i calcoli trasportistici danno 4500 veicoli eq. /ora in meno) ha una serie di vantaggi. Consente di pensare all’abbattimento della sopraelevata, almeno nella zona di via Gramsci, sì da liberare la palazzata del centro storico da questo pesante ingombro visivo. La soprelevata ha comunque dei limiti strutturali essendo stata pensata per il traffico degli anni ‘60: auto più piccole, impossibilità di percorrenza dei mezzi pesanti ed ha comunque 60 anni di anzianità. Una nuova via di scorrimento veloce utilizzabile anche dai mezzi

pesanti consentirebbe una serie di interventi viabilistici importanti. Inoltre il nuovo terminal di Costa Crociere previsto a calata Gadda – Boccardo implementerà notevolmente il traffico pesante in via Gramsci col rischio di una paralisi totale, considerando che le navi da crociera sono delle cittadine galleggianti che vanno rifornite regolarmente.La realizzazione del tunnel (in realtà due affiancati, uno per senso di marcia) consentirebbe una regolarizzazione del traffico in via Gramsci con lo spostamento al centro carreggiata dei mezzi AMT, in modo da aumentarne la velocità commerciale. Tutto bene? Non pare. È di questi giorni la notizia che il Consiglio Superiore dei lavori Pubblici ritiene che il progetto presentato da ASPI sia da rifare evidenziando aspetti di sicurezza legati al rischio incendi ed allo smaltimento delle terre di risulta. A questo si aggiungono le notevoli criticità già evidenziate dalla Sovrintendenza, come l’abbattimento di due palazzine tutelate, e ancora aspetti idraulici non definiti rispetto al bacino del Bisagno, una serie di interferenze con progetti già approvati all’imbocco dei tunnel in zona San Benigno, ecc. Insomma il progetto di ASPI fa acqua da tutte le parti. A questo punto mi sorge una domanda. Negli anni 2000 il Comune aveva incaricato la società D’Appolonia di fare il progetto di questo tunnel al costo di 3 milioni di Euro. Il progetto, del valore di 520 milioni di Euro, concordato con Autorità Portuale, era stato approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Successivamente nel 2013 vi era stata una revisione del progetto costata un altro milione di euro. Perché quel progetto, sicuramente da aggiornare in qualche sua parte, ma costato al Comune 4 milioni di euro è stato definitivamente accantonato? Perché ASPI ha ritenuto necessario un nuovo progetto, evidentemente fatto male?

Mauro Solari

Venerdì 27 gennaio si è celebrato il Giorno della Memoria, in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto e si ricordano gli avvenimenti; soprattutto le responsabilità, che non devono né possono essere cancellate, di quell’orrendo misfatto. La Voce intende contribuire a mantenere accesa la fiammella ricostruendo la vicenda dal nostro angolo territoriale.

L’olocausto in Liguria

Dopo l’Ordine di Polizia N°5, del novembre 1943, la situazione degli ebrei italiani muta drammaticamente, le denunce d’appartenenza alla “razza ebraica”, volute dal fascismo nel 1938, ora si trasformavano in recapiti per gli arresti e la deportazione. In ogni provincia della Liguria le prefetture repubblichine provvedevano diligentemente, da Vallecrosia a Spezia, da Savona al Campo 52 di Calvari per Genova. Anche quest’anno dedicheremo un momento di riflessione nell’area del Campo di Concentramento di Calvari, attivo per l’intera provincia di Genova; autorità, sindacati e studenti si ritroveranno nel luogo dove furono reclusi ventotto ebrei arrestati nei giorni precedenti, tutti bloccati da fascisti italiani. La mattina del 21 gennaio 1944 il maresciallo delle SS Max Ablinger controfirmò il documento di consegna di quanti furono caricati sul camion. Nelle ore precedenti si era recato presso l’Ospedale Civile di Chiavari per arrestare Vittorio De Benedetti e la moglie Ester. Ora il mezzo muove verso Milano, a San Vittore è il luogo di raccolta del convoglio N°6, la partenza sarà nella prima mattina del 30 gennaio al Binario 21 della stazione Centrale. Sul convoglio viaggeranno i ventotto di Calvari e quanti concentrati a San Vittore, un totale di seicentocinque persone. Il viaggio terminerà davanti alla Porta del campo di sterminio di Auschwitz nella mattina del 6 febbraio. I registri del campo ci indicano che solo 97 uomini, matricole dal 173394 al 173490, e 31 donne, matricole dal 75174 al 75204, supereranno la selezione, tutti gli altri saranno inviati alle camere a gas: nessuno dei reclusi di Calvari si salverà. I dati biografici ci permettono un’analisi dei deportati: i bambini nati dopo il 1931 erano 36, gli anziani nati dopo il 1885 erano 158, la più giovane del trasporto Fiorella Calò di soli sei mesi. Liliana Segre è la sola sopravvissuta a quel terribile viaggio: oggi senatrice a vita. Un segno di grande speranza e di riconoscimento istituzionale per una donna che riassume nella sua esperienza il significato della salvaguardia della memoria, un impegno forte e determinato per tutti i democratici che s’incontrano a Calvari per ricordare quel viaggio senza ritorno. Le polemiche successive all’insediamento del nuovo presidente del senato La Russa chiedono una precisa domanda: è possibile di fronte a tale situazione storica essere equidistanti? Per gli antifascisti la risposta è immediata, per chi colleziona busti del duce diventa difficile trovare le parole per giustificarsi, ma la domanda non può mutare: è la storia che lo richiede!

GV

Dall’industria 4.0 alla sanità 4.0

Dopo aver devastato coste e paesaggi del fu-Bel Paese grazie alla cementificazione selvaggia, l’italica corporazione politica (soprattutto regionale) incominciò a ricercare nuovi territorio da destinare al saccheggio. Una scelta obbligata: la sanità, ossia la prima voce nel bilancio di tutti gli Enti regionali. Operazione realizzata attraverso la svendita ai privati dei servizi più remunerativi e poi – man mano – la cessione a gruppi imprenditorial/speculativi di interi ospedali e policlinici. Il tutto favorito dal mood neoliberista, molto Scuola di Chicago della privatizzazione come panacea universale, predicata dagli invasati allievi di Milton Friedman, che qui da noi trovò terreno fertile prima di tutto nel luogo più esposto all’ideologia della semplificazione: la Lombardia; già nel 1995 con la presidenza di Roberto Formigoni, poi finito in carcere per affarismo sanitario. Ora la presa sul business salute non accenna a ridursi, soltanto va rinnovando l’apparato comunicativo con cui turlupinare la pubblica opinione. Difatti da qualche tempo assistiamo al rinnovamento lessicale del messaggio, che al solito tende ad avvalorare il ritiro dello Stato dall’area della salute come una scelta imposta dall’evoluzione tecnologica: tutto l’abracadabra illusionistico da tecno-credente (sensori, cloud computing, big data, robot con la faccetta buffa) come scorciatoia per eliminare la qualità umana nella relazione di cura. La riproposizione degli stessi marchingegni presunti risolutivi che negli anni scorsi caratterizzavano le ricette mistificatorie per sostituire il lavoro vivo con quello morto quale parodia dell’efficienza aziendale (dopo la stagione dei decentramenti produttivi nel Terzo/Quarto mondo). Il disegno labour saving e le sue decimazioni selvagge, i cui effetti si sono rivelati disastrosi (deindustrializzazione, dipendenza dai fornitori esteri perfino per le mascherine Covid, disoccupazione crescente, passaggio dallo sfruttamento all’esclusione). Il tutto sintetizzato dai numeri fatali che tanto piacevano al modernista alla vaccinara, il ministro Carlo Calenda: 4.0.

Difatti ora gli apprendisti stregoni avidi parlano di sanità 4.0, in un’apoteosi di fumisteria sotto forma di effetti speciali. Supremo tocco up-to-date, la comparsa dell’aggettivo misterico “computazionale”. Ossia l’attività rivolta al calcolo, a partire dall’uso del pallottoliere. Da quando il termine viene associato alla star presenzialista del momento – i Big Data, che hanno sostituito il “networking” nel ranking del luogo comune fanta-epocale – ci si riferisce alla capacità sintattica dell’Intelligenza Artificiale di elaborare catene di tassonomie processando informazioni. Niente di più. E uno dei massimi studiosi dell’infosfera – il docente oxfordiano Luciano Floridi – ci spiega che la strombazzata I.A. non è poi così intelligente, visto che zoppica in semantica: la comprensione del significato, cioè l’individuazione della causa. Quanto deve assicurare una buona diagnostica.

Al massimo la medicina computazionale può standardizzare gli approcci alla cura nella logica dei grandi numeri, tanto apprezzati dal business. Ma è anche un’ulteriore contributo alla disumanizzazione in atto, al tempo della mercificazione del vivente.

PFP

Gli strani movimenti della politica imperiese

Si accende la corsa alle elezioni nell’imperiese. Cogliendo il fronte di centro-destra in contropiede, è arrivato l’endorsement del presidente della Regione Giovanni Toti in appoggio a Claudio Scajola per la corsa al secondo mandato di primo cittadino ad Imperia. Nel ragionamento rientrano certamente la cessazione del commissariamento dell’Ato idrico per ridare alla provincia di Imperia le competenze sull’acqua, caldeggiate da Scajola e l’appoggio alle politiche della sanità e all’ospedale unico della provincia, nei piani di Toti. La Lega ma soprattutto Fratelli d’Italia non hanno nascosto l’irritazione per il sostegno pubblico concesso, incurante dell’unità della coalizione.

Anche gli apprezzamenti rivolti al sindaco di Sanremo, alla guida di un’alleanza con il Partito Democratico, non giungono probabilmente a caso. Nelle stesse ore Alberto Biancheri, al termine del secondo mandato, e l’ex candidato rivale Sergio Tommasini, hanno condiviso un primo incontro sul possibile progetto civico comune per il 2024.

Al ruolo di pontiere del passato, il presidente Toti sembra oggi prediligere progetti politici intorno a personalità e a liste ‘variamente’ civiche, utilizzate come serbatoi di voti, che possano concretizzare operazioni di larghe intese di democristiana memoria, offrendo salde garanzie alle lobbies locali. E nel ponente, ancora fermo al tempo dei vassalli e valvassori, ha gioco facile.

Il PD resta alla finestra in attesa del congresso, a volte si smarca o in alcuni casi, come a Savona di recente per l’elezione del Presidente provinciale Pierangelo Olivieri, appoggia candidature opposte, in un risiko di poltrone e manovre rocambolesche.

Intanto la disaffezione e l’astensionismo dilagano fra gli elettori. La discesa della partecipazione al voto non conosce punti di arresto, il movimento verso il basso è progressivo e apparentemente inarrestabile. La minore affluenza al voto amministrativo rispetto a quello politico è una costante. Quasi sfondata ormai la soglia del 50% alle comunali, fin dove si arriverà? Quanto potrà ancora essere percepito come legittimo un potere pubblico fondato su basi tanto esigue e in continuo assottigliamento?

Contemporaneamente, come ampiamente previsto, le crisi del modello capitalistico, dopo due anni di governo Draghi di unità nazionale sono sfociate nel governo più a destra dalla nascita della Repubblica. Abbiamo un governo post-fascista che mantenendo inalterata l’agenda delle politiche liberiste sta peggiorando il clima sociale, mettendo a rischio i diritti delle donne, i diritti civili, le tutele economiche per le fasce in povertà e i diritti per i migranti.

È in questo quadro che si colloca la campagna “Riprendiamoci il Comune”, ossia noi cittadini, per riappropriarci dell’organizzazione collettiva delle comunità locali e del controllo dei nostri risparmi, oggi in buona parte depositati nella Cassa Depositi e Prestiti, e utilizzati per finalità estranee ai nostri interessi. Le due proposte di legge intervengono su alcune contraddizioni generali dell’attuale situazione dei Comuni e provano a rispondere a due domande fondamentali: quali devono essere gli obiettivi e le modalità decisionali di un Comune? Attraverso quali risorse e con quali modalità un Comune si può finanziare? La campagna indica un percorso collettivo per provare a mettere in discussione l’esistente e affrontare temi che stentano a divenire centrali nel dibattito politico, ma che invece hanno forte ricadute sulla qualità delle nostre vite, come già abbiamo avuto modo di parlarne nel numero 40, del 30 novembre 2022.

Proviamo a riscrivere tutti insieme alcune delle regole della partita da disputare, altrimenti si rischia di gareggiare in una porzione di campo prestabilita, con sempre meno giocatori e sempre più spettatori disinteressati.

Molto dipenderà da noi, come sempre…

MG

Le donne di Genova

‘Le donne di Genova non ridono per niente’ recita una vecchia e leggerissima canzone di Francesco Baccini. Se si approfondisce lo sguardo sulla condizione sociale delle donne a Genova e nel resto della Liguria, dobbiamo comunque convenire che non c’è proprio nulla da ridere. Gli indicatori che misurano l’inclusione delle donne liguri, il 52% dell’intera popolazione della regione, sono sconfortanti. Il rapporto Mai più invisibili Index 2021”, pubblicato dall’organizzazione non governativa WeWorld, esamina la condizione di donne, bambine e bambini in Italia, regione per regione, osservata da quattro prospettive: l’educazione, la salute, l’economia e la società. La Liguria scivola dalla nona posizione del 2020 all’undicesima del 2021, con un giudizio globale e sintetico di inclusione, intesa come accessibilità ai sopra citati ambiti, stimata qualitativamente come insufficiente. Gli aspetti più rilevanti dell’arretramento, dovuto anche alla recente pandemia, riguardano il tema drammatico della violenza di genere (percentuale di donne vittime di omicidio in Liguria 57,1, 25 donne uccise negli ultimi 5 anni, violenza domestica sulle donne 6,2%) ed il tema dell’occupazione femminile (per la quale il dato percentuale, inteso come numero di donne occupate per pertinente fascia di età sul totale della popolazione femminile della stessa fascia, scende al 56,5 nel 2021 dal 59,1 del 2020). I due temi sono consequenziali. La violenza sulle donne origina da retaggi culturali di disparità di genere, espressi anche in percorsi giuridici e giudiziari incerti e nella mancanza di adeguate politiche di contrasto, tali da render la società collusa con i colpevoli. Essi troverebbero un argine nel compimento di un’emancipazione sociale femminile che non può prescindere dalla realizzazione professionale e dall’autonomia economica. Le donne anche in Liguria ottengono ottimi risultati negli studi, ma sono penalizzate nell’accesso al mondo del lavoro e nei percorsi di carriera. Di fronte a offerte di lavoro precarie e mal retribuite, scelgono spesso di compensare lo scarso reddito rifugiandosi nel lavoro domestico e di cura, in mancanza di appropriate misure di sostegno alla famiglia. Tra i lavoratori nei ristoranti e nel commercio in regione più della metà sono donne, ben 53 mila, spesso precarie, part time e sottopagate. Da anziane, se matureranno una pensione, la matureranno in misura insufficiente e andranno ad affollare la moltitudine di poveri che sta assumendo dimensioni preoccupanti. Quando le donne riescono a fare carriera, lo fanno a caro prezzo, perlopiù proponendosi secondo un modello maschile, ritenuto più forte ed autorevole, e rinunciando a quelle che sono le specifiche attitudini femminili in termini di relazioni interpersonali, partecipazione e collaborazione. Così accade che la scelta della leader neozelandese Jacinda Ardern di dimettersi da premier perché non più in grado di conciliare i tempi di vita e di lavoro, abbia suscitato uno scalpore tanto grande. È davvero inusuale, purtroppo, che un leader politico esprima la preoccupazione di non poter adempiere ai suoi compiti in maniera adeguata. Siamo colpevolmente abituati a tollerare politici locali e non, che rivolgono il loro impegno per ottenere e mantenere il potere personale, a qualunque costo, e ciò accade trasversalmente da destra a sinistra e per uomini e donne, come è stato ben illustrato in un precedente articolo della Voce a proposito del debole e mascolinizzato panorama politico femminile ligure. E poiché la funzione di esempio di un personaggio pubblico è tanto vasta, possiamo trarre le risposte ad alcuni inevitabili interrogativi.

Nuccia Canevarollo

Qualità della vita dei giovani a Genova: problematica

Che Genova sia la città più anziana d’Italia – più che un luogo comune – è una verità accettata da tutti. Che non sia – di conseguenza – un paese per giovani, è altrettanto accertato.

Manca però un esame complessivo di questa realtà, tale da confermarla e – forse – suggerire qualche rimedio ai vecchi che governano la nostra città.

Tralasciando la stucchevole polemica sul numero degli abitanti (residenza anagrafica vs. ‘celle’ telefoniche?) consideriamo alcuni dati obiettivi e incontestabili. Le morti eccedono le nascite. I ‘giovani’ non vi nascono più o, se vi nascono, una volta cresciuti preferiscono andare altrove a mettere alla prova la propria giovinezza. Chi può, va a studiare fuori Genova o addirittura all’estero. Chi non può rimane a ‘godersi’ la povertà delle risorse che la città riserva loro. L’università vede diminuire il numero dei propri iscritti, mentre è sempre più ridotto il numero di chi – da fuori – sceglie la nostra Università in ragione di qualche – perduta – eccellenza.

Un recente studio del Sole 24 Ore sulla ‘Qualità della vita dei giovani’ in Italia, denuncia con spietata chiarezza la condizione genovese rispetto al Paese nel suo complesso. I dati riguardano i ragazzi tra i 18 e 35 anni (anche questi ultimi mantenuti allo stato di ragazzi), la cui condizione è stata esaminata sulla base di 12 indicatori che misurano alcuni aspetti fondamentali, destinati a influenzare la loro vita. Rispetto a questi indici, Genova rimane sempre, fatalmente relegata agli ultimi posti della classifica per province. Nella classifica generale, Genova è al 103° posto su 107. Al 99° per impianti sportivi. Al 76° per saldo migratorio (rapporto tra giovani che se ne vanno e giovani che arrivano). Al 77° posto per imprese con titolari under 35. Al 106° posto – penultima – per amministratori comunali under 40. Al 106° posto per canoni di locazione inaccessibili perché troppo cari. All’86° per età media del parto. All’87° per imprese che fanno E Commerce. Al 59° per disoccupazione giovanile.

Genova si riscatta però col numero di bar e discoteche, ottenendo l’ottavo posto mentre Savona – altra città ligure in crisi – conquista addirittura l’unico primato ligure.

Benedetti giovani, che invece di studiare, cercare un lavoro, dedicarsi allo sport, non sanno fare altro che perdersi nella movida, nell’alcool, nello stordimento delle discoteche!

E, qua, viene in soccorso il recente report dell’ASL3 Liguria, sui dati del Centro Alcoologico provinciale. Al di sotto dei 18 anni è normale consumare alcoolici con gli amici, nella modalità alla moda del ‘binge drinking’, e fumare praticamente di tutto. Coerentemente, già a 16-17 anni circa il 40% dei ragazzi non pratica più un’attività sportiva regolare.

L’indagine dell’ASL mostra un dato curioso e paradossale: proprio loro, i famosi ‘ggiovani’, non tendono ad assolversi o ad accusare gli adulti per la propria fragilità, ma chiedono – loro, i ragazzi – che siano gli adulti a essere meni infantili, meno razzisti, più responsabili verso il bene comune.

Che proprio gli anziani rimbambi(ni)ti debbano decidersi a dare ascolto alla fresca, ironica saggezza dei nostri ragazzi?

MM

Cara Destra al governo in Liguria, la sicurezza non riguarda solo la proprietà

Stupri, a Genova: quattro nell’ultimo mese. Tre ragazze e un ragazzo. Le prime nei vicoli, nei giardini di Plastica e fuori una discoteca dalle parti del Terminal traghetti. L’ultimo nella centralissima via Cairoli, di sera. Il quindicenne ha raccontato al Pronto Soccorso e ai Carabinieri che è stato aggredito da tre stranieri e abusato sessualmente. Le indagini sono ancora in corso. Il quadro che emerge da questi dati crudi, è piuttosto allarmante perché la Liguria, dopo l’Emilia-Romagna, è la regione con la più elevata incidenza di violenze sessuali in rapporto ai residenti con una percentuale dell’11,32% (fonte ANSA). Nel 2021 (ultimo dato disponibile fornito dall’ufficio economico CGIL ligure) le chiamate al centro antiviolenza 1522, sono state 636, di cui 590 donne. Solo 44 le straniere. Un dato che sarebbe opportuno approfondire, per sapere se c’è minore violenza tra la popolazione extracomunitaria o più timore di esporsi. Oppure anche se, in rapporto alla popolazione, i dati sono equivalenti. A questi numeri vanno però aggiunte tutte quelle telefonate che arrivano alle varie associazioni a tutela delle vittime di violenza (non solo donne), fenomeno che in questi anni si è acuito, anche a causa della forzata convivenza per pandemia. Altro dato pervenuto riguarda una statistica degli ultimi dieci anni, dove le denunce per violenza sessuale sono state 1.636. Di queste, 1.606 sono tutte a carico di uomini. La CGIL conclude: “sono quindi necessari un cambio culturale profondo e maggiori risorse destinate alla formazione per le donne e gli uomini di domani; sono necessari politiche attive del lavoro dedicate alle donne e risorse in favore di tutte quelle associazioni che quotidianamente raccolgono il loro grido di dolore. Non si tratta più di contrastare una emergenza, ma di una vera e propria rivoluzione culturale che metta al centro il valore e il rispetto della persona”. Giustissimo, ma la rivoluzione culturale è lenta, e fa parte di un processo di educazione che deve vedere in prima linea l’amministrazione, e da questa deve partire, con atti specifici e con esempi. Purtroppo questo sembra andare in senso contrario, tipico di una certa cultura (se così può essere chiamata) di destra che esalta ancora il machismo, che relega ancora la donna a un ruolo subalterno rispetto al maschio. E Giorgia Meloni, con il suo comportamento arrogante da “uoma” in tutti i comizi, rappresenta il peggio del sessismo, del patriarcato e dell’autoritarismo, ideologia ben sintetizzata nella formula Dio Patria Famiglia. Inoltre, sul tema sicurezza, questa amministrazione, sia a livello regionale che comunale, al potere da più di un lustro, visti i recenti risultati, o si disinteressa totalmente della violenza in genere e sulle donne in particolare, oppure è del tutto incapace ad affrontare il problema. È questione di numeri, non di opinioni. Alla faccia di tutte le campagne comunicazionali proprio sul tema sicurezza.

CAM

I vice sceriffi di Nottingham sul lungomare Canepa

Lungomare Canepa a Genova: erano destinati 40 milioni del PNRR per aiutare la popolazione di Sampierdarena contro l’impatto acustico, di inquinamento e di vibrazioni per il traffico della cosiddetta gronda a mare. Erano, perché l’amministrazione comunale ha deciso di togliere 25 milioni per darli al Waterfront. Il vice sceriffo di Nottingham, Petrus Picciocus, secondo il noto criterio di togliere ai poveri per dare ai ricchi, alle proteste del Municipio Ovest e dei consiglieri di minoranza, ha risposto con una supercazzola che puzza pure di ipocrisia. Ovvero, riporto più o meno letteralmente: “tanto i 40 milioni non sarebbero bastati”. E allora mi sembra giusto levargli anche quelli. Poi aggiunge:“se in futuro arriveremo ad una soluzione progettuale, i soldi poi li troveremo” E’ veramente una programmazione da par suo, seria, scientifica e affidabile. In italiano questo concetto potrebbe essere sintetizzato in “boh, che ne so, poi chissà”. Ma non basta: agendo alla gatto Silvestro che si arrampica sul vetro, il nostro prova a giustificare l’ingiustificabile, spiegando che il Comune di Genova starebbe sondando (chi, cosa, è un mistero) per poter realizzare un’opera di “mitigazione potente” per le case e i palazzi di Sampierdarena. Ora, mitigazione significa rendere meno gravi gli impatti dei cambiamenti climatici prevenendo o diminuendo l’emissione di gas a effetto serra (GES) nell’atmosfera. Ci vorrebbe spiegare il vice sceriffo di Nottingham/Tursi che cosa vorrebbe dire? Se però sapesse che cosa vuol dire gli suggerirei di cercare sulla Crusca o sulla Treccani il significato di ossimoro, ovvero quella figura retorica che consiste nell’accostare concetti contrastanti nella medesima locuzione. Allora, vice sceriffo, si vogliono aiutare gli abitanti di Sampierdarena a vivere in condizioni più decenti o si preferisce imbellettare gli appartamenti del Waterfront? E se, passando dall’ossimoro alla presa per i fondelli, se già si sapeva che i 40 milioni non sarebbero bastati, già era programmato farli sparire? E i 15 milioni rimasti a che cosa servono, allora? Ma forse mi sono sbagliato: il vice sceriffo sa benissimo che cosa vuol dire mitigazione, avendo studiato i testi inglesi di Bruce Fraser sulla Conversational Mitigation: roba da master universitari e mi scuso con lui. Sapeva perfettamente cosa significa mitigazione: che indica l’insieme di strategie con cui i parlanti (leggi i politici, almeno alcuni) riducono i rischi in qualche modo connessi alle loro enunciazioni. Appunto, le supercazzole che vengono insegnate per non far capire un accidente di quello che viene detto, e in questo modo essere sempre pronti a confermare e smentire tutto e il contrario di tutto. Comunque la sostanza resta: ovvero che a Sampierdarena resta puzza, inquinamento, vibrazioni e rumore. D’altra parte poco meno della metà degli abitanti ha votato il vice sceriffo e i suoi accoliti e ha dato a loro tutti una mano per fare e disfare. Magari la prossima volta ci penseranno un po’ di più.

CAM

Questa volta la rubrica citizen journalism (lo stato dell’arte del nostro patrimonio civico) riguarda il caso confortante che ci racconta un’amica savonese. Anche se non mancano nuvole nere all’orizzonte.

Good news da Savona e i suoi gioielli

Recentemente la nuova giunta comunale di Savona ha iniziato il lento e faticoso recupero di alcuni dei palazzi storici cittadini. Il primo edificio con cui la giunta si è cimentata è Il Palazzo della Rovere chiamato anche Palazzo Santa Chiara sito nel centro storico medioevale di Savona comprato dal comune di Savona dal demanio nel 2014 che dopo aver ospitato da prima il tribunale e poi la Questura di Savona è rimasto vuoto per anni.

L’Opera iniziata nel 1495 da Giuliano da Sangallo su incarico del cardinale Giuliano Della Rovere (il futuro papa Giulio II) è un pregevole esempio di architettura rinascimentale.

Appena l’attuale giunta si è insediata ha organizzato un’apertura del cortile con un percorso luminoso per dare un segnale dell’impegno a far rinascere questa struttura di pregio.

Ne è seguito nella scorsa primavera due giornate di condivisione con i cittadini su come utilizzare gli spazi per rendere Palazzo della Rovere un punto di servizio per il cittadino, vista la collocazione centrale, purtroppo i tempi tecnici e burocratici non hanno ancora fatto partire il lavoro di ristrutturazione ma la partecipazione della cittadinanza è stato un segnale importante.

Contemporaneamente è nato un volenteroso gruppo di cittadini i “Custodi del Bello” che dopo aver fatto alcuni interventi per prendersi cura dei giardini insieme all’Ente Edile e l’artista Silvia Celeste Calcagno con l’autorizzazione del comune ha riaperto per un week end nel periodo natalizio la galleria del Garbasso che collega via Paleocapa a via Famagosta ripulendola e rendendo un installazione artistica, la Galleria ha il suo ingresso tra due scalinata che la incorniciano rendendo l’ingresso scenografico e misterioso.

Questo percorso di condivisione del comunque di Savona con i cittadini per prendersi cura del patrimonio comunale nei piccoli e grandi progetti è un primo timido tentativo di far rinascere la città e la bellezza dei sui palazzi dal tessuto medioevale che parte dalla fortezza del Priamar alle realizzazioni ottocentesche di via Paleocapa. Speriamo che la burocrazia e le congiunture economiche permettano di accelerare questi progetti restituendo il ruolo che Palazzo della Rovere ed altri siti meritano quale centro della vita cittadina; e che la cittadinanza coinvolta ne sia custode.

Purtroppo fino ad oggi il recupero degli edifici è stato demandato a privati. Basti pensare a villa Zanelli, pregevole esempio di Liberty in mano all’ARTE di Genova, che con il supporto della Regione diventerà un hotel di lusso. Vanificando la possibilità di farne un’attrazione per il turismo savonese.

Susie Bandelli